Azione sociale della poesia, alcune riflessioni di Roberto Maggiani.
L’uomo fonda le proprie strutture, sociali e tecniche, a partire da un desiderio che si fonda sull’immaginario.
Daniele Barbieri
Cerchiamo la coincidenza tra lo stare e l’esistere. Cercare l’integrità dello stare sulla terra è la ricerca della poesia.
Sophia de Mello
Si può facilmente notare che la poesia è posta al margine della vita sociale, spesso piegata a uso e consumo, infatti:
- rarissimamente, all’interno di programmi d’intrattenimento da prima serata, si ascoltano proposte ben strutturate di versi al grande pubblico;
- nei social network, tra le poche proposte sensate, si leggono poesie, più o meno note, spiattellate sui monitor a dover significare qualcosa in base all’esigenza delle emozioni di coloro che le propongono: poesie usa e getta lanciate nel mare magnum di internet come messaggi in bottiglia;
- sugli scaffali delle librerie i libri contenenti versi sono relegati in spazi sempre più esigui, più o meno sempre degli stessi autori che si vendono, perché rientrano nei programmi scolastici, nelle categorie amorose o nelle immediate vicinanze;
- nella stragrande maggioranza delle scuole non si parla della poesia come qualcosa di attuale e vivo, non si conoscono i nomi dei poeti contemporanei, almeno dei più noti, molto spesso si presenta con modalità che inducono i giovani a farsi l’idea di qualcosa di desueto;
- tra le amicizie e le conoscenze, o nei forum dedicati alla lettura, molto raramente qualcuno dice: “Sto leggendo un libro di poesie”.
E si potrebbe andare avanti.
Come si vede, tranne fortunate e minoritarie eccezioni, le persone, e dunque la società, hanno contatti con la poesia relegati al margine della vita, se non addirittura assenti.
La poesia sembra veramente negletta e non influenzare in alcun modo la vita personale e sociale degli individui. Poi ci sono coloro che ci si avvicinano nascostamente con timidezza e imbarazzo, in quanto “frequentarla” potrebbe essere interpretato come un elemento di debolezza, il punto cedevole nella “corazza” di una vita.
Parallelamente alla generalizzata scarsa tendenza alla lettura e al contatto con la poesia, non si contano i libri contenenti versi, autoprodotti o meno, per quanto tali libri circolino nelle mani di pochi lettori, nella maggioranza dei casi amici o familiari, costretti o convinti a leggere, o soltanto a possedere il libro, acquistato o in omaggio. Ciò induce a pensare che, nonostante l’esiguità dei lettori, ci sia una notevole quantità di persone che scrive, fatto che sembrerebbe indicare una viva esigenza di poesia… vissuta spesso come un modo di raccontarsi.
Quando assisto a incontri pubblici o privati di poesia osservo sempre i volti dei partecipanti, specialmente di coloro che si trovano lì per caso, o per scelta occasionale, ad ascoltare i versi declamati, essi assumono espressioni che fanno pensare quanto in realtà in tali persone “lontane” dalla poesia, talvolta per loro stessa dichiarazione, viva una necessità che in qualche modo gli è stata sottratta, ed è come se in quel frangente se ne rendessero conto. Noto un atteggiamento di ammirato stupore verso la poesia, spesso pensata incomprensibile e inavvicinabile, tanto da suscitare disinteresse e noia perché “non si comprende”, qualcuno lo dice senza mezzi termini. Che cosa fare allora per risollevare le sue sorti nei confronti del grande pubblico, iniettare entusiasmo negli spiriti al fine di coinvolgerli nel pensare poetico e far prendere esplicitamente coscienza della sua necessità?Una prima linea di lavoro penso che si evinca dalle parole del semiologo, saggista e poeta Daniele Barbieri, che qui riporto estratte da un articolo dal titolo “Delle difficoltà in poesia e delle mie scelte di poetica”:
“Credo, oggi, che il lettore abbia diritto di avere un accesso immediato a quello che legge, ovvero che il componimento gli fornisca almeno un aggancio, un sospetto di comprensione alla prima lettura, che poi magari si rivelerà parziale, incompleto, o addirittura erroneo a una lettura più approfondita, ma che gli permetta sin dall’inizio un accesso ritmico, un ingresso in sintonia con il testo e le sue letture. In assenza di questa ricompensa immediata, per quale motivo il lettore dovrebbe impegnarsi, andare a cercare ulteriori ragioni di interesse, che si trovano soltanto con un vero e proprio lavoro di tipo critico, per quanto personale? L’impegno interpretativo è un investimento, che vale la pena di fare se il testo promette un’adeguata ricompensa, ovvero se abbiamo ragione di pensare che, oltrepassando l’ostica apparenza di prima lettura, troveremo un universo di affascinanti nessi significanti, con correlata emozione estetica. Ma se il testo non promette, oppure – peggio – se promette e poi non mantiene, perché dovremmo investire in termini di impegno e fatica interpretativa?”
La parola chiave è “promessa”, a una promessa può essere accordata fiducia. Non è facile farsi dire: “Ti do fiducia”. Ciò che sta letteralmente smontando la società è proprio la mancanza di fiducia, perché qualcuno o qualcosa viene in continuazione meno a delle promesse. La prima azione per ottenere e mantenere la fiducia di una persona è dimostrare che si onorano le promesse, si è cioè coerenti: lo stesso deve avvenire in poesia. Bisogna riprendere la fiducia delle persone.
Nell’immaginario la poesia è qualcosa di importante che ha un potere, il poeta è un veggente che ascolta le Muse, si rapporta con un mondo misterioso, con la sua poesia deve accendere coraggio ed emozioni, deve dire qualcosa che susciti stupore. Non è importante se è vero, falso o parziale questo ruolo del poeta, nell’immaginario collettivo è ciò che deve fare e da lì i poeti devono muoversi per riagganciare la società. La funzione del poeta spesso è stata esautorata dalla scuola e da quelle istituzioni o persone che presentano la poesia come noiosa e incomprensibile (ammesso che lo possa essere), magari proprio perché gli stessi poeti, spesso solo autoproclamati, presentano poesie fini a sé stesse, noiose e incomprensibili. Se dico che un testo è una poesia, è come se facessi una promessa, creo delle aspettative, ne sono all’altezza? Ebbene, la poesia deve essere chiara, deve coinvolgere, deve realizzare ciò che dice, deve soddisfare, riempire, espandere, divulgare. La poesia è rivoluzione e non può lasciare intatte le orecchie che l’ascoltano. Le persone che la adottano come mezzo espressivo devono attrarre la società civile verso un punto di riflessione e, nonostante la chiarezza, di incomunicabilità. Infatti penso che un’ottima poesia abbia una forma in equilibrio tra chiarezza e incomunicabilità, in cui ciascuna persona sente che la realtà, nello spazio poetico, sta cambiando, perché la poesia sta facendo vibrare qualcosa di sconosciuto che è la sua parte incomunicabile, neppure il poeta sa di che cosa si tratti; c’è un codice crittografato nella poesia che l’ascoltatore sa cogliere come elemento innovatore, capace di scuoterlo perché è l’elemento del desiderio fondato sull’immaginario, è come la forma preesistente di un concetto, si tratta di una sorta di archetipo comune a tutta la poesia sul quale l’uomo può fondare la propria esistenza e renderla migliore, abbandonando la meschina ridondanza di egoistiche strategie esistenziali. La poesia ha cioè una componente divina in senso platonico: vive in essa il Demiurgo. Un Artigiano emerge dalla vera poesia, la sua essenza è quella del fare e del creare, si tratta di una forza ordinatrice e plasmatrice, e usa come modello la perfezione delle idee, quelle incorrotte, situate nell’iperuranio, direbbe Platone. La poesia non può non indurre all’azione concreta e a modificare il mondo affinché esso sia come deve essere. Poesia è cioè sinonimo di Rivoluzione. A tal proposito riporto l’estratto di un discorso di Sophia de Mello, da lei stessa letto il 10 maggio 1975 al I Congresso degli Scrittori Portoghesi, tradotto da Carlo Cattaneo:
“L’amore positivo della vita cerca l’integrità. Poiché cerca l’integrità dell’uomo, la poesia, in una società come quella in cui viviamo, è necessariamente rivoluzionaria – è il non-accettare fondamentale. La poesia non ha mai detto a qualcuno d’avere pazienza.
Il poema non spiega, implica. Il poema non spiega il fiume o la spiaggia: mi dice che la mia vita è implicata nel fiume o nella spiaggia. Come dice Pascoaes:
Ah se non fosse per la bruma del mattino
E per questa vecchia finestra dove
M’affaccerò per udire la voce delle cose
Io non sarei quello che sono
È la poesia che mi implica, che mi fa esistere nello stare e mi fa stare nell’esistere. È la poesia che rende intero il mio stare sulla terra. E poiché è la più profonda implicazione dell’uomo nel reale, la poesia è necessariamente politica e fondamento della politica.
La poesia cerca infatti il vero stare sulla terra dell’uomo e perciò non può estraniarsi da quella forma dello stare sulla terra che è la politica. Così come cerca la vera relazione dell’uomo con l’albero o con il fiume, il poeta cerca la vera relazione con gli altri uomini. Questo l’obbliga a cercare ciò che è giusto, questo lo implica in quella ricerca di giustizia che è la politica. E poiché cerca l’integrità, la poesia è, per sua natura, disalienazione, principio di disalienazione, disalienazione primordiale. Libertà primordiale, giustizia primordiale.”
Nelle società in cui, lo sappiamo bene, esistono forti scompensi e gradienti capaci di creare flussi destabilizzanti su più fronti e a vari livelli, penso che esista una strada affinché la poesia possa seminare i germi di valori nuovi. Così come penso che esista una strada per la scienza ed è giusto che lo scienziato si chieda quale sia; il filosofo quella della filosofia, e così via. Ognuno nelle rispettive discipline dovrebbe porsi delle domande riguardo allo stato attuale della società umana e alle sue proprie responsabilità.
Ci sono studi che dimostrano l’esistenza di elementi mitologici comuni a tutte le culture, in tutte esiste una “età dell’oro” a cui i popoli sanno riferirsi per esprimere il loro desiderio più profondo di armonia. E si sa che l’armonia non può prescindere, nel suo eventuale e auspicato instaurarsi, dal mettere in relazione tutte le sue parti in un equilibrio stabile, privo di quelle tensioni che possono indurre il sistema all’implosione o all’esplosione. Tutte le discipline, religiose, umanistiche, artistiche e scientifiche, dovranno fare i conti, e già in parte li fanno, con i sistemi, di pensiero e pratici, irrisolti presenti al loro interno. Tra tutti, quelli che più mi preoccupano, sono i sistemi religiosi, i quali, da sempre, sono quelli maggiormente destabilizzanti dal punto di vista sociale a causa della loro forte componente di estremismo, e fanatismo, che tende a condannare tutto ciò che non si conforma al sistema teologico che li attraversa e che è la loro colonna portante. Una società civile in armonia deve saper integrare le diversità e smussare le asperità.
La poesia può essere l’elemento che sa rilevare la mancanza di armonia in un punto del sistema, e non solo sa rilevarla, sa anche denunciarla e offrirsi come metodo per la necessaria “armonizzazione” degli spiriti, poiché capace di mettere l’uomo davanti al proprio dover essere offrendogli la strada per comunicare con una esistenza antecedente a sé stesso. La poesia agisce a un livello più profondo di quello cosciente, raccoglie elementi irrazionali non religiosi e universali necessari alla salute di ogni persona e società, essa è un affare totalmente umano, è comprensibile ad ogni uomo ma non sempre in modo razionale. Essa è capace di trasmettere informazioni che altrimenti sarebbero incomunicabili. Basti pensare a come nasce una poesia. Si provano sentimenti e si hanno intuizioni che molto spesso non si riescono a esprimere per mezzo di un pensiero razionale. Il poeta (potenzialmente ciascuna persona lo è) riesce a manipolare l’uso delle parole e la sintassi in una forma adeguata per esprimere la propria visione, talvolta un vero e proprio lampo di genio, e renderla evidente, anche se diversamente interpretabile da ognuno a causa della nota di incomunicabilità che, come già detto, le intuizioni poetiche portano sempre con sé rendendo la poesia tanto feconda e rivoluzionaria. Ma affinché la poesia possa esprimere al meglio la propria azione rivoluzionaria, è necessario che si crei una cultura artistica adeguata e non piegata al senso borghese dell’esistenza. Sophia de Mello, nel medesimo discorso di cui sopra, così si esprime:
“Cerchiamo la coincidenza tra lo stare e l’esistere. Cercare, l’integrità dello stare sulla terra è la ricerca della poesia. Per questo rigettiamo l’uso borghese della cultura che separa il cervello dalla mano. Che separa il lavoratore intellettuale dal lavoratore manuale. Che separa l’uomo da sé stesso, dagli altri e dalla vita.”
E ancora:
“E per questo la politica non può mai programmare la poesia.
Compete alla poesia, che è per sua natura libertà e liberazione, ispirare e profetizzare tutti i cammini della disalienazione. E quando la parola della poesia non coincide con la politica, è la politica che deve essere corretta. Per questo è proprio della verità e dell’essenza della rivoluzione che la poesia possa sempre creare liberamente il proprio cammino. Ed è molto importante che si comprenda chiaramente che l’arte non è lusso né ornamento. La storia ci mostra che l’uomo paleolitico ha dipinto le pareti delle caverne prima di saper cuocere l’argilla, prima di saper lavorare la terra. Ha dipinto per vivere. Perché non siamo soltanto animali stimolati nella lotta per la sopravvivenza.”
Ed è bene non dimenticarlo mai. Ciò che ci chiama, da oltre il muro della città, è l’innata esigenza di esplorazione, quest’ultima sinonimo e prassi della conoscenza, sia essa di luoghi fisici o metafisici. Dunque non fermiamoci inebetiti davanti a un televisore, simbolo di una prassi culturale decadente, che ci sobbarca di “nulla”. Decidiamo che i poeti entrino nelle televisioni e si alternino a declamare; decidiamo l’alternanza del potere, dei privilegi, del lavoro, della sosta e del cammino, di chi è sentinella e di chi riposa, prendiamo atto che questa società, con la sua opulenza obbligatoria, le violenze, le guerre, non coincide con quello che dentro intimamente sentiamo e a cui aspiriamo.
Probabilmente il nostro cervello non si è sviluppato per pensare e comprendere l’universo, per godere della bellezza e per pensare il mondo in forma poetica, ma può farlo e allora raccogliamo l’opportunità e andiamo avanti, non sprechiamo altro tempo e forze. La poesia può sollevare il mondo, dare coraggio, l’ha già fatto, si pensi ai grandi poeti dell’antichità che cantando le gesta degli uomini crearono miti, leggende e speranze. Forza poeti troviamo, tra gli uomini di oggi, i normali eroi e cantiamoli, facciamo vedere alla gente che la poesia parla di loro e li eleva, li rende grandi anche nel loro “letto di sofferenza”, può scuoterli e rianimarli.
Ringrazio gli amici di “Versante ripido” per lo spazio concessomi per questa riflessione lampo sull’azione sociale della poesia. Ringrazio anche i lettori che vorranno lasciare qui il loro pensiero.
Grazie a te Roberto, per le preziose osservazioni che ho letto con piacere e sono un reale stimolo – non banale – di riflessione
Sono in perfetto accordo con l’analisi di Roberto Maggiani, soprattutto quando racconta della sua esperienza, così comune a chiunque scriva e legga poesia in pubblico: “…quanto in realtà in tali persone “lontane” dalla poesia, talvolta per loro stessa dichiarazione, viva una necessità che in qualche modo gli è stata sottratta, ed è come se in quel frangente se ne rendessero conto. Noto un atteggiamento di ammirato stupore verso la poesia, spesso pensata incomprensibile e inavvicinabile…”.
E ancora concordo laddove Roberto parla di :
necessità di “mantenere la promessa a chi legge” (di chiarezza e pure di offerta di un qualche senso sotteso, anche solo attraverso allusioni, semi di indefinito)e di:
capacità della poesia di nuova totale interpretazione del mondo, attraverso una sua peculiare modalità conoscitiva.
Occorre dunque assunzione di responsabilità da parte dei poeti e un impegno collettivo ad incidere nella società reclamando i diritti della parola poetica, che non è ricerca spasmodica-egoica di visibilità, ma offerta della propria parola come ricerca, al pari di ogni altra parola umana.
annamaria ferramosca
Come non essere d’accordo con quanto scrive Maggiani; soprattutto, come non essere sensibili alla sua esortazione alla poesia, cui egli riconosce la capacità di educare ed elevare gli uomini, di “scuoterli” dalla loro sofferenza? Tuttavia, la domanda di Holderlin: “Perché i poeti nel tempo della povertà”? oggi va così riformulata: perché il tempo della povertà nonostante i poeti? Quanto dobbiamo ancora aspettare il ritorno degli dei? Quando finirà questa notte profonda del mondo? A quando la svolta? Difficile saperlo! Ciò che sappiamo è questa povertà irriducibile dell’uomo, il suo analfabetismo spirituale contro cui dobbiamo e possiamo lottare solo con la poesia. Occorre colmare il divario tra un’intelligenza sviluppatissima e un potere sottosviluppato che decide come vanno usati i prodotti della sviluppatissima intelligenza. Occorre sostituire alla ricchezza materiale il capitale umano, investendo sulla capacità creativa, sulla poesia, su questa ricchezza pura, naturale, dalla quale possiamo trarre solo beneficio e ben-essere. Perché, avendo la possibilità di costruire un mondo migliore, una società veramente abitabile nel senso dell’essere ci ostiniamo a restare schiavi del denaro e con gli occhi serrati, anziché accogliere la sfida della natura che ci mostra e ci fa dono incondizionato della sua bellezza? Guardare e riempirci di stupore è il gesto che può salvarci. Esso può farci comprendere che la vita è un dono e che donare è vivere, è esprimere l’inestimabile valore della vita. Imitare la natura è questo gesto che dobbiamo imparare, ed è il segreto che dobbiamo confessare a noi stessi, per vivere in una società felice. Esistere non è stare nel mondo – come dice la de Mello. Esistere è abitare il mondo e abitare è essere. Occorre, perciò, abitare sé stessi per costruire un mondo migliore. Ciò è possibile solo attraverso la poesia. Riconoscere la sua natura ontologica è la “svolta” che può metterci in cammino sulle orme degli dei, che può farci riscoprire l’autentica ricchezza dello spirito e porre fine al tempo della povertà.
Non sono d’accordo con Barbieri quando dice che il lettore deve avere una comprensione immediata del testo poetico. La poesia non va necessariamente compresa subito, alla prima lettura. Essa deve essere, innanzitutto, come una buona musica. E’ la sua musica che bisogna ascoltare. Se essa c’è, vuol dire che c’è anche la poesia e anche il significato, un bel contenuto! La musica è la promessa che annuncia la rivelazione, per la quale è necessaria l’interpretazione…Credo fermamente che l’oscurità (non voluta, non cercata volutamente) sia il modo più adatto di rendere all’uomo la “verità”, la quale, come apprendiamo dalla filosofia, si dà solo nascondendosi!
Articolo molto stimolante, su cui tornerò a riflettere. Condivido che il lettore di poesia “abbia il diritto di avere un accesso immediato a quello che legge, ovvero che il componimento gli fornisca almeno un aggancio, un sospetto di comprensione alla prima lettura…..Il testo mantenga la promessa” (spesso esaltata e amplificata dal prefatore!). Naturalmente non mi convince quanto afferma Peralta: “Credo che l’oscurità (non voluta, non cercata volutamente: -l’oscurità non voluta o voluta sempre oscurità rimane!-) sia il modo più adatto (?!) di rendere all’uomo la “verità”…” Dunque, la “chiarezza” e la poesia sono proprio un ossimoro, e la leggibilità è incompatibile con la poesia? Ovviamente, altra cosa è la superficialità e la banalità.
Per oscurità voluta, intendo quella “costruita” ad arte da alcuni pseudo poeti che creano testi del tutto privi di senso e perciò assolutamente incomprensibili. L’oscurità espressa dalla scrittura “involontaria” (scrivere non è mai un atto intenzionale, ma una vocazione, una “chiamata”) è “custode” della verità, la quale si manifesta ritraendosi, dando di sé solo delle “visioni” parziali e soggettive. Ciò a “vantaggio” della creazione, la quale cesserebbe se la verità mostrasse il suo volto offrendosi interamente nella sua assoluta chiarezza.
Gentile Guglielmo Peralta, grazie per la precisazione, sulla quale concordo perfettamente. Tuttavia non posso non deprecare il fatto che alcuni poeti, anche molto celebrati, non si “sforzino” di seminare tracce, anche labili, all’interno della loro scrittura, e tali, da consentire, almeno a un lettore mediamente predisposto, dei punti di repere per l’accesso al loro mondo poetico. Capita poi che il prefatore presenti la raccolta con grande enfasi, che peggiora la delusione e la…umiliazione del lettore… Tutta colpa sempre della inadeguatezza di costui? Mi pare che molta poesia moderna sia scritta solo per altri poeti e/o per addetti ai lavori. E non mi sembra né giusto e né utile-produttivo.