Al tempo delle fate di Narda Fattori.
La poesia nasce per dar voce e corpo ad una verità, anche se è verità di uno solo. Il paesaggio ha una sua voce che ininterrotta parla e che pochi ascoltano. Su altre antologie sono finite poesie che avevano per tema alberi e fiori; questa volta vorrei proporre alla lettura di chi fosse interessato il mio regno infantile, il paesaggio dove sono sbocciati i miei sogni, dove hanno inciso le dure realtà e dove, lentamente, maturavano gli obiettivi.
Purtroppo le azioni irrispettose dell’uomo sul territorio, malgrado le profezie di tante Cassandre, come la mitologia vuole, l’hanno reso fragile, malato, infetto.
Ho fatto in tempo a vivere in un tempo di grande rispetto per la terra e per i suoi frutti, per la fatica di chi la rivoltava con la vanga per renderla accogliente e permeabile; ho fatto in tempo anche a vedere come la si sfruttava, come perdeva di considerazione: il grano, sì, ma si andava dal fornaio e si comprava il pane. Ho parlato di verità a cui aggiungerei “memoria”: la mia infanzia è trascorsa in campagna, in una grande casa con una pluralità di voci: c’era chi era dotto e perfino chi era “semplice”. Non esistevano discriminazioni, ma lunghi conversari sulla politica e sulle donne (la maggioranza dei lavoranti estivi erano maschi e non avevano molto fantasia nella scelta degli argomenti). Quello, comunque, era il mio regno: la stradicciola di brecciolino, la lettura dei feilletons, le corse a piedi, in bicicletta, la chiamata di adulti a renderci, noi bambini, utili che ci faceva sentire importanti. La mia formazione sa di fatica , di dibattiti, di giochi, di sfide, di tolleranza, delle spighe lasciate in piedi e di grappoli lasciati sul tralcio per Zelmina ( solo molto più tardi ho capito che erano per lei, vedova, anziana e senza figli). Era la carità non cattolica; se mi permettete, direi socialista di appartenenza ad una comunità. Era il rispetto, l’etica nei comportamenti, la comunità sentita come un organismo dall’unico grande respiro.
Tutte cose di cui si è perduto il senso quando il denaro ha cominciato a sostituire il dono.
Nelle mie poesie il fulcro risale a questa mia infanzia, non pensatela pienamente felice, non lo è stata, eppure la mia formazione è imbevuta di principi che sanno d’aia e di parole grosse e grasse, di ferrea onestà e di fantasia.
Ma la memoria non è rimpianto, è ricordo, è ripercorrere all’indietro un filo che consente di dirti come sei oggi e di come sarai domani. Nelle poesie edite in vari libri qualcuno potrebbe divertirsi a contare quanto la campagna ancora mi parli con rose, bacche, grilli cicale e trifoglio,… e con le sue stagioni: “ zanne di gelo”, Il giallo paziente del grano”, “l’inverno dei rami”,…; il suo parlare però è colluso con il presente, non contrapposto; è un “ora” che diventa “allora” e viceversa. Chi scrive distilla le sue esperienze, gli incontri, i fallimenti, i libri letti, la buona e la mala sorte…., distilla, appunto, trae quelle sole parole che sono adeguate al tema che tratta.
La mia poesia corre come un acrobata sul filo: guarda quanto gli resta da percorrere perché sa dove è partito.
Al tempo delle fate
Ricordo a quale sogno apparteneva
il Titan gigantesco trattore americano
arenatosi nel cortile delle corse e delle parole
lo spaventagalline lo chiamavano
per le bianche strade di brecciolino
e accanto a lato dell’ippocastano stavano
i barili di nafta così più tardi già
adulta ho compreso il costo al barile
allora avevo le ginocchia sbucciate
i capelli a treccia i piedi scalzi e la gonna corta
piangevo spesso e ridevo con il viso tutto
e non capivo che cosa fosse più bello
se ridere o piangere o correre fino a perdere il fiato.
Il cielo lassù azzurro alto col gregge chiaro.
*
E cadendo dalla bici sanguinavo
il ghiaietto mi mordeva l’ulna e il radio
ma là dove vendevano l’ultima puntata
dell’ultimo feuilleton non sono mai mancata
mancava l’arancia il limone mancava
alcool rosa denaturato sulla ferita ahimè
il dolore era lontano era un ricordo
non come ora che bussa senza tregua
si sono spaccate le ossa fino al midollo
ma resto a intingermi di malasorte
fino alla svolta dove ho nascosto le ali
il volo sarà come di un falco verso il topo preda.
*
Rio Baldone
All’interno del mio regno scorreva
limpido in primavera con gli avannotti
con le sanguisughe nascoste nel fango di luglio
e per nostre di bimbi corse avventurose
gelato a gennaio- io ci sono caduta nell’acqua fredda
– caduta nel mio regno regina delle fate.
Potrei scrivere una poesia lunga autoreferenziale
ma eravamo in gruppo e il rio è ancora lì
rigagnolo verdastro di putredine s’è ingoiato
la mia infanzia la ventura le risate anche gli amici
più in alto le porcilaie di notte sversano i liquami.
La regina delle fate s’è fatta adulta e non ancora saggia
le sale un pizzicore agli occhi mette in moto l’auto
s’allontana dal regno incolto e violentato.
Narda, mi ha fatto rivedere con i tuoi versi ciò che Bertolucci figlio ha così ben descritto nel suo film 900. grazie
Pare un mondo lontano, invece sono ancora qui … a raccontarlo.
“Ma la memoria non è rimpianto, è ricordo, è ripercorrere all’indietro un filo che consente di dirti come sei oggi e di come sarai domani.”
Mi sono rivista nelle tue parole … grazie per questa piccola commozione odierna 🙂
“Il cielo lassù azzurro alto col gregge chiaro”
io racchiuderei in questo bellissimo verso l’infanzia di Narda.
La vedo bambina con le trecce scarmigliate correre nell’erba, nell’atmosfera di gioiosa faeria da lei stessa mmaginata, creata. Tuttavia ben salda nella terra, nella natura di cui si sentiva parte.
La levità di questa narrazione e di questi versi è tale che induce anche me a volare.
grazie
cb
Grazie per gli apprezzamenti; la bambina è invecchiata ma riesce a pensare quando era la regina delle fate sotto un cielo azzurro e sopra un’acqua chiara.
“La memoria non è rimpianto” un verso che commuove e che insieme agli altri fa la storia. La tua scrittura è un dono,grazie