Andrés Morales: una rondine o cento gabbiani bianchi.
Poesia cilena. Sulla soglia della felicità, a cura di Lucia Cupertino
La poesia del cileno Andrés Morales è dominata dal presagio di una felicità che ben presto sfumerà o si trasformerà in un’assenza troppo ingombrante, con derive diverse: dalla crudeltà estrema della tragedia consumata ad una più sottile e australe saudade lirica che invade i suoi topoi mitici, fissati tra la Crozia, terra degli antenati e della lingua della madre, e il Cile, territorio della vita nuova e della lingua letteraria. Di mezzo sempre il mare quale linguaggio universale del dinamismo, dell’estenuante ricerca, dell’unione di istanze inconciliabili, della memoria liquida. Non a caso nelle sue poesie appaiono gli argonauti, traghettatori di un sogno. E quale sarebbe mai l’approdo agognato? Probabilmente quello della tenerezza materna, dell’infanzia innocente e pura: una terra che non esiste più se non quale appannato ricordo.
Felicità come chimera, terra promessa, caldo ventre. Sopraggiunge però lo iato dell’oscuro oracolo e la sua lenta quanto inesorabile realizzazione: dalla malattia che inonda corpo e mente, all’inasprirsi della storia, la caduta dei miti, fino a sentire la vita stessa come un’immensa festa a cui non si è stati invitati.
Coi versi di Andrés Morales restiamo dunque sulla soglia della felicità, perchè in realtà non siamo mai scesi da quella tremenda barca del ricordo, siamo in costante esilio.
El Canto de la Sibila
La lengua en que respiro
y en la que nunca hablo.
La dulce lengua madre,
anémona olvidada,
en donde yo adivino
y sueño a medianoche.
Aquella en la que escribo
(enmascarada siempre),
aquella que no entiendo
trepando sus acentos.
Aquella siempreviva
como una golondrina
o cien gaviotas blancas,
como este prodigioso
decir marino, ahora,
donde es mejor callar
soñando con sus piedras
de un mar y de una isla,
que no adivinarán
la dicha de estas letras
que habitan en el aire
aún quieto o caprichoso
en el lejano exilio.
(a mi madre)
Il canto della Sibilla
La lingua in cui respiro
e con cui non parlo mai.
La dolce lingua madre,
anemone dimenticata,
nella quale io presagisco
e sogno a mezzanotte.
Quella in cui scrivo
(camuffata sempre),
quella che non comprendo
scalandone gli accenti.
Quella sempreviva
come una rondine
o cento gabbiani bianchi,
come questo prodigioso
detto marinaio, adesso,
quando è meglio tacere
sognando le pietre
di un mare e di un’isola,
che non indovineranno
la gioia di queste parole
che abitano nell’aria
ancora quieta o mutevole
nel lontano esilio.
(a mia madre)
Dos poemas del encierro en la Clínica Psiquiátrica
I
Otra vez entre estas rejas
sin ser aún un delincuente,
luchando con mi propio enemigo
bastardo, luchando con el yo,
el mí, ese nosotros.
Indefensos y lobos,
Con ese yo que se mira en el espejo
y no se reconoce nunca ni un solo día.
II
No fumarás.
No beberás.
No fornicarás.
No podrás leer
(porque no puedes por las píldoras).
No serás feliz.
No serás feliz.
No serás feliz.
Due poesie della reclusione nella Clinica Psichiatrica
I
Di nuovo tra queste sbarre
senza essere ancora un delinquente,
in lotta col mio stesso nemico
bastardo, in lotta con l’io,
me stesso, quel noi.
Inermi e lupi,
Con quell’io che si guarda allo specchio
e non si riconosce neppure un solo giorno.
II
Non fumerai.
Non berrai.
Non fornicherai.
Non potrai leggere
(perché non puoi per le pillole).
Non sarai felice.
Non sarai felice.
Non sarai felice.
Adriático en Dubrovnik
Este mar este mar Este Mar
Único perfecto conjugado
navegándose perpetuo en su descanso
ceremonia rito de lenguaje
He aquí el rostro de las horas
el brazo que recorre y no respira
(Yo he visto como el sol en su cadencia
adivina el arrebato la partida)
Argonautas que regresan con manzanas
lirios islas en las manos
y el peso de mis ojos en su viaje
Aquí el mar completo en su desnudo
frágil terrible cuerpo entero
Aquí converge el sueño por su sangre
y rompe el sol su centro presentido
(a Jaime Siles)
Adriatico a Dubrovnik
Questo mare questo mare Questo Mare
Unico perfetto coniugato
navigando perpetuamente nel suo riposo
cerimonia rito del linguaggio
Eccolo il volto delle ore
il braccio che percorre e non respira
(Ho visto come il sole nella sua cadenza
indovina lo scatto la partenza)
Argonauti che ritornano con mele
gigli isole nelle mani
e il peso dei miei occhi sul loro viaggio
Qui il mare completo nel suo nudo
fragile terribile corpo intero
Qui converge il sogno per il suo sangue
e rompe il sole il suo centro presagito
(a Jaime Siles)
Infancia
Del sabor a tierra y hojas, por la tarde,
del balcón abierto al sol en el verano,
del único paisaje al mar entretejido.
De allí Andrés recuerda los años verdaderos.
(a mi madre)
Infanzia
Dal sapore di terra e foglie, nel pomeriggio,
dal balcone aperto al sole in estate,
dall’unico paesaggio al mare intrecciato.
Da lì Andrés ricorda gli anni veri.
(a mia madre)
Poema del secreto
Déjame la voz, te doy el canto,
déjame lo oscuro de la noche,
que exista siempre aire entre nosotros,
siempre la alegría del quizá.
Déjame los ríos, el agua, el mar que rompe
ahora,
en medio de los dos
ese inmenso arrecife que recoge
aquel secreto nuestro desde ayer.
Déjame en tinieblas; el sol a ti, la luz.
Yo encierro tu destello en mi garganta.
Poesia del segreto
Lasciami la voce, ti do il canto,
lasciami il buio della notte,
che ci sia sempre aria tra noi,
sempre l’allegria del forse.
Lasciami i fiumi, l’acqua, il mare che s’infrange ora,
in mezzo a noi due
quell’immensa scogliera che raccoglie
quel nostro segreto da ieri.
Lasciami le tenebre; il sole a te, la luce.
Io racchiudo il tuo fulgore nella mia gola.
1968
(Un solo recuerdo)
Y envejecimos todos y nada nos dijeron
del terrible crepúsculo y la falta
del seguir sentados en la puerta de la carnicería
del abuelo, de la abuela, de la madre
que no pudo, jamás, volver a ser feliz.
Y nada nos dijeron, nadie advirtió de la catástrofe
y aún sentados esperamos algún amanecer.
1968
(Un solo ricordo)
E siamo invecchiati tutti e nulla ci hanno detto
del terribile crepuscolo e dell’assenza
del restare seduti sulla porta della macelleria
del nonno, della nonna, della madre
che non poté, mai, essere daccapo felice.
E nulla ci dissero, nessuno ci avvertì della catastrofe
e ancora seduti attendiamo un’alba.
Selezione poetica da: Andrés Morales, Paese di occhi e sogni (Poesie 1982-2016), a cura di Lucia Cupertino, Edizioni Fili d’Aquilone, Roma, 2019
Andrés Morales è nato a Santiago del Cile nel 1962. È laureato in Letteratura e dottore in Filologia ispanoamericana. Ha pubblicato i libri di poesia: Por ínsulas extrañas (1982); Soliloquio de fuego (1984); Lázaro siempre llora (1985); No el azar/Hors du hasard (1987); Ejercicio del decir (1989); Verbo (1991); Vicio de belleza (1992); Visión del oráculo (1993); Romper los ojos (1995); El arte de la guerra (1995); Escenas del derrumbe de Occidente (1998); Réquiem (2001); Antología Personal (2001); Izabrane Pjesme/ Poesía Reunida (2002); Memoria Muerta (2003); Demonio de la nada (2005); Los Cantos de la Sibila (2008); Ejercicio de escribir (2010); Poemas/Pjesme (2011); Antología breve (2011); Escrito (2012); Escenas del derrumbe de Occidente (2014, edizione corretta e ampliata); Poemas Escogidos/Poezii Alese (2014) e Tránsfugo (2016).
La sua opera poetica è stata parzialmente tradotta in diverse lingue ed inclusa in antologie e riviste cilene e straniere. Ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali, tra gli ultimi si segnalano: Premio Nacional de Poesía “Pablo Neruda” 2001, Premio XII Concurso Internacional de Poesía “La Porte des Poètes” (Francia, 2007), Premio Hispanoamericano “Andrés Bello” 2014 e il Premio de Ensayo “Centro Cultural de España” nel 2002 e 2003. Dal 2007 è membro dell’Academia Chilena de la Lengua e dal 2014 dell’Academia Hispanoamericana de Buenas Letras di Madrid.
Ha pubblicato saggi sulla poesia cilena, latinoamericana, spagnola ed europea. È docente del Laboratorio di Poesia, Letteratura spagnola classica e contemporanea, Poesia cilena dell’Universidad de Chile.