A tutta poesia: l’evento di premiazione del concorso “poesia senza confine” dell’Associazione La Guglia di Agugliano (AN), reportage.
Ad Agugliano (AN) il 24 giugno scorso, la consegna del Premio nazionale “poesia senza confine”, il recital dell’attore regista Giulio Base, e un convegno, hanno confermato che la poesia forse non è indispensabile e probabilmente non serve a cambiare il mondo con effetto immediato, ma è un “fare” senz’altro necessario.
Comunque, confronti ed esperienze si sono intrecciati con il ruolo della poesia oggi: inutile? O indispensabile? Tutti, esperti e non, propendono per il secondo aspetto perché, come hanno detto i Grandi e riportato i relatori del convegno: “La poesia non cambierà il mondo (cit. Patrizia Cavalli), ma è la forma più alta dell’eloquio umano; il nostro imperativo biologico”.
Elena Micheletti di Bologna e Carmelo Morena della provincia di Varese, che ha composto i suoi versi nel dialetto di Reggio Calabria, sono i vincitori dell’edizione 2017 del Premio “Poesia senza confine”. Estremamente interessanti le motivazioni della giuria di esperti per queste scelte. Della Micheletti hanno detto che “usando un linguaggio asciutto, ma privo di quelle banalità che inquinano tanta poesia, l’autrice percorre un viaggio attraverso la conoscenza del dolore” e concludono riconoscendo che “questa possiamo chiamarla, senza ombra di dubbio, buona poesia”.
Di Morena, invece, la giuria ha scritto: “Un universo descrittivo che è pacificante e culla di gioia di quell’inesperienza, forse, alla vita con la quale gli occhi sono in grado di stupirsi e di giovare del tempo. L’impianto dialettale è notevole…”.
La celebrazione del Premio “Poesia senza confine” era cominciata nel pomeriggio con il convegno “Il verso del migrante” – relatori: Paolo Polvani, Enea Roversi, Silvia Secco, Emanuela Rambaldi, Claudia Zironi, Massimo Grilli – in cui sono stati dapprima analizzati i fenomeni migratori umani, nati con il mondo, essendo proprio caratteristica dell’uomo quella di spostarsi per conoscere, conquistare, cercare, trovare, fuggire, salvarsi… Da questo punto di vista i versi dei migranti si somigliano, perché fanno riferimento agli stessi sentimenti, spesso di paura, che determinano tali spostamenti. L’esperienza di Bertolt Brecht, Billy Wilder o Albert Einstein, tutti profughi, non è diversa da chi oggi fugge dalla Siria. E le parole sono le stesse. E le poesie usano le stesse parole. Di certo, dopo tante tragedie del mare, vissute da chi ha cercato di raggiungere l’Italia e comunque l’Occidente per salvarsi e salvare le proprie famiglie, risuonano come un’accusa le parole riportate da Emanuela Rambaldi, relatrice del convegno: “nessuna madre mette i propri figli sull’acqua se questa non è più sicura della terra” (cit. dalla poesia “Casa” di Warsan Shire). Sono state lette poesie dei poeti italiani “migranti”: Dino Campana, Giuseppe Ungaretti, Luigi Di Ruscio, Alfredo De Palchi. Poi si è parlato dell’editore, scomparso due anni fa, Gianmario Lucini e della sua antologia “Keffyeh – intelligenze per la pace”; della casa editrice Terra d’ulivi di Lecce e della sua antologia “Muovimenti” curata da B. Bellanova, P. Piccolo, Lucia Cupertino – della quale è stata menzionata l’incredibile esperienza di antropologa e di comunitarismo in Colombia, Gassid Mohammed – del quale si è parlato anche come poeta e come curatore dell’antologia delle poesie di Ashraf Fayadh.
In serata, dopo la cerimonia di premiazione di tutti i classificati, è salito sul palco Giulio Base per il suo recital. L’attore e regista, che ha partecipato con molta attenzione a tutta la serata, ha annunciato che a giorni inizierà a girare a Roma, come attore, un film di Ridley Scott sul rapimento di Paul Getty, dal titolo “All the money in the world” e che finalmente (“E’ un sogno di 25 anni”, ha detto) potrà curare la regia de “Il banchiere anarchico”, tratto dall’omonimo racconto di Fernando Pessoa, ma ha però sottolineato come la poesia sia il suo primo e vero, grande amore, raccontando gli anni nella scuola di Vittorio Gassman, quella Bottega Teatrale di Firenze in cui ha imparato ad apprezzare alcune poesie, care anche al suo maestro. E infatti i grandi classici dell’Ottocento e Novecento che ha proposto al pubblico di Agugliano li ha tratti proprio da una “Antologia personale di Vittorio Gassman”, spaziando da Leopardi a Manzoni, a Pasolini, Belli, Trilussa, Gozzano, D’Annunzio, per concludere con “L’Infinito”, in un silenzio partecipato e corale in cui anche i grilli di una notte finalmente fresca, grazie a una lieve brezza di mare, hanno smesso di cantare.
CLASSIFICA POESIE IN ITALIANO
GIURIA: Paolo Polvani (presidente), Emanuela Rambaldi, Enea Roversi, Silvia Secco, Claudia Zironi
1° Elena MICHELETTI (Bologna)
2° Marco FRUSCA (Brescia)
3° Andrea CATTANIA (Milano)
Segn. Anna Elisa DE GREGORIO (Ancona)
Segn. Monica FIORENTINO (Sorrento)
Segn. Camilla LAVAZZA (Monzambano – MN)
MENZIONI CON PUBBLICAZIONE DELLE POESIE NELL’ANTOLOGIA 2017:
Nazareno CAPORALI (Milano), Antonio COCCHIARO (Lanciano – CH), Mattia GALLIANI (Chieti), Maria Teresa MURGIDA (Vallefiorita – CZ), Antonio SPINOCCIA (San Gimignano – SI)
CLASSIFICA POESIE IN DIALETTO
GIURIA: Lorenzo Spurio (presidente), Elvio Angeletti, Massimo Grilli, Massimo Fabrizi, Germana Duca Ruggeri
1° Carmelo MORENA (Cassano Magnago – VA)
2° Stefano BALDINU (San Pietro in Casale – BO)
3° Giuseppina LESA (Pasian di Prato – UD)
Segn. Cesarina CASTIGNANI PIAZZA (Monte San Vito – AN)
Segn. Edoardo PENONCINI (Ferrara)
Segn. Luisa PIVETTI (Carpi – MO)
Una poesia di ciascun autore primo classificato nelle due sezioni:
Pochi numeri – di Elena Micheletti.
Quando a mio padre
si fermò il cuore
gennaio era già finito.
Mia imparava a fare la conta
e dopo l’otto
metteva il dieci.
I numeri, si sa, a volte saltano via
come i battiti.
Al piano quinto di cardiologia
io, invece,
imparavo tre cose.
Che gli infermieri si sanno nascondere bene
come i bambini;
che mia madre aveva una storia sul thè
da raccontarmi
e che mio padre,
la paura,
la teneva nascosta in quello spazio microscopico
che c’ è
tra gli occhi e una carezza.
*
NU PATRI – di Carmelo Morena.
Non ti pozzu cuntàri com’èri,
‘nte ricordi ra mè figghiolanza,
a tò facci, i tò occhi, i pinzèri,
i palori, ‘ndo chiusu i na stanza.
Si svacanta e si inchi sta testa,
ri discursi ra vita passata,
scurri u tempu e pocu ‘ndi rresta,
prima ancòra mi spiccia a jiurnata.
Comu un libbru, liggiùtu o cuntrariu,
chi vo leggiri ancora ddu vòti,
tutti i jiorna i stu calandariu,
mi ricordunu sempri i tò lochi.
E ti vardu, mentri hai l’occhi chiusi,
‘ndi sta branda sulagna i spitàli,
chista è a vita, cchiù spini ca rosi,
nu limuni carricatu di Sali.
E ti tegnu sta manu caddhusa,
chi na vota tiniva a mè manu,
mi purtavi cu l’aria gioiusa,
baffi niri e capiddhi i gitànu.
Undi naviga ora a tò menti,
marinaru ru tempu i na vota,
quali mari, cu ventu i punènti,
sta vucandu alla sciabacòta ?
Ma jieu vogghiu pinzàri a com’èri,
… e to occhi culuri ru celu,
a ddhu pezzu di prajia d’aièri,
a ddhi jiorna cu mari era un velu.
Mi ‘ndi jia, ch’èra sira di ‘mbernu,
pi nu pani luntanu e sicuru
e stasìra’nto pettu c’è u ‘nfernu,
mentri fora si fici già scuru.
UN PADRE
Non ti posso raccontare com’èri, / nei ricordi della mia adolescenza, / la tua faccia, i tuoi occhi, i pensieri, / le parole, nel chiuso di una stanza. / Si svuota e si riempie questa testa, / dei discorsi della vita passata, / scorre il tempo e poco ne resta, / prima ancora che finisca la giornata. / Come un libro, letto al contrario, / che vuoi leggere ancora due volte, / tutti i giorni di questo calendario, / mi ricordano sempre i tuoi luoghi. / E ti guardo, mentre hai gli occhi chiusi, / in questa branda solitaria d’ospedale, / questa e la vita, più spine che rose, / un limone caricato di Sale. / E ti tengo questa mano callosa, / che una volta teneva la mia mano, / mi portavi con l’aria gioiosa, / baffi neri e capelli da gitano. / Dove naviga ora la tua mente, / marinaio del tempo di una volta, / quali mari, con il vento di ponente, / stai remando all’impiedi. / Ma io voglio pensare a com’èri, / … ai tuoi occhi colore del cielo, / a quel pezzo di spiaggia di ieri, / a quei giorni che il mare era un velo. / Me ne andai, ch’èra sera d‘inverno, / per un pane lontano e sicuro / e stasera nel petto ho l’inferno, / mentre fuori si è già fatto scuro.
*