5 poesie dell’io che si dissolve, di Daniele Barbieri.
1. Noi, qui
noi, quando la sera azzanna il cuore, quando noi azzanna
il cuore la sera, noi, che il cuore azzanna nella sera,
quando le zanne del cuore azzannano la sera, e noi,
qui, noi che il cuore è di zanne, noi che sul cuore la sera
si fa sera, zanne, cuore, noi, quando le zanne azzannano
le zanne, quando la sera azzanna il cuore, e noi, noi, noi
2. Perché mi dice
perché mi dice sai, siamo sospesi sopra l’abisso
di quello che accade, appesi solo al filo incerto delle
parole che produciamo, e poi mi dice vedi, siamo
qui, nella corazza delle parole che produciamo
per difenderci dal mondo, e poi mi dice ascolta, senti
come quando si dissolve la mia voce mi dissolvo
io, rimane solo carne vuota, uno spettro di assenza,
un posto lasciato vuoto in mezzo agli altri che persistono,
e poi mi dice toccami, se riesci ad arrivare
a qualcosa che non sia solo suono asciutto e sottile,
e poi mi dice parliamo, che tu non mi lasci in mezzo
al mondo dove le cose sono state deprivate
del rimorso, del perdono, dell’incontro quotidiano
con il loro avere un posto
3. Disidentità
se fossi un altro che cerca di esser io
mi prenderei dolcemente alle spalle
cercando di lasciarmi inconsapevole
di questa presa segreta di possesso
di desideri e pene che appartengono
al terzo che mi abita, all’estraneo
che vinse la tornata precedente
4. Non ho mostrato
non ho mostrato a nessuno il rovescio della mia
vita, non ho raccontato a nessuno il lato nascosto
di come stanno le cose, a nessuno ho permesso di
scartabellare nel ventre di quello che sta nascosto
dentro il ventre più profondo dell’anima, dentro i vani
del ventricolo di mezzo, dentro il cuore della melma
del mio cuore, non ho detto a nessuno chi sono, non
dirò a nessuno che sono, che sono qui, che ci sono,
non possiedo le parole per discendere là dove
le parole non ci servono più, le parole per
agitarci nel silenzio
5. Si sta sentendo svanire
si sta sentendo svanire, intorno ci sono figure,
non cose, non la parete dura di sasso e mattoni
ma una quinta di colore evanescente, ecco che sale
l’astratto della città, soltanto percezioni umide
tengono il posto del senso, si chiude il sipario, il teatro
è già vuoto