Al centro dell’inverno, poesie e opere di Biagio Cepollaro con una nota dell’autore e una nota di Claudia Zironi.
Biagio Cepollaro (Napoli,1959) poeta e artista visivo, vive a Milano. E’ stato co-fondatore della rivista Baldus (1990-1996) e promotore del Gruppo 93. Poesia:v Le parole di Eliodora, Forum Quinta generazione, 1984. La trilogia “De requie et natura”: Scribeide, Manni, 1993; Luna persciente, Mancosu,1993 e Fabrica, Zona, 2002. Versi nuovi, Oedipus, 2004; Lavoro da fare (2006), Dot.com Press, 2017. La trilogia “Il poema delle qualità”: Le Qualità, La Camera Verde, 2012; La curva del giorno, L’arcolaio, Forlì 2014 e Al centro dell’inverno, L’arcolaio, 2018. Un suo romanzo, La notte dei botti, scritto nel 1997 è uscito nel 2018 con Miraggi.
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Quando l’artista si espone a un principio di decostruzione, scompone se stesso, pone l’Es al di fuori del corpo come osservatore, confina il Super-io in soffitta e lascia il Dasein fare da cavia da laboratorio – come fosse una macchina – sotto potenti lampade a fluorescenza, e ne de-scrive chiamandolo Corpo, ci porterà con lui fuori dalla storia, proprio Al centro dell’inverno.
Ma come potrà essere questo de-scriverne, visto che abbiamo un Es artista e linguista – e non uno scienziato – a compiere il lavoro di osservazione? La scrittura ondeggerà dunque in ampiezza e periodo costanti tra la prosa e la poesia, abbattendo l’enfasi nel verso lungo, scandendo con le figure retoriche di suono l’avanzare dell’analisi, lasciando cadere di quando in quando nei versi dolci evocazioni – e penso a una determinante napoletanità in questo – a proiettare il lettore in uno stato onirico.
Il “Corpo” è oggetto di ogni testo del libro, “Il Corpo” è incipit di ogni primo verso di ogni scritto del libro, il corpo come avatar scollegato dall’Es e da esso osservato, sempre presente e mai protagonista, il corpo come terminale connesso al sociale, connesso alla rete, il corpo vivente di per sé l’amore, inclusivo di un’anima irrilevante per l’analisi, il corpo per il quale la fine del mondo è metafora della morte, dove ogni singola – sua – morte è una fine del mondo, e ogni singola morte rivendica la propria Apocalisse, il corpo che è.
Il corpo nell’Occidente del declino, “al margine della speranza” incarna la “crescita” giunta al termine e “…la poesia / si moltiplica nella rete e sembra che mai come oggi / ci siano tanti cantori a fare il più rumoroso dei silenzi”.
Valuto questo libro oltremodo meritevole di lettura e intelligente, come il suo autore, raffinato artista e pensatore.
Vi lascio ora con una sua nota sul rapporto che hanno per lui l’arte figurativa e la poesia e con alcuni testi che ha scelto per noi da “Al centro dell’inverno”, L’arcolaio Ed., 2018. CZ
Dal segno della scrittura alla pittura
Se considero insieme figura, colore, materia, e segno, e in particolare, il segno della scrittura mi accorgo che per quest’ultimo vi è un destino diverso possibile dall’essere strumento e mezzo. La scrittura può anche non oscillare tra messaggio e decorazione.
La scrittura ha sempre e comunque un suo colore, è sempre e comunque fatta di una certa materia, si definisce sempre e comunque in una figura, allude sempre e comunque ad una realtà di segno, sia perché da lì proviene, sia perché da lì fugge.
Scrivere diventa gettare un ponte al di là delle lingue verso ciò che a loro modo dicono figura, colore, materia e segno sfuggiti al loro codice.
Sfuggire anche al codice dell’inconscio individuale per risalire la corrente fino all’Inizio: a tutti è dato di partecipare a quest’energia.
E’ il primo impulso non a comunicare qualcosa ma a rendere visibile l’esistenza di una possibile comunicazione.
La scrittura nella sua realtà materiale incontra le altre materie sullo stesso piano: i significati sono ancora tutti da stabilire, ma il senso è già lì.
E il primo dei sensi che appare è proprio quello del ponte tra l’alto e il basso, tra il basso e l’alto. BC
Testi di Biagio Cepollaro da Al centro dell’inverno, L’arcolaio, 2018:
il corpo ogni giorno coltiva un campo di attrazione e di energia
che lo lega a un altro corpo sedimentando la memoria nel piacere
quell’invisibile distanza diventa un giardino a cui
tornare rinnovando ad ogni abbraccio la condizione dell’inizio
intanto il mondo è sempre più inutile discorso e partita persa
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il corpo fondendosi con l’altro si muove come per uscire
fuori di sé e dissolversi nell’aria in un solo bagliore
farsi vampata di luce e scintilla: è il desiderio di ascesa
che non potendo risolversi in fuoco si scioglie in acqua
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il corpo svegliandosi nel sorriso dell’altro si raccoglie tutto
nel semplice e nudo della vita. le sue pulsazioni sono gli accenti
di un dire che conclude la frase solo per cominciarne un’altra
il flusso che lo innalza è lo stesso che ha spinto la notte
fino alla sua placida estenuazione: la luce è fiato che riprende
è provvisoria e pacifica neutralità delle cose del giorno
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il corpo si fissa allo specchio non per compiacersi
ma per decrittare l’enigma dell’occhio che non guarda
eppure vede in assoluto: senza domanda e senza risposta
come una finestra lasciata spalancata sul fiume
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il corpo ora sa che in suo potere vi è solo
la parola da formulare: nella sua bocca
prende forma rotonda un concentrato di pensiero
e passione l’uno nell’altra fusi
in una posizione. il dire è significare il mondo
non descriverlo né raccontarlo: che il senso
si dice e si misura nell’ascolto di chi resta
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