La tensione de “L’infinito”. Intervista a Umberto Piersanti, a cura di Paolo Polvani

La tensione de “L’infinito”. Intervista a Umberto Piersanti, a cura di Paolo Polvani

 

 

Prosegue l’Infinito 200 proposto in un precedente numero, con questa intervista a uno dei massimi esperti italiani della materia leopardiana: Umberto Piersanti.

     

Giacomo Leopardi ha composto “L’infinito” nel marzo 1819. In occasione del duecentesimo anniversario quali festeggiamenti sono previsti?

Si è costituito un comitato nazionale che comprende “Il Centro Studi Leopardiani” di Recanati, “Il Centro Mondiale Della Poesia” di Recanati, la “Regione Marche”, Il “Ministero della Cultura”. Il comitato intende promuovere una serie di iniziative riguardanti in modo specifico “L’infinito”. Il Centro Mondiale della Poesia da me diretto organizzerà incontri con i poeti italiani contemporanei e cercherà di promuovere la poesia italiana nel mondo. Verrà anche studiata ed interrogata la presenza leopardiana nella poesia contemporanea.

       

Cosa rappresenta “L’infinito” per la poesia e per la cultura italiane?

“L’infinito” è certamente la poesia più conosciuta e amata dell’intera storia letteraria italiana. Pensiero ed immagini perfettamente fusi. Una lingua che è musica ma che è anche sguardo e riflessione. L‘infinito mentale sorge da un preciso contesto familiare e paesaggistico. Un luogo circoscritto e quotidiano che si riversa e si confonde in un assoluto cosmico senza perdere nulla della sua direi “fisica concretezza”.

      

Cosa rappresenta invece per Umberto Piersanti, poeta e marchigiano?

La sublime coesione e perfezione de “L’infinito” mi commuove e quasi sgomenta. Una tensione lirica assoluta che si incontra con la profondità del pensiero. Mi coinvolge emotivamente come marchigiano che queste “parole assolute” prendano l’avvio dal monte Tabor, uno dei tanti meravigliosi colli della mia terra.

       

Una citazione da Leopardi, di Vincenzo Guarracino: – Fin dal primo verso si afferma un tempo più anteriore del tempo stesso dell’assuefazione, il tempo di un “sempre” miticamente ed etimologicamente riassuntivo della pluralità di singole unità, come rivela l’avverbio con la sua radice – sem- termine indoeuropeo per “uno”, da cui anche semel, una volta per tutte -.

L’analisi linguistica di Vincenzo Guarracino è sicuramente motivata ed affascinante. Comunque il termine “infinito” in sé ha già una grandissima e complessa forza evocativa avvertibile anche da chi non ha rigorose conoscenze etimologiche.

       

Pietro Citati scrive che Annegare, Perdersi, Naufragio, sono parole tipiche del linguaggio mistico cristiano e islamico.

Non sono assolutamente d’accordo. “L’infinito” leopardiano è totalmente classico e materico. A differenza di San Francesco nel Recanatese non c’è nessun Dio che dia origine e senso all’universo. La sacralità del “L’Infinito” è una sacralità che sta nell’infinto stesso, nella concreta realtà, sia pure immensa, che lo configura. Nell’infinito leopardiano sono presenti anche “le morte stagioni e la presente”, cioè quella Storia che è lontanissima da ogni mistico cristiano o islamico che sia. Qualcuno, mi sembra Momigliano ma non ne sono sicuro, aveva parlato di un misticismo induista o buddista. Anche questa interpretazione è, a mio parere, sbagliata: Giacomo non si confonde, ma si immerge dentro l’universo mantenendo una propria identità.
Quest’errore è speculare a quello di un Luporini che ha trasformato Leopardi in un pensatore proto-marxista basandosi, in particolare, sulla “Ginestra”.

         

Che significato può rivestire la celebrazione de L’infinito in un momento in cui in Italia la cultura e il vivere civile vengono calpestati e disprezzati?

Siamo sommersi da un profluvio di parole ed immagini. Alla televisione si è aggiunto Internet: questa dispersione ha toccato anche la poesia dove i “followers” sono diventatati la solida base di lettori dei nuovi pseudo-poeti. La ricerca del personaggio è diventata pervasiva. Nella narrativa la parola d’ordine è inventarsi il commissario di turno. Anche qualche grande collana di poesia si disinteressa del valore del testo, presa dalla capacità di un autore di suscitare una qualche più o meno effimera curiosità. D’altra parte i discorsi contro la tradizione lirica si sprecano in nome di novità sperimentali o prosastiche. “L’infinito” rappresenta un ancoraggio sicuro alla grande tradizione lirica non solo italiana ma mondiale.
I nostri difetti fustigati ne “Il discorso sul costume civile degli italiani” sono aumentati a dismisura: le ingiurie, la faziosità e le “fake news” imperversano.

      

 

Steve Biko, vetrata della Chiesa di Sant'Anna (Paesi Bassi), artista Daan Wildschut, foto Sergé Technau, CC BY-SA 4.0 - in apertura ritratto, South African Hostory Online, CC BY-SA 4.0
Steve Biko, attivista sudafricano anti apartheid, ritratto sulla vetrata della Chiesa di Sant’Anna (Paesi Bassi), artista Daan Wildschut, foto Sergé Technau (originale a colori) – in apertura ritratto, South African History Online

2 thoughts on “La tensione de “L’infinito”. Intervista a Umberto Piersanti, a cura di Paolo Polvani”

  1. “Siamo sommersi da un profluvio di parole ed immagini. Alla televisione si è aggiunto Internet: questa dispersione ha toccato anche la poesia dove i “followers” sono diventatati la solida base di lettori dei nuovi pseudo-poeti.”.
    Credo che questo pensiero di Umberto Piersanti, oltre ad essere condivisibile, sia la migliore risposta alla necessità di ricordare e tornare a studiare “L’INFINITO” a duecento anni dalla sua nascita. E’ un capolavoro, nato dalla penna di un Genio Poetico.
    Ringrazio Paolo per la bella e significativa intervista a Piersanti auspicando che che il Centro Mondiale della poesia (dallo stesso diretto) promuova studi ed iniziative al riguardo.

    Sandro Angelucci

  2. Sono d’accordo sull’estrazione materialistica di Giacomo Leopardi. La sua è una visione panica, “L’infinito” è una sintesi prodigiosa di come l’individuo sia attratto e nello stesso tempo spaventato dalla manifestazione della natura nella sua totalità. Non Marx, ma forse Nietzsche e lo spirito dionisiaco: la pienezza della vita è un traguardo che Leopardi indica e la sua riflessione pessimistica, scettica, non è che l’amara constatazione di quanto sia difficile raggiungerla. In quanto agli pseudopoeti, io auspicherei che ogni blog culturale riproponesse dei classici, non tanto come pietra di paragone della mediocrità attuale, ma come indicazione di una palestra su cui esercitarsi costantemente. D’altra parte gli sperimentali non possono essere tali se prima non hanno perfettamente acquisito la scrittura di chi li precede.

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