Asimmetriche coincidenze di Giancarlo Serafino, recensione di Franco Intini

Asimmetriche coincidenze di Giancarlo Serafino, Terra d’ulivi ed. 2016, recensione di Franco Intini: le eclatanti asimmetrie.

    

    

Quando, Giancarlo mi ha comunicato il titolo, ho pensato a qualcosa di chimico, ma poi ho riletto le parole che mi ha detto: “tante coincidenze che per un attimo sfuggono”. Ah sì? C’è un universo in questa frase, riflesso in ogni angolo della silloge. La natura ed il mediterraneo, con i suoi uccelli e profumi, per esempio, la salvia, l’aro, il giglio pancrazio, la sabbia, in cui le passioni ed il desiderio, sono lasciati liberamente “infiammare”: “…ma fiammammo osservando le paranze lontane. Uno scoglio in due. Muti per apparenza aspettando… Parlavano solo frangente e gabbiano.” (Incertezze) e gli Dei avvolti in un azzurro rovente, con Febo che conduce un sole jo-jo, ma nello stesso tempo irriverenti e disposti a lasciarci marcire per non far salire a cogliere il frutto di una passione(Prebende), o sorpresi in un eterno aggirarsi per i nostri lidi allo scopo di risucchiarci: nell’aldilà: “ci ritroveremo stretti come alici sulla tavola del tempo inscatolati per il nutrimento lento di Persefone che va e viene dai nostri lidi.”(Alici del tempo) Nessuna traccia di quello cristiano, se non quando si afferma di amarne uno trino per poi subito ridiscendere a dimensione d’uomo scomposto (Ti giuro), fonte di desiderio e libero nel godimento (A volte). Un tema, questo che da solo occupa buona parte dei componimenti perché, come si legge nella nota dell’autore, la vita è soprattutto un continuum di passioni. E dunque è naturale che il viaggio inizi dalla fanciullezza quando a sedurlo è il mito della forza: “Fanciullo pensavo che i giovanotti venissero sedotti dalla malia di esser forti”(Puerilia), e a condurlo fuori dall’innocenza sono “porcellane dai riflessi d’oro” (Cinema Excelsior), per completarsi nell’uomo maturo e aperto all’esperienza passionale con le sue innumerevoli sfaccettature come se fosse un viaggio senza tregua di una: vita inesauribile di amori che è tutta una storia viva senza confini.(Viaggio) Per adempiere a questo compito il linguaggio diventa secco, altamente incisivo e nello stesso tempo ricco di magiche ed efficaci soluzioni spesso solo nel giro di una chiusa: “Travolto, fui folle e reo d’amare” (Casa di lucciole). Oppure: “poi tutto è passato e sono stato a guardare uno scarabeo stercorario affaticato a trascinare una pallottola di futuro” (Scarabei) Ma è nella gran quantità di metafore-poesie , “lattine vuote”, “sparviero”, “zoom ottico”, “disegni col pennarello”, “circumnavigazione” per dire solo alcuni titoli, che si coglie tutta la potenza di questo stile che non lascia nulla alle edulcorazioni ed al facile sentimentalismo e che tutto invece consegna alla sintesi ed alla folgorazione delle immagini, ritagliate sul foglio, talvolta dolorosamente avvolte nella realtà distruttiva: “pensavo che saremmo rimasti invischiati nell’unto della prassi ma l’abbiamo evitato tanto come aironi tra bitumi non avremmo mai volato” (Attrazione) Sono versi in cui si avverte il fascino della spontaneità, non limata per lasciar cogliere subito il filo logico, ma offerta tal quale alla fantasia del lettore che così riesce a captare la forza delle passioni, che non si fermano all’ umano ma spesso incontrano l’universo: “…e quando tra le mani ne ho una che splende dimentico la fatica del mio essere appassionato, appassionato di stelle.”(Appassionato) Un’altra caratteristica del fare poesia di Giancarlo è l’ introduzione dell’innaturale all’interno dei significanti, come in “Sudore”, : “Se cerchi forme nel magma del sudore ricorda che i nostri corpi son salme che risorgono goccia dopo goccia per gli inflessibili pensieri di sole.” Risorgere dal sudore? Che senso ha? E’ un sogno, una follia che sembra uscita dal racconto di un mistico. Qui però tutto avviene sotto la guida del sole, è suo il braccio divino che si alza a far rinascere le salme. Di contro c’è il sottofondo della società industriale con i suoi usa e getta, le sue scorie alimentari dove il verso inaspettatamente si inerpica denunciando il”nutrimento per galassie, sugo non industrializzato.”(Bivacco) e che raccontano le sue macchie nere come ciminiere in gola a ricordare che tipo di specchio si ha di fronte, qualcosa che pensa non in termini di liberazione e civiltà ma di “derrate melatoniniche” infuse nelle menti a piene mani per deviare l’interesse sulle lusinghe e mai sul risultato di chi siamo, cosa stiamo diventando. Da questo punto di vista è l’uomo nero l’esempio più eclatante di asimmetria. Quello che vediamo riflesso nello specchio addolorato d’Essere, il nostro io deformato ad alga trascinata sulla sabbia per morirci sopra. Difficile non riconoscervi l’accadimento quotidiano dell’uomo venuto da lontano e le cose che non tornano del filo di rosario dei momenti(Resta d’aglio). E ovunque c’è sempre questo sentire la riflessione su sé stessi, in un sentimento che restituisce il limite umano: “Eppure mi hai inculcato La percezione del nulla” (Circolozioso) O come un’incognita estesa alla società in un addolorarsi senza risposta: “non saprò mai chi sono e chi sono stato facce dello iato che guardano all’opposto” (Questione d’identità). Oppure quando di fronte a noi è ciò che come uomini abbiamo creato ma di cui abbiamo perso il senso: “…e cieco mi corre un desiderio di energia a scoprire il vero della natura delle cose”(Fibra) A volte la passione s’arresta, l’intimità è in pericolo sotto l’occhio che controlla ed è un presagire l’assenza, angosciosa, di noi stessi (Sensori di presenza) come carcasse vuote. Nella fuga impossibile, aldilà delle piccole resurrezioni ed il riprendersi del cuore dopo le battaglie(Lievito), sono le stazioni ad interpretare teatralmente uno iato tra gli dei e noi, e gli orinatoi a confermare la presenza umana nel firmamento. Non mi meraviglia che la stessa figura al centro del Dadaismo sia qui invocata come soluzione metaforica di una asimmetria tra l’umano ed il divino. Coincidenti forse per qualche picco di luce ma non per le ombre.

     

Da “asimmetriche coincidenze” di Giancarlo Serafino

    

Derrate

       …e che saremo mai
stretti nella morsa
con la ciminiera in gola
e tasche in gramaglie?

Se vomitiamo sesso
è che siamo ubriachi di lusinghe
derrate melatoniniche
che ci hanno lucidato il pelo.

   …e se poi la città c’inghiotte
in un feretro di notte
stiamo come fronde corrose
in nere zone industriali.

     

in nere zone industriali.

*

Fibra

Non so quale sia la ragione,
ma vibro se vedo fibra
cesellata
in espressioni di vita
sui volti e sulle mani.

Come se la mia si fosse esaurita
per i troppi tilt del cuore,
e cieco mi corre un desiderio
di energia
a scoprire il vero
della natura delle cose.
Per pagano intendimento
di bellezza
o
per cristiano asservimento
di colpa.

*

A volte

A volte il desiderio morde
come una medusa
in tranquille acque.
E’ il volo di una capinera
sotto un acquazzone,
uncino di un male
privato e sociale.

Ma liberarsi in un godimento
concilia il sonno
di ogni dio nell’Universo
per quella dimensione naturale
d’incontro di linee
che fanno placare brame.
Se amore è dato…

*

Senza tegole

Attratto da un tratto
di scoglio
mi son scoperto
nudo.
Senza tegole
un capriccio di fumo
in libertà.

Ho pisciato
vicino ad un luna park
spento:
la ruota ferma
un omino di pece
rideva
e pioveva, pioveva sulle sue
e sulle mie scoscese.

Un gabbiano mi ha guardato
dal braccio dell’omino
e si è alzato al di là
del mio limbo.

*

Pietre

Eppure è bastato un niente
per vederti lievitare:
favo di nettare
disposto sull’altare!
Dirompente il mio spasmo
ha ricacciato dentro
l’urlo veemente.
Così accecato da tanto sole
mi sono disteso
più in là e parlato
alle pietre.
Linguaggio tutto naturale
iconico-visivo
tra chi vorrebbe staccarsi
dal suo limite e camminare

    

asicoi

 

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