Avremo cura di Gianni Montieri, note di L. Paraboschi

Avremo cura di Gianni Montieri, Zona ed. 2015, note di lettura a cura di Luigi Paraboschi.

   

   

Si fa anche presto a leggere e liquidare con un succinto “ l’ho letto “ un libro di poesie.
In fondo una cinquantina di testi composti da 10, 12 versi si scorrono velocemente e altrettanto velocemente ci si fa un’idea di cosa parlano e se gradiamo l’impegno che l’autore ha messo nei suoi scritti, poi si liquida il tutto con un “ m’è piaciuto “ oppure con un “ non mi ha detto molto “, e pace amen, avanti un altro, come ormai è d’uso scrivere su FB, ma quando ti capita tra le mani un testo come questo di Montieri mica lo puoi abbandonare sul tavolino e poi archiviarlo in biblioteca dicendo “……è buono“ perché se la poesia e la scrittura, anche se solamente in parte, occupano i tuoi giorni, non puoi fare finta che ti sei bevuto una tisanina digestiva e buonanotte; Montieri sarà anche un Carneade qualunque però è un Carneade che ha vissuto e vive ancora molto intensamente la sua vita e in questo libro te la stende tutta sotto gli occhi, e quando uno come lui è nato e cresciuto fino a vent’anni in quel di Giugliano, quei primi anni dalla giovinezza all’adolescenza, se li porta dietro come uno zaino di quelli che pesano e lasciano sulla schiena i segni degli spallacci.

Del Montieri non posso dire, utilizzando il titolo di una vecchio film, che “io lo conoscevo bene“ potrei al massimo affermare che ci eravamo incrociati in giro per poesie, anni fa, e ci eravamo scambiati opinioni, giudizi, “ carinerie “ tra simpatizzanti, e devo riconoscere pubblicamente che a lui devo la scoperta di Cormac Mc Carthy , ma ho dovuto leggere bene sia il suo primo libro di poesie “Futuro Semplice” e questo ultimo di cui parlo ora, per farmi un’idea più precisa di che persona egli sia, a conferma del fatto che un libro di poesia è sempre la consegna che il suo autore fa della propria vita ad ogni lettore, e Montieri ce la dona per farcela sfogliare come fosse un libro di fotografie in bianco e nero.
Sì, il colore non lo vedrei per raffigurare versi come questi, qui c’è il bianco ed il nero, come distinzione tra il bene ed il male, non c’è neppure il grigio, si salta da quel “tessere ricami delicati “all’uccidere in tre parole”

Le vecchie sedute fuori dai cortili
sulle spalle scialli fatti a mano
il pettegolezzo mischiato alla preghiera
assolvere o benedire ogni passante
tessevano ricami delicati, uncinetti
uccidevano una donna in tre parole

Sono fotografie di un grosso paese del Napoletano, le stesse che tanti film di genere hanno messo sotto i nostri occhi, specie di questi ultimi tempi, paese nel quale egli è nato e cresciuto ed egli è capace di ricordare con precisione e cura i discorsi dei ventenni di allora, la mescolanza senza stupore di fronte ad avvenimenti tragici tra la curiosità ed il pettegolezzo

Gli spararono in faccia
che tutti sapessero, che tutti ricordassero
la sera stessa in piazza
commenti da stupidi ventenni
stabilivamo con una birra in mano
il grado di importanza di una morte
( chi lo conosceva, quanti colpi
se c’era tanto sangue, quanta polizia )
qualcuno stava zitto, qualcuno parlava
pochi minuti per tornare all’ordinario :
la biondina in jeans tagliati a chi la dava
il centravanti squalificato, il motorino truccato

Scene di ordinario disinteresse nelle quali l’omicidio non appare quale elemento di meraviglia o sdegno ma è solamente un’occasione d’incontro tra sfaccendati che dopo pochi commenti non fanno che ritornare ai problemi fondamentali del loro vivere: il sesso, il calcio, la moto, coronando e disilludendo in tal modo le speranze avute da piccoli, quando:

“ oppure giocando al pallone
la tecnica del battimuro
già da piccoli aspettavamo
che capitasse qualcosa
che mai capitava “

E questo mondo di ragazzi destinati all’insuccesso viene descritto da Montieri così

“ Poi cosa è successo ? Uno ha preso
un treno, uno è saltato di testa
o per aria. Alcuni sono rimasti
all’intervallo e non si rivestono
un altro ha ancora su la maglia
aspetta il lancio in verticale,
la svolta, ma non ci sono piedi
buoni, né arbitro, guardialinee,
non c’è pubblico, non c’è tribuna
solo il replay di un fuorigioco
fischiato da nessuno.

Una vita in “”fuori gioco” iniziata da ragazzi, che culmina in quella degli adulti che seguono questi comportamenti :

C’era poi un disegno del morire
sui volti degli uomini seduti
davanti ai bar a guardare
passare, sollevare l’occhio
indicare all’altro e criticare
stando fermi, non cambiando
( che fosse scopa o tressette )
mai la maniera di giocare

Un mondo che non cambia la maniera di giocare e spesso questa maniera è causa di rovinose cadute, come espresso da questi versi :

Ho in mente un usuraio vecchio
vestiva con la camicia nera
l’aria da campagnolo
sua moglie aveva i baffi
puzzavano di rancido
contavano con le dita
bagnate di saliva
il denaro per salvarti
tu davi un assegno in cambio
che valeva il doppio, il triplo
ti dissanguavano, li lasciavi fare

Ma in questa realtà che definirei disossata per la mancanza di spina dorsale individuale e collettiva, per l’assenza di dirittura morale interiore, a volte si aprono squarci di civili e dignitosi comportamenti operati da coloro che sicuramente hanno rappresentato un faro di guida per il nostro autore e lo hanno invogliato a prendere il largo dallo squallore

Guardo mio padre :
in una mano la borsa con la carta
nell’altra quella con la plastica
a piedi verso il punto di raccolta,
lui che non guida, con quanta dignità
e così poca convinzione, differenzia
è uomo d’altri tempi.

Mia sorella carica tutto in macchina
e ogni due o tre giorni, senza alcuna
certezza, ricicla tutto ciò che può, che deve.
Passo davanti alla biblioteca comunale
mi appunto la data : otto aprile 2011
e un fotogramma, duecento metri
di spazzatura accatastata.

In tutto questo mio nipote canta
la sua canzone preferita.

Tre generazioni sono rappresentate: la più anziana compie il suo dovere di cittadino “differenzia” , la generazione di mezzo fa la stessa cosa ma “senza alcuna certezza“ e l’ultimo della stirpe, il nipote canta indifferente la sua canzone preferita.

E quindi, di fonte a questo mondo di ipocrisia, di indifferenza, di qualunquismo, e di volgarità è già gran cosa che un giovane di allora come Montieri arrivasse ad interrogarsi in questo modo:

Mi chiedo cosa accadesse a Giugliano
cosa accedesse di diverso, s’intende,
soffiava il vento di notte nei rioni
parlavamo a voce alta, ma di che ?
Certi giorni pioveva fortissimo, e noi
( rallentati da pozzanghere infinite
da fossi d’acqua, fiumi di lava sporca )
sognavamo i sogni dei ventenni
gli stessi ad ogni latitudine, parallelo
sognavamo in dialetto, senza dirceli
per debolezza o per conservazione

ma perdevamo ogni cosa per strada
a ogni giro in motorino senza casco

Ma se fino ad ora non ho parlato che del Montieri capace di fare l’esame crudo del proprio backstage culturale, devo dire che il fascino della sua poesia si rivela ancora meglio e maggiormente quando parla di sé, delle sue passioni e di amore, perché lo sa fare con un senso della misura e con una delicatezza tali da lasciare il lettore sorpreso e meravigliato per certe folgorazioni linguistiche e stilistiche come in questo frammento che riporto :

…………….E mi piacciono le parole

……………………. Amo Guadalquivir
nome proprio di fiume
suona liquido, d’acqua
più di tutte mi piace
la parola ghiaccio, secca la gola

e ancora, parlando di Milano :

………………….
a volte è il grigio che disegna la Ghisolfa
e il suono secco della parola Lambro

e ancora, parlando di Marghera trova questa folgorante definizione che chiunque, arrivando a Venezia in treno può condividere ed accettare, qualora potesse dimenticare quale causa di morte è stata questa città ai tempi del petrolchimico inquinante

…………..
non sembra vera, ferro sull’acqua
diresti un posto dove non sia muore
un posto da fotografia, da poesia

Lampi di poesia, direbbe un critico uso al linguaggio che spesso si usa per giudicare questo genere letterario, io preferisco chiamarli “ fotogrammi “ ai quali ho già fatto cenno in apertura della mia lettura. Fotogrammi scattati da una persona che li vede rendersi concreti sotto la sua pelle, specialmente quando l’analisi è orientata con il proprio sentimento d’amore verso chi condivide la vita dell’autore, ma questo amore è sempre narrato con pudore e riservatezza, come in questo frammento già citato in precedenza per altri motivi:

…………

Milano………..

Mi somiglia nei pomeriggi estivi
quando stiamo zitti entrambi
stupefatti dal colore che fa verso le sei
il sole, quando piomba in fondo al viale

Oppure quando celebra una partenza, presumo da Venezia verso Milano, e lo fa con questi versi

riparto che è già buio
poche luci, qualcuno a cena
otto e venti, sarai già a casa

all’andata le stazioni sono belle
al ritorno soltanto panchine vuote
gente di schiena
tutti lasciano qualcosa prima dei binari
oltre le biglietterie, ai parcheggi

Padova : è presto per chiamarmi fuori
per cui ho tre libri ma non leggo
quello seduto di fianco guarda un film

io non faccio niente
accumulo ritardo
è come se ti avessi ancora addosso
la ragazza di fronte mi sorride
nemmeno se ne fosse accorta.

L’amore sembra essere importante per questo poeta, ma l’uomo Montieri non riesce a mettere mai da parte una sua visione del mondo e della società che lo caratterizza attraverso tutto il volume.
C’è la guerra, c’è la violenza, ci sono i feriti ed i morti ad opera della violenza di un mondo cieco che non sa amare, che è distratto, e che dimentica, ma che può essere riportato al suo concreto solo dalle parole di una poesia, come in questo ultimo caso:

Cinque autobombe a Damasco, dico
rivolto a un collega, ed è tutto quanto.

Ci sono dei bambini ? Mi domanda,
alcuni pare, certo che è un disastro.
Sì lo è, fine del discorso, punto.
Resta un silenzio bianco, ampio
come il rumore del nevischio
oltre le finestre, non attacca.

avremo-cura-copertina-solo-prima

2 thoughts on “Avremo cura di Gianni Montieri, note di L. Paraboschi”

  1. Caro Luiss, caro le mieparole, caro almerighi, una rimpatriata si e mi fa tanto piacere “vedervi” tutti 🙂
    Questo nuovo libro di Montieri io non l’ho ancora riposto perché, voi mi insegnate, la buona poesia va centellinata come il vino, per assaporarla meglio.
    Complimenti Luigi per la tua analisi. Un bacio a tutti

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