Brevi considerazioni a latere sulla “società dello spettacolo”, di Anna Zoli

Brevi considerazioni a latere  sulla “società dello spettacolo”, di Anna Zoli.

    

   

Al punto in cui siamo, bisogna rassegnarsi: tutto è spettacolo. In questo mondo dell’immagine, della merce e dell’uso merceologico dell’immagine, tutto è spettacolo.
Rassegnarsi? Si fa presto a dirlo. Ma sfogliando giornali, o guardando telegiornali o trasmissioni TV a me spesso ‘viene su il gas’, come si dice in Romagna, da cui provengo, se qualcosa non piace, disturba e..non va giù.
E questo accade soprattutto quando immagini di violenza bellica o privata vengono spettacolarizzate, spesso in maniera morbosa, per fare ‘audience’, per meglio ‘vendere’ la notizia. In sintesi quando la violenza, attraverso l’immagine, diventa spettacolo.

Anche quando si va nel grottesco. Che senso ha applaudire ai funerali? Esorcizzare la morte rendendola spettacolare? O forse esprimere soddisfazione per non essere noi in ‘fase di dipartita’?!

Anche quando è controproducente. Come le immagini degli atti efferati dell’ISIS, fatte passare ripetutamente sugli schermi televisivi. Qui basta la notizia. Punto. Altrimenti si asseconda la strategia dei terroristi che è quella di incutere paura attraverso lo spettacolo dell’orrore.

Per non parlare delle trasmissioni TV che riguardano la violenza maschile sulle donne, femminicidi, stupri, ecc. che, contrariamente a quanto si propongono, fanno del male alle donne. Con l’insistenza inaccettabile su immagini vittimizzanti, non fanno che riproporle come oggetti mercificati di spettacolo.
Anche in questi casi, basta dare la notizia. Volendo, può servire qualche approfondimento, fatto bene, che indaghi le cause profonde e le possibili soluzioni.

Per quanto riguarda i cartelloni e gli spot pubblicitari poi, l’Italia ha il triste primato di un uso esplicitamente merceologico del corpo delle donne. Lo afferma e lo mostra Lorella Zanardo nel suo bel video che si chiama appunto ‘Il corpo delle donne’. Risale a qualche anno fa, ma temo che da allora le cose non siano cambiate.

Certo, non è che io rimpianga i tempi in cui ”dare spettacolo” era qualcosa di estremamente disdicevole, specie per una donna (parlo della mia gioventù nel dopoguerra, fino al ’68).
Ma adesso siamo arrivati all’estremo opposto. E questo, in una società mediamente evoluta, dove non dominasse il profitto, non dovrebbe succedere. Ma qui entriamo nell’utopia.

in apertura Demetrio Polimeno, Esplorazioni urbane n . 17-2016

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