Anchequestopasserà di Marisa Cecchetti.
In questi ultimi giorni ho partecipato ad un evento culturale in cui la scrittrice e giornalista Ilaria Guidantoni ha parlato del suo ultimo libro, “Lettera a un mare chiuso per una società aperta”, ed Albeggi 2016. Ha parlato del Mediterraneo e in modo particolare del ruolo della donna araba. La Guidantoni conosce molto bene la sponda sud del Mediterraneo, in quanto vive tra Roma, Milano e Tunisi. Conosce bene l’arabo e le Sure del Corano come la Bibbia. Per lei il Mediterraneo è “un lago salato che unisce le due sponde”, il “mare nostrum” dei Romani e il “mare bianco di mezzo” degli Arabi -con riferimento alla bianca spuma-, mare chiuso e per questo creatore di una società aperta, non elemento di divisione ma ponte tra le due sponde che avvicina i popoli.
Ha ricordato come il Diritto Romano abbia costituito e continui a costituire, sia pur nelle differenze di religione, di costumi e cultura, un elemento in comune. Come Marsiglia abbia la sua città speculare in Algeri e che, nonostante il colonialismo e la sua sanguinosa conclusione, la lingua francese sia possibilità di apertura e collegamento, lasciata dalla colonizzazione, da non sottovalutare. E che Trapani e Tunisi portano in processione la stessa Madonna, in momenti diversi dell’anno. Tante cose ha raccontato, perché a conoscenza di quei luoghi, ma soprattutto delle persone. Anche particolari curiosi, come il fatto che lei scopre la moda delle stagioni a venire prima a Tunisi che in Italia, grazie alle sfilate di Parigi che precedono quelle di Roma. Tanto a sottolineare un legame ininterrotto.
Elemento di riflessione è stata una frase riferita alle donne, che sono tutte uguali “in sala parto e al mercato”. E sulla forza delle donne arabe pone la sua fiducia nella tessitura di un comune e migliore futuro.
Perché parlo di lei a proposito di comunitarismo? Perché il suo è un messaggio aperto alla conoscenza, alla caduta del pregiudizio, alla necessità di leggere gli eventi e la Storia guardando da altri punti di vista per meglio capire ed arrivare ad una società dove tutti abbiano la giusta collocazione e rispetto. Sono necessari tempo e pazienza, perché i ponti umani non si costruiscono da soli.
Lo stesso messaggio è nel romanzo di Kader Abdolah, iraniano fuggito nel 1985 del regime degli ayatollah e rifugiato politico in Olanda dove è diventato uno dei più importanti scrittori in lingua olandese. Si tratta di “Un pappagallo volò sull’IJssel, Iperborea editore 2016. L’arrivo di profughi musulmani negli anni ’80 in alcuni paesini lungo il fiume IJssel protestanti riformati, crea stupore, timore e pregiudizio, ma il vivere quotidiano intreccia i percorsi, le persone si rivelano attraverso quello che sanno fare e da come si comportano, si diventa progressivamente disponibili a conoscere l’altro nei suoi bisogni. Non mancano momenti di grandi tensioni – questo dipende spesso dagli eventi della Storia- ma piano piano si ricreano gli equilibri. Eppure niente è fermo, non c’è traguardo da considerare definitivo in questa avventura del vivere insieme che porta crescita culturale ed umana ed ha in sé i semi di una generazione nuova. Mista. Ci saranno sempre cambiamenti, movimenti di popoli, fusioni, sovrapposizioni, necessità di mettere in comune risorse e saperi. Grida il pappagallo volando sull’IJssel: “Aaaaaanchequeeestopasseeeeeràaa”.
Negli anni ’80 mi colpì una frase ascoltata in un corso di aggiornamento che faceva riferimento ad un inevitabile osmosi nord sud del mondo, un riversamento del sud nel nord, per ragioni numeriche e socioeconomiche. E’ il principio dei vasi comunicanti, fu detto. Una questione di Fisica. Le trasformazioni sono inarrestabili, sono una condizione della Storia e dell’esistenza.
Oltrepassare è rompere i muri della paura e del pregiudizio attraverso la conoscenza, perché si possa tendere verso una Umanità meno sofferente di adesso.
Importante, per chi ha nelle mani il Potere decisionale, è cercare la strada giusta, non quella di scelte individualistiche volte a mantenere privilegi dietro slogan menzogneri. Utopico è credere in un società civile futura dove siano raggiunti obiettivi di umanità reale e di condivisione?
Perché oggi, su questa terra sconquassata, è rimasto il dolore in comune. Quello che arriva da tutti i fronti di guerra, dalle città bombardate, dai civili tenuti come scudi umani e poi uccisi, dai morti bambini, dai cimiteri in fondo al mare. Comunitarismo del dolore.
Ho visti fuocammare di Rosi e le immagini del dolore sono fortissime ma non c’è empatia tra la gente del luogo e i migranti. Da una parte c’è lo sradicamento dei profughi dall’ altra l’atavismo isolano , riti ciclici sedimentati come rocce. Io vivo parte dell’anno a Genova, città porto affacciata sul lago di cui parla Marisa Cecchetti. Nei vicoli c’è una concentrazione di etnie che solo a Belleville credo sia uguale. I palazzi sono bellissimi, i turisti girano con il naso per aria, mentre i magrebini, i cinesi, i senegalesi, le nigeriane, gli ecuadoregni lo sguardo lo tengono indaffarato nelle loro varie occupazioni. A giugno c’è un festival interculturale che si chiama Suq, ma al di là dell’ istituzionalita’ mi piacerebbe che un giorno nei vicoli si marciasse stretti per rivendicare diritti e comunanza umana.