7 POETI DEL CENTRO: OMBRETTA CIURNELLI (UMBRIA), con introduzione a cura di Manuel Cohen.
Ombretta Ciurnelli è un presenza significativa della poesia dialettale dell’area centro-italica. I quattro libri di versi da lei editati, compongono un ideale polittico della rappresentazione e, in qualche maniera, della deambulazione paesaggistica e culturale. Sono infatti da intendersi quali vere e proprie ricognizioni testuali e morfosintattiche, o anche come rappresentazioni corali, bruegheliane, della vita perugina, e, va da sé, della esperienza del mondo. La perizia dell’autrice, e la ricchezza della voce, ormai più che una certezza, si colgono nei tratti di una levità formale che evita i cascami e ‘la maniera’. Se c’è un poeta a cui, per altri versi, potrebbe essere idealmente accostata, questi è con ogni probabilità Sandro Penna, quello più lieve, il cantabile osservatore e indagatore delle movenze umane. A questa ascendenza ideale, feconda di risonanze, viene in mente leggendo, ad esempio, A bindlόne, Senza meta: dove il girovagare, l’andare a zonzo penniano si condensa in efficaci scene dal sentore di acquerello pittorico: «Sperdersi nei vicoli / della vita e ritrovarci / camminando senza meta / il respiro della città / che si nasconde». Dove lo stupore del girovagare è pari allo stupore della scoperta, agli istanti di appagamento della vista. Felicità dei sensi adunati al cospetto dei panni stesi (in: Pagne stese), dove il moto ascensionale favorito dalla presenza delle scale, sembra propiziare momenti di incanto e di estasi (panica e concretissima) nella madeleine memoriale. Ciurnelli pare invitarci a considerare la poesia ancora per quello che ‘classicamente’ ha il coraggio e il privilegio di offrire: un caleidoscopio dei sensi per un umanesimo sensibile e disposto all’ascolto. M.C.
Ombretta Ciurnelli, nata a San Martino in Campo, un piccolo centro della valle del Tevere, vive a Perugia. Laureata in Lettere Moderne, ha insegnato per molti anni nei Licei della sua città. Nella scrittura utilizza il registro arcaico del dialetto di Perugia, una lingua povera, aspra e terrosa che ha imparato a parlare nei suoi primi anni di vita.
Dopo Badarellasse ncle parole. Abbecedario di acrostici (Perugia, Guerra Edizioni 2007), nel 2008 ha pubblicato L’Arcontastorie (Perugia, Guerra Edizioni) in cui, in versi novenari, narra drammatiche storie di donne. È del 2010 la raccolta Si curron le formiche (Perugia, Guerra Edizioni), un viaggio a ritroso alla ricerca di ricordi e di antiche parole riscoperte e ascoltate con le orecchie attente della maturità. Nel 2013 ha pubblicato La città del vento (Roma, Edizioni Cofine) in cui la scrittura diviene una flânerie tra le strade, i vicoli e le scalinate della sua città. Ha curato un’antologia della poesia dell’olio e dell’olivo (oliveTolive, Poesia dell’Olivo da Omero a Oggi, a cura di O. Ciurnelli, M. Pascale, A. C., Perugia Fabrizio Fabbri Editore 2011) e nel 2011 ha pubblicato un testo teatrale (Dai campi di granturco ai gelsomini, Perugia, Fabrizio Fabbri Editore), ispirandosi alla storia di un mezzadro costretto a emigrare in Francia per motivi politici.
Si occupa attivamente di poesia dialettale ed è redattrice della rivista “Periferie”.
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da Si curron le formiche, Perugia, Guerra Editore, 2010
Muccite da n’idéa
Muccite da ’n’idéa ch’abira forte
nco ’n ardijón d’arbuldechè ta ’l monno
quan chèdon giù da l’àbise ntol fojo
arèsteno spaurète ntra le righe
e ’l verso fòn fatiga p’artrovallo
mò fùsseno formiche sott’a l’acqua
che curron nun sòn manco lore dua
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Fuggite da un’idea – Fuggite da un’idea che gira forte / con un ardire da rovesciare il mondo / quando cadono giù dalla matita sul foglio / restano spaventate tra le righe / e il verso fan fatica per trovarlo / come fossero formiche sotto la pioggia / che corrono non sanno nemmeno loro dove
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Gòita la stànzia
Gòita la stànzia
dentorno al su corpo
gòito ’l buricco
dentorno a i su òsse
gòite i rimore
ch’i lìgion la carne
de gni mulica
la mente goitèta
Lente i su passe
vòn dietro i fantasme
j occhie èn poggète
ntla piuma di pioppe
sfragnon le mène
ta l’ombra dle foje
che ’n vento trapplóne
dondla ntol muro
*
Vuota la stanza – Vuota la stanza / intorno al suo corpo / vuoto l’abito / intorno alle sue ossa / vuoti i rumori / che le accarezzano la pelle / di ogni briciola / la mente svuotata // Lenti i suoi passi / inseguono i fantasmi / gli occhi sono appoggiati / sulla lanugine dei pioppi / schiacciano le mani / l’ombra delle foglie / che un vento bugiardo / dondola sul muro
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L sè tu
Littanìe de feccènne
sempre ta lor compagne
e birìcchie e barutle
spajète nto gni pòsto
na tiulla che nn’à fine
e tutto ’l tempo ngluppa
ma quanno ch’è fenita
e so muccita via
l’ sè tu si pu m’arcordo
de lia ntla bilimbènza
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Chissà – Litanie di faccende / sempre tra loro uguali / e grovigli e capriole / sparsi in ogni luogo // un assillo che non ha fine / e avvolge tutto il tempo // ma quando è finito / e sono fuggita via / chissà se poi mi ricordo / di lei sull’altalena
da La città del vento, Roma, Edizioni Cofine, 2013
Scaline
Sàjono lente
i scaline ntol colle
che da millanne
’l chiameno del Sole
birate come fusson
’n organetto stirato
da le man de ’n sonatore
(o figurte sinnò
ventaje granne
merlette ormò scordate
e nute pietra)
Apoggiata nti tette
na lindiera
ncla tramontana
che canzona i súmmie
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Scalette – Salgono lente / le scalette sul colle / che da secoli / chiamano del Sole / piegate come fossero / un organetto disteso / dalle mani di un suonatore / (o immagina se no / ventagli grandi / trine ormai dimenticate / e diventate pietra) // Appoggiata sui tetti / una ringhiera / con la tramontana / che si burla dei sogni
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Pagne stese
Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale,
di che sesto gli archi dei porticati…
ma so già che sarebbe come non dirti nulla
Italo Calvino
Potría ditte quant’ènno…
com’ènno
tutt’i scalín
che sajono sualto…
Potría arcontatte
de ’n palazzo antico
di merlette che fònno
le fenestre… de quante torre
rubbavono ’l turchino…
De tisto potría ditte
e de tant’altro
ntra che spulce
ntla polvere di sèqule
Ma pu l’acapiriste
i pagne stese
e l’ora che s’acenne
na fenestra
le muffe ch’arispira
’l borgo antico…
le sedie ’n fila
nton vigolo a discurre…
l’offrór dle torte
amaníte per Pasqua…
’n gettlino strumpicciato
de linòrio…
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Panni stesi – Potrei dirti quante sono… / come sono / tutte le scalette / che salgono in alto… / Potrei raccontarti / di un palazzo antico / dei merletti che disegnano / le finestre… di quante torri / rubavano l’azzurro… // Di questo potrei parlarti / e di tanto altro / mentre frughi / nella polvere dei secoli // Ma poi li capiresti / i panni stesi / e l’ora in cui si illumina / una finestra / le muffe che respira / il borgo antico… / le seggiole in fila / in un vicolo a discorrere… / l’odore delle torte / preparate per Pasqua… / un germoglio stropicciato / di alloro…
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A bindlóne
Nti mure sdrucinate
scuprí na torre antica
ormò scapitozzata…
Sají ntol bujio
dno scalone granne
scuperto da ’n portone
mezz’uperto e poggià
’l tempo su pe j offrór-clore
de ’n giardinetto
rimpiccat’ sualto…
E figurasse tutto ’l gí e ní
de freghe fregottine
mujarelle sott’a ’n arco
cecato da na strada…
Spèrdese nti vigole
dla vita e arcapezzacce
giranno a bindlóne
’l fiaton de la città
che s’arisconne
*
Senza meta – Sulle mura consumate / scoprire una torre antica / ormai crollata… // Salire nel buio / di una grande scalinata / intravista da un portone / socchiuso e appoggiare / il tempo sui profumi-colori / di un piccolo giardino / pensile… // E immaginare tutto il via vai / di fanciulle ragazzetti / bambini sotto un arco / accecato da una strada… // Sperdersi nei vicoli / della vita e ritrovarci / camminando senza meta / il respiro della città / che si nasconde