7 POETI DEL CENTRO: NADIA MOGINI (UMBRIA)

7 POETI DEL CENTRO: NADIA MOGINI (UMBRIA), con introduzione a cura di Manuel Cohen.

   

   

Nella parlata perugina scrive Nadia Mogini, che, sebbene da tempo presente sulla scena letteraria, e sebbene abbia in attivo numerosi riscontri critici e riconoscimenti, non ha ancora pubblicato un proprio libro di versi. La sua scrittura mostra un tratto elegante, una raffinatezza linguistica e retorica mai compiaciuta che per altri versi si riscontra in diversi autori della sua zona, quasi a delineare tratti e modalità comuni, di linea o di tendenza: sobrietà, perizia, eleganza e naturalezza. Le sue quartine sono modulate intorno allo schema fisso dell’endecasillabo di tradizione, che si rivela essere ancora la misura più congeniale alla phonè. Ma sa prodursi anche in versificazioni ipometre o brevissime, come in un sapiente lavoro di pulizia tendente all’essenziale. Il motivo della partenza, dell’andare via, ricorre frequentemente, in alternanza con quello del ritorno, nella valenza di possibilità ottativa, o desiderativa: «Vorrei che mi portasse fuori da me/ la materia onesta delle cose/ la bellezza senza la sua idea./ Così, smacchiata, tornare sostanza.» (Gi via, Andare via). Così le deambulazioni visive, sensuali e psichiche tendono ad abitare, ad ambire ad un qualche locus amoenus preservato dalle ombre, a una qualche ricerca edenica a cui approdare dopo aver attraversato le fatiche dei realia e le peripezie del viaggio. Autrice sorvegliata e non ingenua, la Mogini ha le consapevolezze del tempo attraversato, conosce il destino (emblematico il piccolo apologo del palloncino in Dua?, Dove?) ma sa che la scrittura offre riparo a chi le mostra fiducia e fedeltà. Perso il Paradiso, al poeta resta l’hortus di insopprimibile libertà, di tensione per l’ascolto, di meditazione irrinunciabile. Le resta il cuore del giardino: «E vado decisa nel cuore del giardino/ come fosse quel grillo il Padre Eterno/ qualcosa da ritrovare nel buio pesto/ dopo che il giorno me lo aveva nascosto.» (Scόlta, Ascolta). M.C.

Nadia Mogini è nata il 1° febbraio 1947 a Perugia, città in cui ha compiuto i suoi studi, laureandosi in Lettere Moderne. Ha insegnato Materie Letterarie nella Scuola media in Lombardia, Umbria e Marche. Vive ad Ancona da molti anni. Interessata alla poesia, al canto corale e al teatro, da tempo si impegna in questi settori. Nel 2005 le è stato assegnato il Premio come migliore caratterista femminile al Festival Nazionale del Dialetto “La Guglia d’oro” di Agugliano (An). La sua produzione poetica è prevalentemente in dialetto, quello di Perugia (borgo di Porta S. Angelo) con qualche escursione nella lingua italiana. In dialetto compone anche haiku, forma poetica a lei particolarmente congeniale. Vincitrice dei seguenti Concorsi: * 21° Premio Letterario Varano 2009 (Sezione riservata ai dialetti italiani) * XXIII Concorso di Poesia “Sabatino Circi” 2011, Borbona (Sezione ottava rima) * XVI Ed. del Premio “Città di Foligno” 2012 (Sezione vernacolo) sempre nel 2012, è stata finalista al Premio Ischitella-Pietro Giannone. Nel 2014 ha avuto una menzione speciale al Premio Nazionale “Poesia Onesta” (Sezione silloge nei dialetti italiani). Ha ottenuto riconoscimenti vari anche in altri Concorsi di Poesia in dialetto e in lingua. I suoi testi figurano in antologie e riviste letterarie.

*

Dua ?

Va n zzu n zzu, traginàto da la ruzza
mbriaco guasi come n apo matto
dietro l zzogno de n ua grossa e matura
che cresce ntó na vigna a ràiche a l aria.

Quando la testa se scalzza del  penzziéro
l piede, alóra, se stacca da la terra
e l corpo se fa fil de m palloncino
che va a morì nti nughi con gram botto.

*

(Dove?- Va su su, trascinato dalla voglia di giocare/ ubriaco quasi come un’ape matta/  dietro il sogno di un’uva grossa e matura/ che cresce in una vigna con le radici in aria.// Quando la testa si priva del pensiero/ il piede, allora, si stacca dalla terra/ e il corpo si fa filo di un palloncino/ che va a morire nelle nuvole con un gran botto.)

***

Duèlle

Com i palloni a spicchi colorati
quan s alzza l vento de botto sul mare
sguìllon via m posa al par de ballerini
ncantati da m piancito che se move
e vedon a pel d aqqua n altro mondo,
cussì pòl gi via l omo ntón momento
pe n viaggio novo, pe n arbaltaménto.

*

(Da nessuna parte – Come i palloni a spicchi colorati/ quando si alza il vento di colpo sul mare/ scivolano via in posa come ballerini/ incantati da un pavimento che si muove/ e vedono dalla superficie dell’acqua un altro mondo,/ così può partire l’uomo in un attimo/ per un viaggio nuovo, per un ribaltamento.)

***

Mescìe

Tónf de m bréqqu(o)lo buca l mar da riva
l aqqua se stremolìsce n tanti chiérci
con quil silenzzio d univerzzo solo
che smòve le armonie senzza sapéllo.

Voci scompagne  de n cantà lontano
s arconóscon e fònno n contrapunto
che s acènde e se spénge co la grazzia
de le lucc(io)le che rùzzon tra de loro.

*

(InezieTonfo di un sasso buca il mare da riva/ l’acqua rabbrividisce in tanti cerchi/ con quel silenzio di universo solo/ che muove le armonie senza saperlo.// Voci diverse di un cantar lontano/ si riconoscono e fanno un contrappunto/ che si accende e si spegne con la grazia/delle lucciole che scherzano tra loro.)

***

Gi a sta fòri

“…mi sono visto di spalle che partivo…”
Fabrizio De Andrè-Ivano Fossati, Anime salve

 

Girà le spalle tai campanili
ta l mur de cinta
che fóga l discorre vilàno d i motori
ntón borbottà scontento de tròn sordo
e sentì su le spalle l zzóle schietto
de n settembre armàsto fisso
con quil disegno e qu(e)i rumori
stampati ntó l agro del saluto.
Pu
m mezz ai monti
la strada nforcàta co la tigna
de chi n zzé vòle stòrce pe le curve
de chi vorrìa ardrizzàlle per finìlla
con quil curre e passà de verde e case
carpiti da l occhio che tien duro
e pia de petto la distanzza boia.
L zzóle ntanto se sfrédda drénto l mare
n treno sudato arpàrte n senzzo nvèrzzo
sta città arìva seria e nzzalavìta
ntón violetto sbavato d umidìccio.
Pu
drénto la casa nòva
col sito de vernice
e i scatlóni zzeppi
n fila con pacènzza.

*

(Andare a vivere altrove – Voltare le spalle ai campanili/ alle mura intorno alla città/ che soffocano il discorrere villano dei motori/ in un borbottio scontento di tuono sordo/ e sentire sulle spalle il sole pulito/ di un settembre rimasto fisso nella memoria/ con quel disegno e quei rumori/ stampati nell’asprezza del saluto./ Poi/ in mezzo ai monti/ la strada imboccata con il puntiglio/ di chi non vuole storcersi per le curve/ di chi vorrebbe raddrizzarle per finirla/ con quel correre e susseguirsi di verde e case/ afferrati al volo dall’occhio che tiene duro/ e prende di petto la distanza boia./ Il sole intanto si raffredda dentro il mare/ un treno sudato riparte in senso inverso/ questa città arriva seria e un po’ sporca (opaca)/  in un violetto sbavato di umidità./ Poi /dentro la casa nuova/ con il tanfo di vernice/ e gli scatoloni pieni/ in fila con pazienza.

***

Scólta

Splùcca j ossi l rigido de la notte
a caminà scalzzata ntól piancito
me chiama n grillo sperzzo chi l zza dua
fiotta l gàngheno sciucco de la porta.

E vò dritta ntól còre del verzzaro
come fusse quil grillo l Padreterno
qualcosa d artrovà ntól buio pisto
dóppo che l giorno me l éva anniscósto.

*

(Ascolta – Spilucca le ossa il freddo della notte/ a camminare scalza  sul pavimento/ mi chiama un grillo disperso chissà dove/ si lagna il cardine asciutto di una porta.// E vado decisa nel cuore del giardino/ come fosse quel grillo il Padre Eterno/ qualcosa da ritrovare nel buio pesto/ dopo che il giorno me lo aveva nascosto.)

***

Gi via

Vorrìa che me portasse fòr da me
la materia schietta de le cose
la bellezza senza la su idea.
Cussì, smacchiata, artornà sostanza.

*

(Andare via – Vorrei che mi portasse fuori da me/ la materia onesta delle cose/ la bellezza senza la sua idea./ Così, smacchiata, tornare sostanza.)

***

Ariaccia*

Ci à n sito l zzole
tórlo de n ovo bójo
l aria è ónta.

Finestr óperte
bocche che nn arispìron
nghiótton le mosche.

Sciucchi e nteghìti
som pelli de cuniji
i panni stesi.

Beve l sudore
che slàgrima piam piano
l lenzzòl cambiato.

Co la palùgine
de summi da l Inferno
se gòra l muro.

*

(Aria cattiva – Sita il sole/ tuorlo di un uovo guasto/ l’aria è unta.// Finestre aperte/ bocche che non respirano/ inghiottono le mosche.// Secchi e rigidi/ sono pelli di conigli/ i panni stesi.// Beve il sudore/ che lacrima piano piano/ il lenzuolo pulito.// Con l’appisolamento/ di sogni dall’Inferno/ si macchia il muro.)

                  

Dazu, Cina
Dazu, Cina

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