Appunti per una città elettiva, di Max Ponte

Appunti per una città elettiva, di Max Ponte.

   

   

Ora io su Parigi in realtà non vorrei raccontarvi proprio nulla. Infatti prima pensavo di riportarvi la mia ultima conferenza a Parigi, “ma sarà il caso?”, poi ho pensato ad elegantissime note diaristiche “e se quei quattro meschini intellettuali snob me le copiano?”, poi ho pensato a consigli su cosa visitare “però non vorrei ritrovarmi gente fra i piedi”.

Insomma Parigi è una questione personale, tutti quelli che la amano, la considerano la loro città elettiva, non vorrebbero condividerla con altri simili. Costoro si figurano d’esser viaggiatori d’altri tempi approdati nella Ville Lumière con grandi bauli, posate d’argento e servitù al seguito. Gli italiani poi, i letterati, magari senza un quattrino, hanno lo sguardo degli unti dal Signor. Se li incontri in libreria, a teatro o durante un convegno all’università, loro appariranno in uno stato di grazia, con un’aura d’oltremondana sapienza, ormai staccati dalla patria per un destino superiore e un futuro d’illuministica beltà. Sia ben chiaro, essi sono miei simili, anch’io ho vissuto questa condizione che non è per nulla disdicevole per quanto irreale. Tutti gli amori sono fondati su una forma di surrealtà, che poi non è un’irrealtà, ma – seguendo André Breton – una realtà ulteriore e ancor più intensa di quella vissuta nel corso della veglia.

In teoria la Parigi capitale mondiale della cultura sarebbe scomparsa nel dopoguerra con lo spostamento dell’attenzione su New York. In teoria Parigi sarebbe una città-museo, impraticabile per gli affitti altissimi. In teoria Parigi sarebbe ormai una città pericolosa con il rischio di saltare per aria. Tuttavia nessuno di questi pensieri ti tange quando ti trovi fra Le Jardin du Luxembourg e il Pantheon con l’intenzione umilissima di raggiungere la libreria filosofica Vrin e terminare con un dolce da Angelina.

E vi sto dicendo anche troppo. Quanto ai parigini va detto che si tratta di una città cosmopolita. Ho un amico rumeno, un’amica iraniana e conoscenti di origine africana per cui diventa difficile disegnare un cittadino tipo. In ogni caso i francesi, anche quelli dell’alta società, non mi risultano così antipatici. Trovo molto più sufficienti, in tutto il loro malcelato provincialismo, molti protagonisti dei salotti torinesi, che non hanno completa coscienza delle loro condizioni spazio-temporali. Trattasi di generalizzazioni certo, ma fortemente motivate.

Infine vorrei lasciarvi con l’ultima delle immagini. Quella del gatto bianco della libreria Shakespeare & Co. che dorme mentre voi entrate in un luogo d’eccezione, e in questo momento ringrazierete per l’ennesiva volta i numi beati di essere nella vostra città elettiva. Tutto confermerà, nel micro e nel macrocosmo parigino, questo vostro amorevole dogma. Ma non c’è il rischio di fare la fine del Candide di Voltaire? Ecco, ad esempio, la metropolitana vi consiglia di star attenti ai “pickpockets” cioè ai borseggiatori. Io vi consiglio invece di cercare la vostra città elettiva, sia essa la qui presente Parigi, un’altra grande città o un paesello della Siberia o la periferia di Timbuctù. Nella vostra città elettiva troverete materializzati i vostri pensieri, e vi abbandonerete così alla più felice psicogeografia.

                             

Un gatto a Parigi, Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli, 2010
Un gatto a Parigi, Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli, 2010

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