Ab urbe condita di Viola Bosio con una poesia di Matteo Giovanni Lorenzi.
Ho sempre vissuto in città, da quando avevo due anni e pochi mesi ho vagato in qua e in là, per case più o meno diroccate. Non credo di poter vivere in un luogo diverso da questo, proprio per mia costituzione fisica, anche se amo moltissimo anche la campagna, dove stavo e torno a trovare spesso mio padre.
Insomma, io adoro la città, tutte le città, ma in particolare la mia di origine, Brescia.
Nel corso degli anni mi sono spesso chiesta per quale motivo, quali caratteristiche, attività e peculiarità mi abbiano tenuta inchiodata, come legata a un elastico anche quando ne ero lontana, tornando sempre, alla città; anche durante le discussioni più o meno interessate (scambio spesso convinzioni e mi capita di divergere con le mie stesse idee, incoerenza genetica), quelle di circostanza alle cene di Natale e feste più o meno gradite, non ho mai cambiato opinione, pur avendo visto molti altri posti e vissuto altrove.
Tanto per cominciare il nome città e tutti i termini che fanno parte della nuvola significante: urbano, urbanizzato, civile, civico, cittadino, pubblico, pubblicità. Tutte parole che a me evocano un solo grande complesso frutto dell’evoluzione umana: la civiltà. Non ho mai dato credito all’ipotesi rousseaiana del buon selvaggio, credo fermamente che un uomo o una donna selvaggi sarebbero semplicemente senza morale, in balia dei loro istinti naturali e non conoscerebbero la differenza del bene e del male, proprio come Adamo ed Eva e questo sarebbe giusto, normale. Ma sarebbero come animali e per quanto mi possano essere simpatici e fascinosi, un animale non desidera altro che essere se stesso, quindi… che gusto ci sarebbe? Invece la civiltà rappresenta una sfida continua all’ingegno, all’amore, all’evoluzione. L’uomo è stato in grado di creare un ambiente artificiale perfettamente in grado di soddisfare tutti i suoi bisogni e di costruirci l’intera Storia intorno in poco meno di diecimila anni. Non è strabiliante?
La storia mi affascina molto, specialmente quella delle città, che cerco sempre di approfondire quando ne visito una, sono curiosa, di usi, costumi e tradizioni, ne contiene l’essenza.
Questa è la parte culturale, ma poi ce n’è una diciamo operativa, di vissuto.
La cosa che faccio sempre quando visito o torno in un centro urbano è passeggiare. Posso andare avanti per ore, solo camminando e osservando cosa mi circonda, in particolare le persone.
È interessante triplicare la visione come un esercizio teatrale e concentrarsi su almeno tre livelli della propria sfera percettiva: l’alto, il medio e il basso. Guardando su, operazione non sempre possibile in movimento, ma spesso seduta in panchina, ci sono palazzi, tetti, finestre chiuse, balconi, alberi e pezzi di cielo vibrante. Guardando giù, cosa che faccio spessissimo, ci sono oggetti di ogni tipo, da piccoli a molto evidenti, cagnolini, pezzi di cose e i piedi delle persone. Nella parte mediana si nasconde il tesoro: la gente. Avete mai provato a sedervi in un luogo frequentato, all’aperto e provato a individuare le storie che si celano dietro ai comportamenti delle persone? Come sono in relazione, cosa sentono, dove andranno, da dove provengono, come saranno le loro case e se saranno felici del loro vivere? È meglio di qualunque cinema, pubblicità o videogioco (in cui faccio pena). Anche meglio di un romanzo, anche se quest’ultimo ha il vantaggio che posso rileggerlo. Mi fa sentire presente, viva, incastonata in un mondo che pulsa di miliardi di battiti e respiri, di desideri, inconsci, e molto altro, un po’ come un globulo nelle vene o un cristallo di neve in una foresta che cade sul palco di un cervo in fuga. Inserita e insieme unica. I giapponesi usano un termine specifico, ama’e, l’amore universale. Patetico? Non so, mi sono spesso commossa dell’umano. Non in modo distaccato, ma partecipato.
Altro discorso si prospetta di fronte a una città vuota, specialmente quelle turistiche. Appena uscite dai giri conosciuti e approdate in un vicolo deserto, avete la possibilità di sbirciare dietro le quinte dal can can costruito per i gonzi che spendono: vedete i veri cittadini di Bruxelles, Parigi, Praga.
Alcuni di questi posti dimenticati dal turismo mi hanno stretto il cuore, seriamente, come la Berlino est. Altri mi hanno restituito una sensazione di riposo, di una vita chiaramente involuta, come quei letti decorati in ferro battuto: linda, solida e delicatamente decorata, senza andare a discapito della praticità.
Sì, perchè le città hanno uno spirito. Tutte quante. Ne avrò visitate circa una decina per piacere e tutte, tutte quante, mi hanno trasmesso il vero profondo spirito che si trova anche levando tutti gli esseri umani che le vivono. Parigi è delicatissima, Bruxelles malinconica, Madrid burlesca, New York solitudinaria e ampia, e così via.
Non c’è una sola città in cui non tornerei, anche quelle più micragnose, perfino quelle tremende cittadine di periferia che sembrano pensate solo per abbruttire un pezzo di campagna con una composizione post cubista in cemento paglierino. Più di tutti i parchi naturali, campagne e mari del pianeta. Perchè nelle città ci sono gli Uomini. In questo caso, capisco Calvino e ancora una volta mi sfoglio con piacere le sue città invisibili.
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Urban Madness
di Matteo Giovanni Lorenzi
Era lì che si manifestava la follia
era proprio lì, sotto i nostri occhi e nonostante tutto ne venivamo travolti.
Era sotto le nostre scarpe, nelle pozzanghere,
fra i rivoli e il lampeggiare della notte.
Era il vizio delle anime perse
l’odore marcio, gli occhi cattivi,
erano le rughe dei vicoli perversi.
Era lì la follia, proprio lì e si prendeva gioco di noi.
Era nei bus, riflessa sui vetri, vibrava nelle rotaie
strideva nel vuoto, sbatteva e gridava,
sputava olio, pisciava sui graffiti, ci inseguiva
senza controllo,
stracciata e sporca, come un vecchio giornale.
Era un gatto pulcioso, una merda di cane, l’indifferenza dei passanti,
il passeggero di fronte,
l’insegna di un kebab , era nelle cuffie dei walkman.
Era folle e volava, sfrecciava e correva,
ubbidendo alle luci,
era gigantesca
e prorompeva, febbrile
come uno scalpitante fiume di sperma metropolitano.
Ci nutrivamo di velocità io e te, di ruote e di orologi,
era così che estinguevamo il tempo
confondendoci
sotto un’anonima massa di ombrelli.
E’ ancora qui quella follia, è ovunque,
nella pioggia e nel pianto delle finestre
nell’impasto e nel cemento,
affonda e si aggrappa, al ricordo del tuo ultimo bacio
quel fiore mai colto,
l’appiglio mancato sul precipizio urbano.
E’ lì che s’insedia, come un subdolo slogan, come un’insegna luminosa,
come una farfalla che muore, ingoiata dai tombini.
E’ qui, il tuo bacio
è qui che danza sulla mia bocca d’asfalto
è qui che danza e fugge, fugge come un fantasma, un fantasma folle.
apprezzato moltissimo sia le riflessioni in prosa sulle citta’( ed alcune sensazioni le ho condivise nel tempo anch’io ) ed anche la poesia che mi ha coinvolto moltissimo per il contasto città e la dolcezza della sua parte finale.
molti bravi
ringrazio a nome anche dell’autore della poesia, ne siamo lusingati entrambi…
@per violalapalisse
incuriosito dal nick sono andato a curiosare sul tuo blog ed ho scoperto una serie di poesie veramente fantastiche.
avrei voluto dirlo là, ma, vista …….la tua allergia per i vecchi troppo giovanilisti, ho rinunciato.
ora, per caso, collego questo sito con l’altro nick e devo complimentarmi : sei veramente un brava poetessa.
grazie
incredibile quello che fa la curiosità, sì?
ti ringrazio tanto dei complimenti, avrei accettato anche un commento, non nicchiare.
ri-ri-ringrazio 🙂
Sia l’articolo che la poesia riflettono una parte importante della modernità. Ci sono molti misteri da svelare nelle città, molta umanità dalla quale attingere come maestra di vita nello specchio dei nostri tempi. Forse il realismo terminale, di cui parlano autori come Oldani, ha proprio la città come luogo principe in cui manifestarsi, nell’intersecarsi e compenetrarsi di soggetto e oggetto. L’articolo è molto curato, ben scritto e ricco di spunti di riflessione, la poesia è un affresco del quale ho molto apprezzato il linguaggio, privo di vana retorica, ma ricco di metafore e personificazioni originali. Complimenti ad entrambi.
lammiseria… grazie