Amelia Rosselli: creatura. Di Savina Dolores Massa

Amelia Rosselli: creatura. Retrospettiva di Savina Dolores Massa.

   

   

La nevrosi poetica espone il proprio dolore, non è pudica: è sincera, atterrisce e spiazza. Ogni strada nella quale si ha la pretesa di imbalsamarla ponendola in teca con definizione critica o paragone ad altri linguaggi è offesa per la Poesia.

La lingua di Amelia Rosselli, ad esempio, è sola al mondo quanto spesso lo è stata la sua esistenza. Faticata parlata, miscuglio di idiomi, denti larghi, salivazione perpetua. O secchezza di bocca. La poetica di Rosselli spesso è sete, e ogni sete è personale, quanto ogni fame, quanto ogni tutto. Applicare la conoscenza dei nostri sensi alle azioni dei sensi altrui è quanto di più errato si possa compiere. Farlo in Poesia è un abominio. È probabile che Rosselli abbia invocato aiuto, invano nel momento in cui si ha avuto su di lei la pretesa, Spiegati meglio. Spiega alla nostra mente e alle nostre convenzioni affinché si possa giungere a un punto d’accordo.
Rosselli è stata scarnificata, in vita, da studiosi inamidati di narcisismo e “sapienza”. Simili “studiosi” possono uccidere un poeta in metà istante. Non so quanto dura un istante: comunque sia, adesso desidero spezzarlo in due. Si prosegue ancora a sfogliarle la mente (io stessa adesso con vergogna), ma almeno lei non sente più l’affronto.
Rosselli non cercava accordi, ancor meno compromessi. Infine la sua vita sola l’ha gettata da un balcone, come in certi capodanni di certe città. Era inevitabile. Si uccise di febbraio: il mese confuso tra le stagioni, quello con un piede nell’inverno e l’altro nell’attesa delle rondini. Magari lei neppure ci pensò, cadendo. Non posso sapere in quale lingua morì. Non posso sapere se il suo addio lo pensò in francese, o italiano. Se fu di genere femminile o maschile. Non ha sesso il salutare. Neppure la vera Poesia.

C’è chi afferma che la scrittura femminile presenta il limite del parlare solo del sé racchiuso nel mondo delle donne. Questo a volte è indiscutibilmente vero, ma grave errore sarebbe generalizzare, quanto per la scrittura maschile, e altrettanto per quanto riguarda il verso omosessuale. Accanirsi sulla Poesia armati di bisturi da autopsia da praticare al genere mi disturba ogni giorno di più. L’analisi eventuale di ogni poetica preferisco applicarla alle anime non munite di certificato di nascita-marchio. Tale e indiscutibilmente unica era l’anima di Rosselli, e con nessun colore rosa o azzurro sento di dipingere la sua produzione.

Non sono ancora inciampata in critiche e analisi specifiche sulla scrittura maschile complessivamente, assisto invece a una caterva di conferenze e studi sulla parola femminile. Ciò che a prima vista potrebbe apparire un riscatto delle donne, rischia di essere controproducente: un ennesimo filo spinato col quale imprigionarci. Frugarci fino allo stupro. Appellarsi a “l’orgoglio femminile” è ricaduta rapida nella sfera delle debolezze. Non ci sono orgogli ai quali appellarsi: si esiste, e si scrive evitando come la morte di trovarsi diversamente guardate, ancora. Ciò che può apparire come attenzione rischia di divenire ancora esclusione. O ennesima “protezione” del “sesso debole”. O, ancora, la cosidetta “solidarietà femminile” che, nei fatti concreti e quotidiani, ha smesso di essere sincera da parecchio. Se mai autenticamente è esistita nel profondo.
La Poesia, se tale, dovrebbe incarnare sempre l’universale “dal punto di vista di…”, imparando il caleidoscopio delle vicende e dei sentimenti umani, quanto di una pietra, una pentola, un liquido seminale, un feto in ventre. La Poesia dovrebbe far udire canti dove tutto accade, o niente accade, di qualunque sesso sia la mano che trascrive sulla carta. Soprattutto adorerei vederla libera: ma questo è solo un mio punto di vista, come tutto ciò espresso fino ad ora. I miei personali sguardi porterebbero al silenzio dopo l’incontro con qualsiasi poetica. Non potrei perdonarmi mai il Giudizio su alcun testo, perché so di non sapere assolutamente nulla, e le ipotesi, francamente, le lascio a coloro che non sapranno mai che cosa cela un verso. Il contributo che ho voluto dare con questo mio pezzo, per me è già precipitato da un balcone.

Concludo.
Ho voluto qui citare Rosselli perché sarà impossibile per chiunque, quanto truffa a una creatura, definire la sua poesia “femminile”, perché lei farebbe saltare ogni buona o cattiva intenzione nella costruzione di gabbiette per cocorite.

Amelia Rosselli > per Gianfranco – da Le poesie, ed. Garzanti

Non ho voglia di morire oggi, non ho nemmeno
speranza di morire oggi: sono in piena
attività cerebrale; sono come gli altri –

candida, della tua morte fiorita d’oltretombe
della tua morte offerta a premio, del

tuo intimidito sorriso giovanile, della
tua sfacciataggine sicura e spretata. Sono

sicura tu cambierai registro, sono sicurissima
che tu non mi amerai neppure là, dove vai
e dove andrò io, vivente. Sei mai sicuro

tu di questa stessa cosa, faccenda, delirante
sicurezza d’invecchiare?

(“Non sono sicura d’esserti vicino, mai
ho sicurezza intera di te, che spiando
mi ragguagli o raggiungi…Competizione!
La vita senza guinzagli, garbugli, gola
o freschezza impervia”. Deliravo, e mi
misi ad armeggiare per correggere questo

vizio…di saperti armato di sapienza
di saperti lontano un quarto di miglia

come se tutta la sapienza del mondo potesse
sbranar cani come io già sto facendo, come
io già farò, riposandomi in questa baracca
riposandomi in ricerca di te che muori
quasi allegramente. – Perché, tanto sorriso
e tanta educazione? Nei sorrisi arabescati

del vino fluente e secco, superbo il
vino ma mista la miscela!

E sono morta oramai vivino al tuo scoccare
frecce intere per il mio parmigiano, nel
ridere di vita e morte interezza e spugne
non ho più nulla da dire, come te, che
spari o sparisci).

Io stessa, “Non ho più nulla da dire.” SDM

               

Helene Schjerfbeck, Convalescenza, 1888 - in apertura Autoritratto 1884-85
Helene Schjerfbeck, Convalescenza, 1888 – in apertura Autoritratto 1884-85

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