7 POETI DEL CENTRO: ANTONIO MADAMMA (MARCHE), con introduzione a cura di Manuel Cohen.
Lo sguardo di Antonio Madamma, che si sofferma sulla osservazione della natura, e procede nella descrizione dei comportamenti delle creature minime o Bstiulìn, bestioline: il buratello, la farfalla, la ‘zizza’ (termine gergale che designa un insetto dalla corazza verde-oro), le lucertole, i lombrichi e le lumache o ‘giudiòle’, come un perfetto entomologo, ricorda la grande poesia ‘di natura’ del lombardo Giampiero Neri. Come in Neri, infatti, anche in Madamma l’osservazione delle dinamiche naturali indicizza e si fa spia comportamentale della sfera umana. Già questa, si configura come una particolarità, diremmo pure, una rarità, per un autore giovanissimo, e che non trova molti riscontri nella sua generazione deprivata della natura. Ma la peculiarità maggiore, o, sia pure, decisiva, è nel grado di perizia linguistica, nella abilità versificatoria e nella costruzione delle rime: mai ovvie, mai convenzionali. La versificazione, pausata, si attiene a istanze ritmologiche molto prossime alla metrica classica: versi prevalentemente ipometri, quinari, quaternari, e cantabilità, o musicalità memorabile sostenuta dalla rima spesso baciata. Se si considera che il giovane marchigiano non ha ancora pubblicato un proprio libro di versi, occorre rilevare come i testi siano notevoli, pregevoli e che abbiano già un ottimo grado di dignità letteraria. Accanto ai versi esili e delicati, rarefatti e raffinati di Bstiulìn, nuovi registri, più mossi, tra riflessione e parlato, afferenti all’oralità di riferimento, si certificano nelle sequenze dialogizzate di S’nigaja, Senigallia: un bozzetto o quadretto, oppure un piccolo affresco popolare animato da voci varie. Un tentativo, per ora, che indica ulteriori percorsi e articolazioni. M.C.
Antonio Maddamma è nato a Senigallia (AN), dove vive, nel 1976. Scrittore, poeta in lingua e dialetto, è risultato vincitore di diversi premi letterari. Dal 2006 è redattore del blog letterario LibriSenzaCarta. In veste di regista e attore ha realizzato un adattamento e riduzione teatrale del Pluto di Aristofane (2006) e dell’Anna Bolena di Benedetto Arsilli (2010). Ha curato le antologie di racconti Marchenoir (Ancona, Italic Pequod, 2012) e Tremaggio (Senigallia, Ventura Edizioni, 2014). Sue poesie in dialetto sono presenti ne I poeti dialettali di Senigallia, vol. 2 (Senigallia, Edizioni La Fenice, 2011) e nell’antologia del Premio Poesia Onesta 2014 …eppur si scrive (Camerata Picena, Associazione Culturale Versante, 2014).
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S’nigaja
“S’nigaja, si la guard dal ditoŋ
d. Scap.zzan d’in giù o purament
dal coll d. Sant’Agnul a marina
m. par propi na ciandula ch. slonga
‘n pia p.r gì a lavass.l n-t-l’onda”.
“Na ciandula? Co’ di’ ? Ma co’ m’arconti?
Te sei imbragh!”.“Sta zitt e sta a s.ntì!
I lacci, i vedi beŋ, en com i ponti:
machì e malà s’argiont.n a la pianta;
la pianta senza troppa fantasia
la vedi dal calcagn fin giù la ponta.
L. Grazi en le garognul e la vena
s’ancò suvent è secca d.l ditoŋ,
è ‘l Misa mezz verd e mezz maroŋ”.
“E donca dop tutta ‘sta l.zioŋ,
co’ m. vurissi dì, quant’è ch’udora?”.
“D. sal, s’intend. Al sol tutta s’indora
e cambia pell d’istat e po’ d’invern
artorna bianca com na culomba
e aspetta ch. ‘l sol torna nantra volta
per arturnà a lavass.l n-t-l’onda.
Ch. quand tira la bora ‘l pia s’artira
com la lumaga drenta al garagol.
Ognuŋ s. fa l. ciandul com ‘l pia
fuss’ancò d’or
che en fatt p. stà beŋ:
si en tropp strett, s.ntirai ch. dol!
si en tropp longh, è dura a chi stragina.
C’hai da stà tenti pur com metti il pia
scinò t’armedi, s.conda la stagioŋ
calca duroŋ e pur do biscigh.
E alora? E co’ acada ch. t. l diggh?
T’artrovi a piagn ndo ch’eri in al.gria”.
“O c’hai la lengua bona o è trist ‘l viŋ,
ch. n.c’ho capit propi gnent”. La Pia
alora i fa: “Nun è colpa d.l viŋ
si nun capisci gnent sa ch.l t.stoŋ.
N-t’ ‘sta città nn’ en poghi i calzulari
madonna mia, i’ diggh d.i sumari
ch. fan le ciandul pegg d. ch. nn’ è ‘l pia.
E com la bonan.ma d. mi zia
diceva, sopra l’ara sempr scalza
è mej buttà na ciandula ch. ‘n pia”.
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Senigallia
“Senigallia, se la guardo dal ditone (alluce) di Scapezzano d’in giù oppure / dal colle di Sant’Angelo verso la marina / mi sembra proprio un sandalo che allunga / un piede per andare a lavarselo nell’onda (del mare)”. / “Un sandalo? Ma cosa dici? Cosa mi racconti? / Tu sei ubriaco!”. “Stai zitto e stammi a sentire! / I lacci, a ben guardarli, sono come i ponti, / che da una parte e dall’altra si legano alla pianta (del sandalo; per esteso del piede); / la pianta, senza troppa fantasia, / la vedi tutta dal calcagno alla punta. / Le Grazie sono le caviglie e la vena / del ditone (alluce), ancorché spesso sia secca, / è il Misa, mezzo verde e mezzo marrone”. / “Allora, dopo tutta questa lezione cosa mi vorresti dire: quanto la città odori?”. / “Di sale s’intende! Al sole tutta s’abbronza / e cambia pelle d’estate, d’inverno poi / ridiventa bianca come una colomba / e aspetta che il sole ritorni ancora per tornare a lavarselo nell’onda (del mare). / Quando infatti tira la bora il piede si ritira / come il mollusco dentro il garagolo. / Ognuno si compra i sandali, come se il piede / fosse persino d’oro, / ché sono fatti per starci comodi: / se sono troppo stretti, sentirai che dolore!, / se sono troppo lunghi, affaticano chi li trascina. / E devi stare attento pure a come calzarvi il piede, / altrimenti ti procuri, secondo la stagione, / qualche durone o anche due vesciche. / Dunque, cosa c’è bisogno che te lo dica? / Ti ritrovi piangere, quando pensavi di poter essere allegro”. / “O hai la lingua buona o questo vino è cattivo: / ché non c’ho capito proprio nulla”. La Pia / allora gli risponde: “Non è colpa del vino, / se non capisci nulla con quella testa che ti ritrovi. / In questa città non sono pochi i calzolai, / madonna mia, io parlo di quelli somari, / che fanno i sandali peggio di quanto non sia il piede. / E come diceva la buonanima di mia zia, / che stava sempre scalza sopra l’aia, / è meglio buttare un sandalo che un piede”.