Ballata Amarissima, di Elisabetta Destasio e Marilina Giaquinta (con audio)

Ballata Amarissima, di Elisabetta Destasio e Marilina Giaquinta (con audio).

    

    

Testo e voce della Vita di Marilina Giaquinta, testo e voce della Morte di Elisabetta Destasio.

     

VITA:

Tu sei come il vento, lo sai Morte?
Il vento non è mai fedele alle sue intenzioni,
anzi non ti vuole proprio dare sazio,
quel mustazzuto, mascarato e impignoso del vento
che si bombolìa cantriatore con la nostra sorte!
Alla fine di tutto l’eccetera sminchiatorio,
cioè dopo che ha sconocchiato alberi
staturati di secula et seculorum,
svacantato strada strada tutto il provolazzo
lordo di rena spiaggina, di lava terrina
scrateriata dallo sbrogliamento vulcanico,
fatti gli occhi orbigni, le bocchitte lappose,
rimbambinita tutta l’aria al suon di tromba
con il forrìo e il giùessù dell’umana cartaglia
e lo sfottò dell’avantindrè e il divinamento della fine,
si porta dietro una zoccolaglia d’acquazzina
che tutto torna che pare fresco di pace
e lo sdiregnamento s’arrizzetta e tace.

MORTE:

Io non faccio rima con bellezza
è inutile che t’arrabatti, t’incagli e spingi e scalci.
Non faccio rima con amore
quello mi ha braccata e ora
sono Maddalena genuflessa sotto la croce.
Di vivo non è rimasto nessuno,
nessun testimone davanti al dolore:
ho bruciato perfino gli ulivi del Getsemani,
tanto salate erano le lacrime!
Sono la punta aguzza della lancia,
la coda canuta, la cagna affamata,
ti tolgo ogni cosa, ti spezzo la vita, vita!

VITA:

Io invece sono vita e a nascallaria me ne promenado fiera
e faccio speranziare e sfantasiare
e incantesimare con la mia geniosità
non sgualdrineggio e m’incocotto come a te
che t’abbesti pure con i natiòra
e a chiunque s’infortìni pieno di smaccherìa
e con lo storcimuso stoffosello mi chiama babbalesa
e si vuole infondacare nel tuo sonno impastato
che tappìna pietre pietre decoltando ogni respiro
inguerro e titaneggio visavì
un battagliame papero di rerum natura
lo salamelecco con l’accalorazione dell’amore tempestino
e lo sconsento di desìo e di godipopolo
e tutto ‘st’omnia gratisetamoredei!

MORTE:

I tuoi figli non faranno ritorno
nel tuo sacro ventre, né nella tua dimora,
i figli ammazzati, annegati, negati
rimangono qui. Ma ti consolo,
io detengo memoria, m’incunicolo
nella tua testa, ti permetto il ricordo.
E guardati intorno: le vedi
le possenti colonne davanti a queste tombe?
Che eterno sarebbero senza tutto questo
essere falce e senza le tue lacrime?
Guardami bene, aguzza il tuo spaesamento
che seppure t’ho squarciato il petto,
tu senza di me non saresti.

VITA:

poi gli faccio sfiumare torrentello la loquacerìa
apparandogli davant’ all’orecchionasogola
tutta la bellezza terraquea e delle stelle
che non si era addonato nella bastanzerìa della velocità
e quello smette di traversiarsi e domandiero
allupato di vermetaglierino
ne vuol’ancora e non ci sufficienza mai!

MORTE:

Ebbene sono madre di tutte le morti,
non cantilenarmi il tuo: “mea culpa,
mea culpa, prendi me,
prendi me, e questi figli partoriti riportali
a casa, su una barca falli tornare!”
Non posso, non posso, il mio latte è giallo
di fiele, sono volo di corvo, mica colomba
candida e migro in direzione opposta alla tua terra,
le nuvole nere e basse all’orizzonte io sono,
presagio di disgrazia e privazione.

VITA:

Ma chi ti credi di essere, signoruzza Morte,
regina dell’ingannosìa, padrona di tutte le credenze,
capace di ogni magherìa, ladra scipparola e traditora,
che t’arrobbi l’anima innocente e lassi stare il prepotente
femmina buttana che tradisci e fotti tutti e t’arridi della pena
e ti vanti della tua mafioseria boffoniando chi piange e si tribolìa

MORTE:

Stammi bene a sentire, accidenti a te:
sono io che chiamo te, non il contrario!
E togliti quest’aria vezzosa e sciantosina
che con i tuoi calembours su chi la sa più lunga
a filastroccare, non m’incanti e nulla cambi.
Ti sarai mica convinta di volerti eternizzare?
Chi ti credi d’essere: Roma?
Guarda bene le mie sembianze di signora che non lascia,
sottrae, impara a memoria il mio nome
come facevano i sudditi degli
imperatori che solcarono questa terra, dai porti
ai luoghi a me cari di sepoltura,
proprio qui, dove ora poggio questi miei piedi.

VITA:

Quale terribilio, quale tremanza d’ossa, quale adescanza di sensi
quale tragiedierìa vuoi svommicare dentro a la mia valìa?
perché m’infurori, millantiera, invocando i figli di madre
pasto scempio della tua lupa infame e quasi insinui che ci colpo io?
Ti sembra che mi fa spagnare la tua diavoligna sprezzanteria?
Vuoi campaniarmi col tuo fanfaroniare accossì io m’asservo
e non mi viene l’almo nemmeno di fuìrmene alla muta muta
mentre tu dispensi bara e menzognara lutti croci e funeraglia.

MORTE:

E smettila di ricordarmi chi sono io o chi sei tu,
che assenza è assenza e non è più acuta presenza,
tanto non restituisco niente, consegno all’oblio.
Sono l’oblio. Sono quello che stava negli occhi
di Dino Campana, nonostante gli incantesimi
di Sibilla, lui navigava verso me.
E tanto, pure se non t’addomestico, mi riconoscerai
e chinerai il capo, lo chinerai.
Sarò talmente nuda da sembrarti viva!
E spoglierò anche te d’ogni tua
certezza, ricchezza, bellezza, dialetto ruffiano,
incantatrice di greci, arabi e marinai.

VITA:

E lo conosco il tuo ciceroniare e il tuo corteggio che mi vuole accupare
e lo conosco il tuo vediesvedi che da casa mia mi vuole forestiare
e lo conosco il tuo irretimento che a conzaesconza me lo vuoi attavolare
e la conosco la tua suadenterìa che col tuo spinniespanni mi vuole allenzare
e di matre fingi petto palombino e mi dici che con la tua minna mi vuoi baliare.
E invece ti flagranzo a flanellare, a papariare una finta indegnazione
per tutti quelli che da te non si fanno fatare e al tuo ombriare preferrono l’azione.

MORTE:

Qui stanno sepolti. Qui, sotto la mia volontà
al bando ogni loro solcare mari e navigare, navigare
per poi finire sotto terra. Sono tornati nel mio ventre,
risalendo dal mio utero, senza godimento si sono
addormentati nel silenzio degli interstizi della
mia anima nera.
Non c’è niente da fare, non vedo nesso tra te e me, vita.
Eppure, sapessi come ti bramo, come magnifico il tuo nome!
Sapessi come vorrei che l’amore
mi toccasse ancora, dall’alto
mi potesse ancora benedire, strapparmi via
da tutto questo canto di dolore.
A labbra rosse, poter ancora solo dire: amore.

STICOMITIA FINALE

VITA:

Io son vita e il mio impazzimento
serve a trespassare la misura

MORTE:

Io, morte, non contengo misura
sono il limite, invalicabile limite

VITA:

ad assecutare sogni e orlanderie
ad accollarsi a te, morte
mannara dei miei meglio figli

MORTE:

li porto in grembo i tuoi figli
assieme ai miei e a quelli del mondo
in un livido e sterile grembo

VITA:

tu che scialacqueggi tutte le stagioni
oracolando fine e distruzioni

Versi finali letti in loop, quasi sovrapponendo le voci di Vita e Morte

MORTE:

strapparmi via
da tutto questo canto di dolore,
a labbra rosse, poter ancora solo dire: amore.

VITA:

E tu non darmi pensiero,
non chiedermi di essere solerte e intenta ospite del tuo destino,
composta pronuncia di sensi, voto e cura di ritorno perduto.

*

     

NOTE BIOGRAFICHE DELLE AUTRICI

Marilina Giaquinta

Marilina Giaquinta e Elisabetta Destasio a Poeti in itinere

Mi chiamo Marilina Giaquinta, catanese di nascita, di studi, di lavoro, di vita, una laurea in legge, l’altra non importa, sposata, tre figli, due cane raccolte dalla strada, cinefila fino alla dipendenza, librovora (come la protagonista de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera, porto sempre un libro in borsa), fino a qualche mese fa, poliziotto, di quelli che riempiono i gialli di oggi, con un grado strano che nessuno ha mai capito, nemmeno io che lo portavo. Tanto nei gialli televisivi e in quelli che tanto si usano adesso ci chiamano sempre “Commissari”. Cinque anni fa ho pubblicato il mio primo libro, una raccolta di poesie dal titolo “Il passo svelto dell’amore”. Il mio ultimo è ancora una raccolta di poesie dal titolo “Addimora”. Nel mezzo due raccolte di racconti, una delle quali tradotta in Germania. Qualcuno ha detto che scrivere è un atto di coraggio. Non è vero: scrivere è proprio un bisogno, del genere o scrivi o muori. Altrimenti, leggi e basta. Che ti fa bene. È pubblicare un atto di coraggio: ti consegni a chi ti legge, al suo giudizio, ti sveli senza condizioni. La scrittura ti rivela tutta e non hai scampo. La poesia di più.

Elisabetta Destasio

Nasce il 3 Maggio 1968 a Roma, dove vive.
Scopre già dall’adolescenza, anche grazie all’amicizia paterna con Pier Paolo Pasolini, la predilezione per il componimento poetico. Lavora nell’ambito delle produzioni teatrali e musicali, dal 1995. Collabora come consulente esterno di produzione con l’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Lavora con Carmelo Bene, Luciano Berio, Lina Sastri, Ennio Morricone. Dal 2013 intraprende l’attività di consulente editoriale ed editor. Relatrice in convegni dedicati al tema della lotta contro la violenza di genere, presso Ordine dei Medici di Roma, Dicembre 2015, Novembre 2016; Camera dei Deputati, a Febbraio 2016; Intervento presso Casa della Cultura di Milano per “Donne in poesia”, Ottobre 2017. Delega alla cultura per il Comune di Fiumicino, Roma, dal 2103 fino al mese di settembre del 2014. Membro del comitato organizzativo del Premio Poesia Città di Fiumicino, nel 2015 e 2016. Pubblicata da LietoColle Editore nell’Agenda Poetica 2013 e 2019. Presente nell’Atlante dei Poeti creato da Griselda, portale di letteratura del dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna. In occasione della Notte Bianca della Legalità riceve il “Premio Legalità Fiumicino 2018” per l’impegno civile e sociale svolto per la Fondazione Vassallo. A settembre del 2019 è curatrice e direttrice artistica della rassegna “Poeti in itinere” Prima edizione. Nel mese di Ottbre del 2109 alcuni suoi inediti sono stati tradotti in lingua araba e inglese, dalla scrittrice e giornalista Amal Bouchareb, per la rivista culturale letteraria Alaraby Aljadeed, diretta dal poeta Najwan Darwish.
Autrice delle raccolte di versi “Sogno d’acciaio” e “Corpo in animae” entrambi pubblicati da Annales Edizioni (prefazione di Alberto Bertoni).
Di prossima pubblicazione: “Da luoghi profani” Opera terza (supervisione a cura di Alberto Bertoni e Milo De Angelis).
Ha in corso d’opera: “Di tutti e di nessuno”; “Inedita” opera in endecasillabi; “Donne senza voce”, racconto/testimonianza di donne nel sud est dell’Africa. Storie di violenza e vita sopravvissuta; conduce approfondimenti sul tema del dolore e della malattia, in collaborazione con l’équipe del Policlinico di Tor Vergata di Roma. Coordinamento letterario: dott. Giampaolo Gombi e prof. Gianmario Anselmi, ex direttore del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, presso l’Università di Bologna e docente di Letteratura.

 

   

Ksenja Laginja, Freakshow

 

      

 

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