Africa e negritude: due poesie di Emile Edang, introduzione di Paolo Santarone.
Il camerunense Emile Edang vive in Italia da molti anni e si è da poco laureato in Comunicazione Turistica e dell’Impresa all’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. “Fin da bambino – dice di sé – mi sono sempre sentito poeta nell’anima, ascoltando spesso il grido solitario del vento o contemplando, nei pomeriggi silenziosi, le forme strane disegnate dalle nuvole. Il passo decisivo però si compie una decina d’anni fa, in un particolare momento difficile della mia adolescenza. È stato lì che, sulla mia via di Damasco, sono stato illuminato dalla luce della Poesia e, da quel momento, scrivere per me è diventato come respirare: una necessità”.
Io seguo Emile da tempo, e cioè da quando Antonino Caponnetto ha cominciato a pubblicare le sue poesie nel blog Poesiaperta. E’ un poeta giovane, meno che trentenne, con una vita complicata e una sopravvivenza in Italia problematica quando non rocambolesca. E le sue poesie mi appassionano per quello che di intrinsecamente “africano” esse esprimono. Di tradizione scolastica e lingua francese (e ormai possiamo dire con compiacimento italo-francese) Emile Edang è invece integralmente africano nel sentire e nel relazionarsi, con quella svagatezza dolce, con quel fatalismo sorridente, ma anche con quella disperata fiducia, con quella ostinata speranza che possiamo facilmente riscontrare, qui in Italia, anche nello sguardo e nel sorriso dei suoi conterranei meno fortunati o quanto meno non assistiti dal tocco sacro della Poesia.
E africana è la fedeltà di Emile alla sua terra (forse dovrei dire “al suo continente”), un senso patrio che non è nazionalismo ma, come diceva il grande Senghor, negritudine.
“Essere giovane qui” è poesia civile se mai è esistita una poesia che potesse essere detta civile. Tutto il poemetto è un mix di osservazione e descrizione quasi scientifica, di urlo di ribellione di orrore e d’ira, e, infine di pietà, di riconoscimento della trascendenza, di quel sacro che fa sacra una terra meravigliosa e matrigna. Il poeta, con il suo verso lungo, paragonabile alle spatolate d’un quadro a tempera, dove il ritmo interiore si svolge fluido o si sincopa seguendo il flusso dell’anima, dipinge un quadro sconvolgente, triste, rabbioso, ma a mio parere non disperato. E’ proprio l’alito della poesia che sublima la crudezza e l’amarezza del ritratto, ma la poesia sembra di supporto a una intima incrollabile fede, come la fede (in Dio? nel futuro? nella storia? nel potere taumaturgico della resistenza nella speranza?) è supporto alla poesia.
E veniamo alla seconda poesia, “Sciabolata”, con un piglio più interiore ed autobiografico, ma anche con una chiara definizione di mission e vision.
Nato per credere
Sono una sacra disgrazia, l’ottimismo insolente
Quando i demoni della poesia
Si scatenano dentro l’abisso rabbioso della mia anima
Quando il ritmo del mio cuore batte come un cannone ad ogni sobbalzo
Il mio pensiero lanciato in orbita come un solco…
Mi sembra di vedere nei versi un piglio futurista. Le immagini, forse in questo caso un po’ gladiatorie e spaccone, si librano nei giardini dell’iperbole, contagiano di speranza. E di forza.
Un’ultima parola sulle traduzioni. Sono dello stesso Emile Edang, in molti casi con la consulenza linguistico-poetica di Caponnetto. Una “consulenza” che non inficia la piena paternità autorale di Emile, in uno di quei fortunati casi in cui all’artifex non si aggiunge quell’altro artifex (magari bravissimo, ma pur sempre “altro”) che è il traduttore.
***
Essere giovane qui
Il mattino si leva sull’agonia tranquilla delle bidonville della città e viene a morire dentro le paludi in fondo alle imbottigliate costruzioni selvagge
Il mattino scende sulle abitazioni indecenti degli élobis. Poi si intrufola moribondo lungo le strade con le sue speranze fuori tempo e il suo grosso carico d’imprevisti
Il mattino s’infrange contro gli induriti sogni dei nostri cuori, giovani già vecchi che se ne fregano di un mondo migliore
Benvenuti nel paradiso della sofferenza. In silenzio fioriscono qui tante e tante peregrinazioni, nella fitta foresta del dubbio smisurato
Ascolta il trapasso silenzioso della mia terra. Senti il ritmo dirotto del mio paese In cui l’amarezza firma i sui trionfi sui volti arcistufi, dove ogni sguardo porta il marchio delle insicurezze certe di un domani sgualcito
Perché essere giovane qui è piegarsi sotto la vecchiaia dei sogni delusi.
È invecchiare nell’angoscia di conquiste sopraffatte. È lasciarsi passare addosso tutte intere le proprie notti sognando immensi deserti e traversate marine già morte ben prima di nascere. Contingenza necessaria o necessità contingente
Essere giovane qui, è pagare a caro prezzo i loro vizi. È offrirsi in sacrificio sull’altare della malvagia ambizione dei politici dell’apocalisse. È riempirsi la bocca di rabbia e mordere in pieno la polvere
Essere giovane nel mio paese è una triste odissea, una sinfonia ridotta in brandelli, un destino spezzato che si declina sempre al passato e crolla continuamente nell’ombra del tempo come i secondi che se ne vanno
Sì essere giovane qui è scrivere con collera le proprie pene sulle pagine dell’oblio collettivo
È per questo che quando al tempio, la domenica, si viene battezzati nello Spirito santo e nel fuoco in nome del Padre e del Figlio il nostro fiume di miseria ci battezza nello spirito del vino e i fuochi d’artificio brillano in nome del padre del vizio
O Gesù, tu, il cammino, la verità e la vita, quando la nebbia mi colma lo sguardo io seguo il cammino della verità traviata
Paralizzati dal dubbio, affondati nelle nostre strade, ci perdiamo sotto la volta del cielo, tanto la vita ci disgusta
Perché essere giovani qui a casa mia, è avere per sola compagna l’eterna disoccupazione e trascorrere delle proprie lunghe solitudini a guardare le ombre tristi dei passanti, gravati dal peso angoscioso della giornata e degli anni. È osservare due polpacci disperatamente duri che perseguono un futuro inafferrabile dietro un pallone da calcio
Sì essere giovani qui, dovete credermi, è schifoso, è indecente. È passare tutte le proprie ore a strapparsi le carni dalla mano
questa mano che sanguina, la mia mano che lascia scorrere lacrime di sudore, questa mano che geme in silenzio sul muto cemento armato e sull’incudine indifferente, cara mano che piangi le sofferenze della terra, che Dio ti benedica
Che Dio benedica le mie due mani piene di sogni interrotti e delusioni di cui son causa quelli
che ci mentono cosi bene. Mia povera mano vuota per le promesse fallaci dei nostri politici tristi
Politici tristi dei cui discorsi sempre uguali si sente spesso risuonare l’eco rivoltante come l’emozione disgustosa del tamtam della notte
La politica in Africa è mistica, cinica e malvagia. È un serial tragico dalla prima all’ultima puntata. È anche peggio che negli effetti speciali. La goccia ha fatto traboccare il vaso
Sì la mia politica in Africa è una scienza senza coscienza
Ma perdonali, Signore, perché sanno quello che fanno
E quando l’Africa muore in questo modo, dove sono i guardiani del gran villaggio dei diritti umani per poter declamare i loro princìpi universali. Ma quando ciò che deve accadere, accadrà, i medici dopo il trapasso, accorreranno coi loro rosari di buone intenzioni
Mi dispiace per voi se il mio messaggio così anticonformista non rende omaggio ai vostri tanto amati suffragi popolari. Ma adesso devo proprio voltare un’altra pagina, anche se i vostri sbagli mi confinano ai margini
Mi scuso se le gocce acerbe del mio inchiostro insozzano le vostre molto illustri sensibilità
Mi dispiace se i miei schiaffi verbali vi appaiono fatali, son comunque vitali per la nostra unità nazionale
E questo fuoco del verbo che scorre in me come scorre una linfa, e mentre scorre brucia le mie labbra ed è ciò che mi permette ancora d’essere giovane qui
*
Etre jeune ici
Le matin se lève sur l’agonie tranquille des bidonvilles de la ville et vient mourir dans les marécages au fond des embouteillages des constructions sauvages
Le matin descend sur les logis indécents des élobis. Puis se faufile moribond dans les rues avec ses espoirs déchus et ses foules d’imprévus
Le matin se brise contre les rêves rassis de nos cœurs, vieille jeunesse qui n’a plus qu’à foutre d’un monde meilleur
Bienvenue au paradis de la souffrance. Ici, tant d’errances florissent en silence dans la forêt dense du doute immense
Ecoute le trépas silencieux de ma terre . Entends le rythme déchiré de mon pays , où l’amertume signe ses triomphes sur les visages blasés, où chaque regard porte la griffe des incertitudes certaines d’un lendemain froissé
Car être jeune ici, c’est croupir sous la vieillesse des rêves déçus
C’est vieillir dans l’angoisse des conquêtes vaincues . c’est subir ses nuits entières à rêver de longs déserts et des traversées avortées de la mer. Contingence nécessaire ou nécessité contingente
Etre jeune ici c’est subir le prix fort de leurs vices. C’est être un sacrifice sur l’autel aux ambitions tristes des politiques de l’apocalypse. C’est s’emplir la gueule de colère et mordre à pleine dent la poussière
Etre jeune dans mon pays c’est une triste odyssée, une symphonie cassée, un destin fracassée qui se conjugue toujours au passé et s’écroule continuellement dans les ombres du temps comme les secondes qui s’en vont
Oui être jeune ici c’est écrire avec rage ses déboires sur les pages de l’oubli collectif
C’est pourquoi quand le temple du dimanche baptise dans l’Esprit saint et le feu au nom du Père et du Fils, notre fleuve de misère nous baptise dans l’esprit vin et les feux d’artifice au nom du Père du vice
O Jésus , le chemin, la vérité et la vie, quand le brouillard me remplit le regard je suis le chemin de la vérité qui dévie
Paralysé par le doute, enlisé sur nos routes, on se perd sous cette voute tant la vie nous dégoute
Car être jeune ici chez moi, c’est avoir pour seul compagnon l’éternel désœuvrement et passer ses longues solitudes à guetter les ombres crispées des passants, assommés par le poids de la journée et de rudes années . c’est observer deux mollets désespérément rassis qui poursuivre un avenir insaisissable derrière un ballon de football
Oui être jeune ici crois-moi, c’est moche, c’est laid. C’est passer ses heures entières à s’écorcher la main. Cette main qui saigne, ma main qui verse des larmes de sueur, cette main qui gémit en silence sur le béton muet et l’enclume indifférent, chers main qui pleure les souffrances de la terre, que Dieu te bénisse
Que Dieu bénisse mes deux mains pleines des rêves inachevés et des déceptions de ceux qui nous mentent si bien. Ma pauvre main vide des promesses fallacieuses de nos tristes politiciens
Tristes politiciens dont on entend souvent retentir l’échos révoltant des mêmes discours comme le frisson dégoutant du tamtam de la nuit
La politique en Afrique est mystique, maléfique et cynique. C’est un film tragique du premier au dernier épisode. C’est pire que dans les trucages, la goutte d’eau a dépassée le vase
Oui ma politique en Afrique est une science sans conscience
Mais pardonne leur Seigneur car ils savent ceux qu’ils font
Et quand l’Afrique se meurt ainsi, où sont les gardiens du grand village des droits de l’homme pour venir déclamer leurs principes universels. Mais quand ceux qui devait arriver arrivera, médecins après la mort, ils accourront avec leur chapelet de bonnes intentions et leur affliction
Dommage si mon message en déphasage ne rend pas hommage à vos populaires suffrages. Mais je dois tourner une nouvelle page, même si vos dérapages me confine à la marge
Je m’excuse si les jets acerbes de mon ancre éclaboussent vos illustres sensibilités
Dommage si mes claques verbales peuvent sembler fatales, elles sont tout de même vital à l’unité nationale
Et ce feu du verbe qui en moi court telle une sève et me brule les lèvres, c’est ce qui me permet encore, d’être jeune ici
***
Sciabolata
Spalanco la schermata della mia storia,
Finestra in cui le icone del dolore fra loro si combattono, nell’interfaccia lugubre di ogni mia illusione.
Ecco il fascicolo della mia miseria, dove ogni file di pena è l’algoritmo d’un lungo errabondare senza fine.
Perché nel film della mia vita, là dove sostenevo il ruolo critico, io la mano del diavolo ho stretto per tanti anni.
E oggi ecco che gioco la mie carte al tavolo di questo possente formidabile sistema.
Fino a che il sole brucia su nei cieli (e) la sua luce mi divora gli occhi;
Fino a che le mie armi da guerra, i miei versi, non avranno sconfitte in un mondo rovescio che null’altro è se non un brandello dell’inferno.
Poiché qualunque giorno sempre giunge a noi con fare assente,
Ogni giorno di sangue nel passare deride l’innocente, nel passare lo squarcia.
Ho deciso d’esser forte, risoluto a colpire alla morte il pacioso discrimine, il non verboso razzismo
l’ingiustizia ai suoi colpi
Che paralizzano questa storia già pallida
Perduto nella fitta foresta dell’incerto
nella mia Africa immensa
Sono pronto a sparare col fuoco del verbo in ogni direzione
E mi scuso se la punta infuriata della mia penna finisce in culo a quelli che hanno scritto la mia storia in minuscolo
perché eroe africano
io corro agli spogliatoi della storia
lontano dal campo dove si gioca il destino del mondo
e davanti a tanti mali
ho deciso di spogliare le mie parole
di vomitare le emozioni crude dello strano animale che sono
metterò a nudo la mia verità
se è una necessità, per cambiare questa società
La mia scrittura non essendo una maiuscola e un punto
Ma un varco, un uppercut, un pugno sul ring dei colpi violenti della vita
Scrivo istintivamente per sopravvivere
Aspettando che della mia vita, la nave affondi
Nell’oceano senza ricordi del nulla
Gigante della miseria che ha come solo compenso
Il proprio malessere, mi chiamano nessuno
Sì il mondo mi chiama niente
Ma in realtà sono un gigante
Nato per trascendere oceani e vulcani spalancati
quale dolore potrà spezzare le ali del mio cuore
Nato per credere
Sono una sacra disgrazia, l’ottimismo insolente
Quando i demoni della poesia
Si scatenano dentro l’abisso rabbioso della mia anima
Quando il ritmo del mio cuore batte come un cannone ad ogni sobbalzo
Il mio pensiero lanciato in orbita come un solco
Sono pronto a liberare il clamore della rabbia che fa esplodere la mia collera
E tuona in me come una bomba
Perché ho avuto una collisione
Con degli sguardi incontrati per caso
Ho incrociato degli sguardi svaligiati e pieni di paura
Sguardi nudi e senza bussola
Che solo speravano una nuova partenza
Conosco foreste che tacciono
Branchi di popoli che si lasciano mungere
Da quelli che non mollano la sedia
E sono schiavi del loro scettro
Ho visto scorrere fiumi di miseria
Nell’immensa indifferenza di tante opulenze insolenti
Ed ecco ora la mia speranza muta e solitaria
Come uno straniero sulle vostre terre
La mia speranza, nuda e sola al mondo,
che sempre scava in cerca di brandelli di versi
Ecco la mia speranza dura come una pietra
Sopra la sabbia nuda dei vostri deserti
Un desiderio rupestre da millenni sempre
Vivo nelle mie preghiere
Io, l’orgoglio ferito come una preda, sono
tutti coloro che versarono il sangue
Tutti i dimenticati e senza voce
E tutti gli innocenti, vittime dei potenti
Io sono la speranza inchiodata sul palo d’acciaio
Sul grattacielo delle vostre raggelate ambizioni
Sacrificato al dio chiamato “libertà”
Sull’altare dei sacri egoismi
Della nuova Babele universale
E il mio corpo compresso dalle delusioni
Legato come legna accatastata
Il mio sguardo che ha perso la fede
E non sa più dove trovare la via
Io sono la valanga di parole
Sulla valle invernale della terra
Che sa spesso tacere
Ed è per questo che
Trascinato dal dubbio
Nella falesia della mie illusioni
Io rimango un supremo disastro
Una catastrofe meravigliosa
Il grande baobab della resistenza
E l’innata speranza
E l’ottimismo appena messo al mondo.
*
Coup de sabre
J’ouvre l’écran de mon histoire,
fenêtre où s’affrontent les icones de mes douleurs, sur l’interface lugubre de mes leurres.
Voici le dossier de ma misère, où chaque fichier de souffrance est un algorithme infinie d’errance.
Car j’ai serré la main du Diable pendant tant d’ans dans le film de ma vie où je jouais le rôle critique.
Et aujourd’hui je vais jouer carte, sur table avec ce système formidable.
Tant que le soleil brule dans les cieux (et) que sa lumière dévore mes yeux;
tant que mes armes de guerre, tous mes vers essuient des revers, dans cette terre à l’envers, qui n’est plus qu’une parcelle d’enfer.
Et puisque chaque jour descend toujours absent,
Chaque jour de sang se jouent des innocents qu’il égorge en passant
j’ai décidé de faire fort, je suis résolu a frapper à mort, contre la discrimination apaisée, le racisme non verbal, l’injustice et ses balles, qui paralysent cette histoire déjà pale .
Perdu dans la forêt dense, des inévidences de mon Afrique immense, je suis prêt a tirer le feu du verbe dans tous les sens
Et je m’excuse si la pointe en furie de ma plume encule, ceux qui ont écrit mon histoire en minuscule
Car héros d’Afrique, je cours dans les vestiaires de l’histoire
Loin du terrain où se joue le destin du monde
Seul et invisible, je poursuis ma partie dans le noir
Absent de la grande rencontre où les peuples s’affrontent
Et devant tant de maux, j’ai décidé de déshabiller mes mots
Et de vomir les émotions crues, de l’étrange animal que je suis
Je vais mettre à poil ma vérité
Si c’est une nécessité pour changer cette société
Mon écriture n’étant pas une majuscule, un point
Mais un pas, un ipercut, un poing
Sur le ring des coups violents de la vie
J’écris par instinct pour survivre,
En attendant que de ma vie, le navire ne chavire sur l’océan sans souvenir du néant
Géant de la galère, n’ayant pour salaire, que son mal être, on m’appelle personne
Oui le monde m’a appelé néant
Mais en réalité, je suis un géant
Né pour transcender les océans
Et les volcans les plus béants
Quelle douleur pourra briser les ailes de mon cœur
Né pour croire
Je suis un sacré malheur, l’optimisme qui écœure
Quand les démons de la poésie
Se déchainent dans l’abime enragée de mon âme
Quand le rythme de mon cœur bat comme un canon
A chaque bond
En orbite, ma pensée lancée comme un sillon
Sur l’espace sidérale de nos mythes
Je suis prêt à sortir de mes gonds
Et libérer le tonnerre de la rage qui disjoncte mes colères
Et gronde en moi comme une bombe
Car j’ai cogné des regards déballés au hasard
J’ai regardé des regards dévalisés et hagards
Des regards nus et sans boussole
Qui ne rêvaient que d’un nouveau départ
(Oui) je connais des forets qui se taisent
De troupeaux de peuples qui se font traire
Par ceux qui ne veulent pas laisser la chaise
Et sont esclaves de leurs sceptres
J’ai vu ruisseler des fleuves de misère
Sous l’indifférence immense des opulences insolentes
Et voici mon espoir muet et solitaire
Comme un étranger sur vos terres
Mon espoir nu et seul sur la terre
Déterrant sans fin des bouts de vers
Voici mon espoir dur comme une pierre
Sur le sable nu de vos déserts
Un désir rupestre depuis des ères
Toujours vivant dans mes prières
Je suis l’orgueil blessé comme une proie
Ceux qui ont laissé tomber leur sang
Tous les hommes oubliés et sans voix
Les innocents victimes des puissants
Je suis l’espoir cloué sur le poteau d’acier
Sur le gratte ciel de vos ambitions glacées
Sacrifié au dieu « libertés » sur l’autel
des égoïsmes sacrées
De la nouvelle Babel universelle
Et mon corps comprimé par les déboires
Et ligoté comme un fagot de bois
Mon regard qui a perdu toute la foi
Et ne sait plus où trouver sa voie
Je suis l’avalanche de mots sur la vallée hivernale
De cette terre qui sait si souvent se taire
C’est pour cela
Qu’entrainer par le doute sur la falaise abrupte de mes illusions
Je reste un sublime désastre, une merveille catastrophe
Le baobab de l’endurance
L’espoir déchainé
L’optimisme né
L’espérance innée
Hai ragione. Mi sono commosso. C’è un respiro enorme nei poeti di certe parti del mondo, in certi poeti. Ho letto e tradotto tanti poeti di Capoverde, ad esempio, e ne ritrovo lo stesso respiro. Immenso. Senza dimensioni. Ha sfondato il tetto di casa mia.
Sono bellissime, un vero fiume in piena di verità scomode, se si potesse trarre insegnamento dalle poesie queste dovrebbero essere studiate a scuola … e non solo.
Grazie Massimiliano e Marilena, spero che non sfonderò più nessun tetto la prossima volta 😉
Sono scritti molto belli e interessanti, pieni d’intensità poetica a scarsissima speranza… come richiesto dai tempi d’oggi; e non manca di certo la ribellione o il desiderio di cambiare : “Fino a che le mie armi da guerra, i miei versi, non avranno sconfitte in un mondo rovescio che null’altro è se non un brandello dell’inferno. ”
(per: “Poesia civile”, trovo questa definizione piuttosto bruttarella…)