A margine di Ivan Fedeli, recensione di Luigi Paraboschi

A margine di Ivan Fedeli, Giuliano Ladolfi Editore, 2019. Recensione di Luigi Paraboschi.

 

 

Questo è il quarto libro di Fedeli che leggo e di cui parlo e, accingendomi a farlo, sento risuonare nella mente il titolo di un racconto di Raymond Carver dal titolo “di cosa parliamo quando parliamo d’amore“.
Carver parla di gesti che sembrano insignificanti, e invece sono in grado di restituire a ogni vita tutta la grazia nascosta dietro la banalità del quotidiano e delle paure.
Lo stesso fa Fedeli: parla sempre d’amore non nel significato banale che spesso si attribuisce a questo termine, ma di amore per la vita e per ogni sua manifestazione che passa attraverso una religiosità sempre presente in tutti i suoi lavori, ma che in questo ultimo assume toni colloquiali, amichevoli, creando nel lettore un’immagine di Dio letto come Padre ricco di quell’amore che ogni padre generalmente nutre verso i proprio figli.
Sono tanti gli spunti interessanti che questo lavoro fornisce al lettore, ma credo che si possano tutti condensare dentro una visione “buona“ (l’aggettivo che Ivan usa con una frequenza tale da lasciar supporre che ciò sia realmente intenzionale e non una disattenzione, o frutto solo della sua generosità di sguardo) che spazia dentro la quotidianità la normalità della solitudine come essenza dei nostri rapporti tra uomini.
Questa solitudine è ben detta in questi versi.

Un fuorigioco passivo diresti/ che è andata così la vita a tuo figlio/ domani se chiede degli anni d’oro,/ del ruolo che anche i sogni hanno tra un calcio/ al pallone e la voglia del mondo, a cambiarlo un poco alla volta però.

E più avanti prosegue :

Ma c’è una panchina per tutti/ prima o poi dove il silenzio è un dovere/ anche se è domenica e piove e aspetti/ un crampo, una scivolata maldestra/ per entrare. Chissà che resterà/ di quei cinque minuti, forse il vento/ di marzo sui capelli o un’esistenza/ vera che ancora oggi non capiamo e/ resta pur parte di noi, di un segreto/ duro ben oltre ciò che siamo dentro/ da custodire a lungo come spesso/ accade a chi desidera, a chi spera.

E’ la normalità dei rapporti, lo scoprire che la propria vita è molto simile per non dire identica a quella di migliaia di persone, uomini, donne, ragazze giovani o meno, ciò che riempie l’animo dell’autore e fa sì che ogni barriera, ogni preclusione venga meno, e si apra il suo sguardo “buono“ su di loro e lo induca a scrivere versi che non possono che riempire il lettore di condivisione emotiva, come quando dice:

È mattina qui quasi i giorni/ fossero gli stessi da sempre: noi,/ la forfora nascosta in fretta e furia,/ il tram per viale Porpora in ritardo/ come la primavera.

Lo sguardo è sempre attento, sia quando osservi “la forfora nascosta in fretta e furia“ sia quando si posi con curiosità su di una ragazza appena salita sul tram:

…è innamorata del mondo si vede/ dal colore del giaccone, da come/ saluta tutti anche se nessuno risponde/. Darle un nome forse mentre/ accavalla le gambe e legge Guerra/ e pace, per l’esame dice al vecchio/ di fianco che pensa al peso degli anni/ e sospira un po’ a guardarla a sua volta…

E’ uno sguardo profondo, non consueto, attento e bonariamente comprensivo verso il signore che siede accanto alla ragazza e “pensa al peso degli anni e sospira un po’”, come l’autore è attento quando osserva se stesso e si confronta con gli altri, con il mondo che è fuori e dentro la sua casa, e che fa parte della sua vita:

Pensarlo che cos’è l’amore allora,/ se non il congiuntivo ingarbugliato/ dei tassisti di Loreto, la loro/ pausa pranzo con l’idea dei figli/che gli assomiglino almeno. O la forza/ dei palazzi che si alzano a radice/ del mondo, quella vita delle case/ dentro dove ci si spoglia e tossiscono/in salotto con la tele sul tg/ e il riso Scotti in busta che ci manca/ tempo. Sono cose di lusso queste/ e restano impigliate alle parole,/ bisognerebbe sognarle ogni tanto/ o chissà. E tu che posti in rete frasi/ di poeti dell’Ottocento inglese/ dopo la doccia, ti asciughi cantando/ felice un De André d’annata. Poi vivi.

Ci troviamo di fronte al canto di un poeta attento, sia ai congiuntivi dei tassisti, sia al riso Scotti, sia alla vita nelle case dell’Olgettina, – la zona di Milano nella quale quasi tutte le poesie di Fedeli sono ambientate -, di un artista che ha fatto sua, e l’ha appresa vivendo fino in fondo, la lezione iniziata con Leopardi, e passata attraverso Raboni, il milanesissimo Loi, i versi di Erba e, in parte, quelli del primo De Angelis.
Ma a me sembra che il tocco che egli ha posto nell’ultimo verso, in quel “poi vivi“ chiuso tra due punti, sia il modo in cui egli prende le distanze da quelle “cose di lusso che restano impigliate alle parole”, è il tocco che egli usa per richiamare fino in fondo l’attenzione del lettore, e sottolineare che occorre saper prendere le distanze tra il postare in rete frasi di poeti dell’ottocento inglese, e le canzoni di De Andrè.
Lo sguardo è sempre benevolo, pieno di curiosità, pronto agli accostamenti della memoria, aperto ad allargarsi sulle persone che incontra e con le quali sente di avere molte cose in comune, anche se la sua età è lontana da i protagonisti di questi versi.

Seguiamolo anche noi su quel tram: i due ragazzi un po’ alla Prevèrt manifestano l’un l’altra i propri sentimenti

In fondo chissà i due che un po’ si abbracciano/ guardando dietro. Forse se la ridono/i n barba al mondo, forse salutano/ le facce opache dei signori in coda/ come i bambini in gita. Poi si baciano/ credi per dispetto perché a vent’anni/ si può che lo vuole la vita.

e quando scendono lasciano il poeta avvolto in un senso di tristezza sottile che lo rimanda ai ricordi della propria vita gioventù:

Scendono/ con altri fino a diventare piccoli/ piccoli mentre allunga il tram e prende/ qua e là un non so che di vuoto ecco, quasi/ti mancassero le chiavi di casa,/ o la foto di tua moglie da giovane/ in tram e tu che l’abbracci a tua volta/ in un mattino di marzo, a Milano.

Ma il ricordo di quanto è avvenuto durante la giovinezza non cristallizza il sentimento che egli prova nei confronti della persona amata, e lo scrive con chiarezza qui :

Forse è così, forse si è giovani anche/ dopo, quando ci si bacia di meno/ e le carezze si fermano un po’/ alle mani che si sta bene al buio/ immaginando i vent’anni e le rughe/ lasciarle da parte, per il mondo o/ la città

Ciò non toglie alcun valore a quanto si prova per la compagna della vita, e

Ma è questa la notte, quella/ dei figli a letto e le preghiere e i compiti/ fatti. E ci si guarda quasi a vedersi/ come per la prima volta poi dirti/ sei bella sapendo che sai che adesso/
ci sono parole e parole e anch’io/ so finché ti stringo e siamo gli stessi/ di una volta nonostante l’amore/ si raffini, cambi, evolva./

E, malgrado tutto, quel cinque per cento di noi che abbiamo vissuto, per citare Montale, lo induce ad una conclusione priva di rassegnazione, alla consapevolezza che la vita debba avere il cammino della quotidianità dei gesti, alla loro ripetizione, allo scoprirsi ancora capaci di gesti giovanili malgrado non lo si sia più, alla conclusione dopo l’amore identica se non più matura di quella di un tempo.

/ È l’idea/ a essere invincibile, il fatto che/ in due e in uno siamo la medesima/ cosa di un tempo, il resoconto pieno/ di noi qui, tra una poesia e il suono/ della sveglia alle sette prima di un altro/ giorno, il suo cinque per cento di vita./ Viene dopo una felicità buona/ e non si fatica a darsi la mano/ arrossendo appena, come dopo una/ bugia ai tuoi al ginnasio o la grafia/ in corsivo sul Pazzaglia e gli appunti/ su Beatrice alla rinfusa, quei fogli/ dove scrivi sarà per sempre e ancora/ ci pensi e ridi sapendo che è vero.//

La vita ha un suo flusso, è un divenire in cui :

Ma tutto accade con garbo./ Tutto felicemente normale/ senza eccezione, senza un ritardo./

come scrive in altra poesia, quel flusso serpeggia dentro anche altri che si incontrano casualmente sul tram:

Forse ha un amore, di quelli di un tempo/ quando a vent’anni ci crede per sempre/ chi ama e lo immagina lì all’incrocio/ a salutare mentre si allontana/il tram fino all’orizzonte.

ma se veramente

scrivere è poi vivere/ si sa e vita / è questa rincorsa di righe, sillabe/ vocali una accanto all’altra ma senza/ fatica come una felicità/intera, una compiutezza di senso.

il poeta non sa dimenticare di osservare il mondo che incontra giorno dopo giorno, come quando immagina un incontro con una figura di donna avvolta in quel mare di solitudine che è spesso la vita su Internet:

La nostra solitudine di massa/ tutta nello sguardo di Marina anni/ trenta e passa e una vita da cercare/ chissà dove. Si tagga un po’ in ritardo/ dopo un bacio ai figli e due parole/ al marito per non lasciarlo solo/ tra la tovaglia e il divano. /

E’ la fuga nel mondo della fantasia, degli incontri fittizi, dei sentimenti indotti e che si credono condivisi con altri , una fuga che permetta di realizzare qualche sogno rimasto nel cassetto:

Poi dice/ di sé e di come si passa in silenzio/ nonostante qualche carezza qua/ e là. Vorrebbe uno spazio bello/ nei cuori di tutti e metterci un tacco/tredici e un vento buono sui vestiti/ che facciano vedere finché si osa.

Attorno si svolge la vita quotidiana, i gesti consueti, i pranzi domenicali a casa :

Posa così lei e la città alle spalle/ dalle parti di Lambrate che sa/ sua dai lampioni agli incroci uno via/ l’altro. E piace quasi la rete fosse/ corpo, voce condivisa. Pensarla/ mentre si pensa o pulisce la casa/ perché è domenica e si pranza insieme.

In questo mondo di rappresentazione usuale si inseriscono gli incontri della Rete, ma alla fine ci si deve accontentare di un sorriso sopra un bicchiere di birra, lasciando correre il pensiero al lunedì a scuola:

Cos’è vero, che cosa tiene qui/ scrive l’amico sessantatré/ che si chiama poeta. Tu lo immagini/ e basta e sorridi dopo un bicchiere/ di birra e Virgilio da rispiegare/ in terza, la pietas o i concetti astratti,/ poi i piatti da lavare, e fuori il sole./

Ognuna di queste poesie ci racconta una storia di persone, una sorta di Spoon River di milanesi viventi, e la maggioranza racconta storie di solitudine, come quella di Antonella, malata di nervi e ricoverata in casa di cura:

la dama di bianco/ come la chiamano, il sorriso pronto/ da giugno a settembre poi l’esistenza/ a inseguire giostre e marito da Asti/ a Mondovì…..

Un ospizio per persone malate di mente ove le visite sono effettuate talvolta la domenica dai parenti, è l’occasione per Fedeli di porsi domande:

Cos’è la vita chiedigli in questa domenica/ da stagione bassa che fanno visita/ i parenti da Genova e ti portano/ il gelato, se capita.

La risposta Fedeli non la conosce, però offre al lettore una fotografia, con la poesia che segue e che riporto per intero, della sofferenza e della nostalgia di chi ode la vita accadere fuori dalle mura della casa di cura, e non la può più vivere che nel ricordo. Sono versi che stringono il cuore e la mente del lettore dentro una morsa dolorosa che lo rende partecipe di un dramma che si svolge lontano da noi “sani“ ma del quale non si può fare finta che non esista.

Salvami ti prego dell’inquietudine/ che è il mare quando è notte sul mare e/ si dà fin qui dalla costa e tu senti/ settembre che scivola via con te/ e gli oleandri e la badante russa/ a fine turno mentre si fa tutta/ da marito lasciando un’aria un po’/ incompiuta tra la stanza e la luna/ maledettamente là fuori. Chiudimi/ gli occhi almeno da immaginarla e basta/ la vita lungo l’Aurelia o a ridosso/ del regionale delle ventitré/ che ti sbalza dal letto e tu li conti/ i vagoni ma uno alla volta e sai/ dentro chi c’è chi si bacia chi pensa/ o chi ascolta o a volte prega a sua volta./ E anche più in là dove le donne amano/ passeggiano strette ai figli e sorridono/ a uno sguardo poi godono del mondo/ e del domani che sarà finché/ sarà. Bastano due giri di chiave/ qui, sono la camera diciotto e/ non ho nome ma federe pulite/ e un comodino con la luce sempre/ accesa. Di me dicono degli occhi/ azzurri e che un tempo volavo. Sono/ cose che mi piace sì sentirle quasi/ avessi un mio destino. Così scrivo/ parole nella sabbia forse spero/ poi in qualcuno che le legga ben prima/ del vento di bassa stagione, quello/ che porta pioggia improvviso, da nord.

Tuttavia la disperazione non ha mai il sopravvento nel lavoro di Fedeli, egli è sempre capace di soffermarsi sopra anche il particolare minimo che appare da un incontro come in questi versi nel quali ci parla delle riflessioni di una casalinga :

C’è/ una felicità nascosta allora/ nel cartello in cartone e la scritta vivo/ anch’io ben oltre viale Palmanova/ e le scuole che aprono e gli studenti/ di marzo, belli come la mattina

e anche di coloro che scendono dal metrò:

E la amano in cuor/ loro la vita, anche se in fondo passa/ in fretta tra una coincidenza e i cani nei parchetti al guinzaglio che magari/ ci si viene con i figli domenica/ anche noi.

La fiducia del poeta nei confronti della vita e del mondo è la forza interiore che lo fa scrivere con ottimismo non di facciata:

Deve esserci lo zampino/ di Dio anche qui se in un prato c’è/ l’idea del prato e i fiori e i colori/ e i profumi dentro e tutto il prato in sé unico/ ma uguale agli altri prati. 

e in altra aggiunge

Sta davvero lì la felicità,/ in un grazie scritto tutto in maiuscolo/ che ti sembra sorridere alla vita,/ a viverla il più a lungo possibile./ Deve essere questo Dio, l’idea/ che l’universo intero stia in un foglio/ di carta mentre cerchi di spiegarlo/ a tuo figlio che esiste, un po’ alla volta/ però. Così sorride come fosse/ il sorriso il modo per raccontarlo/ al mondo nonostante la grafia/ da brutta copia e le cancellature/ una via l’altra.

Mi allontano con i versi di cui sopra da questa raccolta di un autore che, anche se mi sembra superfluo aggiungerlo, amo molto sia per la chiarezza della sua scrittura, sia per la facilità di lettura dei suoi versi se si possiede una mente aperta e non schiava di intellettualismi superflui, e anche per una personale affinità che mi fa condividere la visione che il mondo sia qualcosa da raccontare nonostante la grafia da brutta copia e le cancellature una via l’altra

e che sia vera e condivisibile anche questa parte di un’altra poesia:

Così accade/ il mondo e t’appartiene, così noi/ della medesima specie che pensano/ ci sia davvero una parte di Dio/ divisa tra tutti quando chiami o/ rispondi e non sei un altro per un soffio/ un accento, nonostante la grafia/ ancora abbozzata o le consonanti/ da scrivere bene a casa, per compito./

in apertura Emiliano Barbieri, Bolivia

 

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