Senza avvenire: poesie di Giorgina Busca Gernetti, Luca De Risi, Angela Greco.
LA SPERANZA MUORE A LAMPEDUSA
di Giorgina Busca Gernetti
Lampedusa, 3 ottobre 2013
Madri e figli abbracciati, i padri accanto
nella ressa mostruosa sulla barca
che scivola sul mare azzurro e calmo.
L’isola è lì, rocciosa e desolata,
scabra ma luminosa di speranza
per la folla di neri naviganti.
«Mamma il fuoco, le fiamme!» grida un piccolo.
Gridano tutti e si stringono ai cari,
si gettano nel mare che li inghiotte.
Non più luce di vita e di speranza
ma gorgo orrendo che trascina al fondo.
La barca brucia, bruciano gli uomini.
La barca affonda carica di scheletri
senza più forma umana, senza vita,
arsa con loro la speranza azzurra
di nuova vita nell’isola scabra
che tutto vede e forse sparge lacrime
miste all’onde che involgono i cadaveri.
Si chiude il mare sopra il gorgo immane
che la barca ha travolto e trascinato
fino al fondale, tomba senza nome
di centinaia d’uomini, di giovani,
donne e bambini a un passo dalla terra
dei sogni infranti dalla sorte infìda.
***
Ai migranti di Ponte Galeria
di Luca De Risi
Cùcita bocca a non respirare
Bocca cucita a non mangiare
Cùcita bocca a non parlare
Bocca cucita a non ricordare
Cùcita bocca al già morire
Bocca cucita nulla da dire
Cùcita bocca a non baciare
Bocca cucita dalla nostra barbarie
Cùcita bocca a mortificare
Bocca cucita da ricattare
Cùcita bocca a imprigionare
Bocca cucita da liberare
Cùcita bocca dentro il dolore
Bocca cucita sull’orlo del cuore
Cùcita bocca la tua di ieri
Bocca cucita la mia, tu dov’eri
Cùcita bocca dell’ultimo al mondo
Bocca cucita da girotondo
Il girotondo della bocca cucita
Cùcite bocche per restarci la vita
Un filo due labbra
un ago una vita
bocca cucita
la rima è finita
***
A(v)venire
di Angela Greco
è sempre notte quando apri gli occhi ad un arrivo
non proprio improvviso te lo dice il vento la sera
con il colore di coperte che sanno di carta stagnola
una mano tesa oltre il bianco di una fila di denti
che appare per prima a dare il bacio alla terra
quella del piede posato che ancora trema di mare
culla e bara
a seconda delle stelle sciorinate su ciascun capo
beffarde soluzioni di futuro indipendenti da tutti
la lacrima di un addio scandisce il tempo nel legno
nuova clessidra da rigirare senza pietà per dirsi oltre
la scelta disgraziata di un potente a casa d’altri
qui dove si possiede solo il corpo per sopravvivere
si perde anche quello che prima aveva valore
per risuscitare
nella speranza che non sia un sepolcro nuovo
approdiamo nudi e carichi di cammini impietosi
quasi fosse ancora e nuova selezione della specie
Ho imparato la lingua non per chiamarli estranei
ma per un analgesico per il dolore di vita
nel limite della mia umanità per ferite irrimarginabili
che s’approfondano a scarnificare tempi e ossa
qui, in questo campo d’accoglienza che ne ha persi tanti
e tanti altri ne vedrà arrivare a bordo di un domani
dal fondo bucato
da una incomprensione che garrisce bandiera
celebriamo differenti credi sotto un cielo comune:
questa è soltanto un passaggio per chiunque
da spartire al meglio con l’indifferenza
d’un indirizzo apparentato lontano o un’illusione
d’occidente
raccontata quando non eravamo più bambini
dimenticando l’orco cattivo che disegna destini
un tema molto sentito, per la cui scelta ringrazio la Redazione, quasi una seconda pelle per chi, come me, abita la terra d’approdo (la Puglia) d’una speranza….
Il rischio della retorica lacrimevole era insito in questo tema così drammatico e, purtroppo, sempre attuale.
Mi pare che in queste poesie, anche nella mia, ciò sia stato evitato a favore di una rievocazione sobria e misurata della dolorosa vicenda.