Caleranno i vandali di Flavio Almerighi, note di lettura di Luigi Paraboschi

Caleranno i vandali di Flavio Almerighi, Samuele Ed. 2016, note di lettura di Luigi Paraboschi.

    

    

Se appartenete alla schiera di coloro che cercano consolazione quando leggono un libro di poesie, oppure se siete lettori che si perdono nel conteggio delle sillabe di ogni verso, o se amate essere presi per mano da un autore e confortati, assistiti, giustificati per ogni vostra debolezza perché avete trovato nella sua scrittura il balsamo ai vostri dolori sentimentali, bene, allora è meglio che non leggiate questo libro di Almerighi in vendita in questi giorni dopo un paio d’anni dai due precedenti “Sono le tre“ e “Procellaria”, perché questo è un lavoro che non fa sconti, e neppure chiede al lettore quella condivisione vagamente ipocrita di domandare quella benevolenza che si usa tra simili che condividono la stessa passione per la poesia.

Infatti dall’avvio a pag. 21 leggiamo

Gentile signore, sono state
dette parole molto importanti
su declino e ideologia
mentre preti addestrati
spandono unicamente vanità,
l’indirizzano ebbri di strazio
a noi, naufraghi come siamo
di un battello immenso
invasi, sicuri di non tornare.

Già dal titolo la raccolta sembra voler solleticare i bassi istinti di insofferenza sociale che di questi tempi serpeggiano nell’aria nostrana

Caleranno i Vandali
Niente fuga in ferrovia,
nessun distanziarsi in autobus
schiacciati senza intimità
dentro tripudi d’indifferenza,
dove cortili più che brevi
scordano poche soffitte rosse.
Caleranno i Vandali
pochi e male armati
spaventati cederanno
al ritardo che li acceca,
scagliati già supini
dai mari alla Penisola.
Noi dietro il vetro in utopie,
ogni cosa non va bene
qualche idea da collezione
nasce morta, già rubata
paia di ciabatte all’ombra
di vecchie colonie estive,
caleranno i Vandali,
gli Unni sono qui.

ma se i Vandali caleranno sarà perché noi “dietro il vetro in utopie“ non avremo compiuto fino in fondo quell’esame di coscienza che ci possa condurre ad accettare la verità racchiusa nei versi della poesia Callaghan, ove si legge:

“ gli altri, che davano del fascista
a un attore di buoni polizieschi
se ne stavano in panciolle al mare,
…..
c’era più giustizia
negli anni in cui Clint Eastwood
faceva Callaghan

L’occhio del poeta è impietoso nei confronti del mondo, non lascia possibilità di fuga o di auto assoluzioni, come scrive nella poesia io sono il prossimo ove il “prossimo” è da intendersi chiaramente nel senso evangelico, anche se Almerighi si guarda bene dal fare professione di alcuna fede religiosa

rincoglionito tra due cani dolci,
io sono il prossimo;
dentro un vestito
ampiamente vissuto,
io sono il prossimo;
rapito nel vento improvviso,
io sono il prossimo;
distratto e senza accorgermi
di cosa c’è ai miei piedi,

io sono il prossimo;
menù fisso 13€ bevande comprese
non li ho,
io sono il prossimo;
un telefono portatile
e per casa la soglia di un palazzo,
dopo un temporale
viene giù il sereno,
io sono il prossimo;
le città, anulari vuoti
dove ho perduto
anzitempo mio padre,
io sono il prossimo

Se è vero che “ gli Unni sono già qui “, allora significa che la barbarie è già dentro di noi, e l’autore non perde occasione per farci sapere di questa nostra barbarie, inserendo pesantemente nel contesto certe affermazioni che potrebbero passare quasi inosservate, come quando punta l’indice contro il razzismo inconscio che talvolta attraversa i nostri pensieri, ad esempio a pag. 69 egli scrive:

Sulla strada c’era disordine,
Quando vedi un nero
Pensi non sia un uomo,
Ma una cavalletta
Un branco di valigie
Come quando qualcuno
Se ne va

Il senso della scrittura di Almerighi non è del tutto facile da tirar fuori, perché essa non è ma piana, non procede con un periodare disteso, o frasi ove il pensiero fluisce con morbidezza regolare, no, egli lavora quasi a colpi di scalpello sul testo, toglie, usa lo sgorbia, accenna, butta là un pensiero che è un pugno nello stomaco e lo ammorbidisce con un contorno che sembra fatto di semplici annotazioni caratteriali o umorali sue e quindi dei suoi personaggi.
Se riprendiamo per intero la poesia citata in precedenza, tanto per restare su un esempio abbastanza chiaro di estraneità graffiante dell’autore, leggiamo che

Al mare non è successo niente
Solo per un poco
Ho sindacato di stelle
Credendo di veder farfalle,
dei gabbiani non so niente
E a chi si informava di calciomercato
Ho detto non lo so
Sulla strada c’era disordine,
Quando vedi un nero
Pensi non sia un uomo,
Ma una cavalletta
Un branco di valigie
Come quando qualcuno
Se ne va
Al mare non è successo niente
Tutto bene non ha piovuto mai
Non c’era bisogno
Tanto è già bagnato il mare
E la Croazia di fronte
Non si nota, succedesse qualcosa!
No, meglio di no

A me certi testi come questo producono quel senso di estraneità che si prova leggendo “lo straniero“ di Camus: abbiamo un tale che è stato al mare e forse era pieno di attese per qualcosa che poi non si è verificato, ma in mezzo a questa fotografia di confusione umana, di parole abbozzate, di annotazioni attorno al clima, vengono piazzati quei versi che lasciano affiorare perché gli Unni sono già tra di noi, come quando l’autore scrive:

Quando vedi un nero
Pensi non sia un uomo,
Ma una cavalletta

Almerighi non si chiama fuori dalle sue riflessioni, forse lo vorrebbe, forse il suo animo desidererebbe dire al lettore: “amico che mi leggi, ecco, io metto sotto i tuoi occhi fatti, avvenimenti dai quali io non faccio parte, sono soltanto uno scriba, uno che passa, annota e poi mette giù un testo“, come il seguente a pag. 85, che pare disarmante nella sua lucidità quasi allucinata

un tempo, una volta
ho avuto fantasie migliori
più discutibili
sto attraccato a un caffè,
sbarbato e in avaria,
barca in darsena
senza bandiera
le signorine ancheggiano,
il corso diventa
cruna dell’ago,
né belle né brutte
primi piani croccanti
pungono con distacco.
E’ quasi sera,
non ho fretta, resisto
sulla mia piastrella
a osservare l’infinito
mentre sparisce,
sto per morire,
nessuno me compreso sa
quanto sono stato bene

ed è in questa ultima strofa che noi recepiamo per intero quel tono di vago disgusto dell’autore che osserva il mondo, guarda la vita, si rende conto della sua banalità, e prende la distanza, quasi dà un addio al mondo, perché in altra poesia di pag. 82 egli ha scritto

l’incertezza è una cifra
molto cara da pagare,
sono stanco di violini,
stanco di rivoluzioni
da cui sgorgano melodie
prive di pensiero

Da quanto ho detto fino ad ora potrebbe sembrare che l’autore sia un cinico intellettuale, un poco freddo che si diverte a fotografare la realtà senza volervi partecipare, e convengo che talvolta la sua scrittura possa indurre a questo sospetto, proprio a causa dl quel voler quasi prendere a “pesci in faccia“ il lettore, ma in questa brevissima dal titolo Paradosso della poesia di pag. 73 egli tradisce la sua debolezza interiore, scrivendo

esulta canta si deprime
non parla e dice,
dopo un po’
fa molto male agli occhi

E gli occhi possono dolere non solo per la stanchezza fisica derivata dalla lettura, ma anche dal pianto che talvolta la poesia suscita nei lettori, e nella seconda parte del suo libro Almerighi sembra quasi voler chiedere scusa se nella prima metà del libro ha talvolta assunto una veste troppo distaccata, e ci presenta una serie di fotografie fatta di parole nella quali egli si abbandona a considerazioni molto affettuose, che manifestano una delicatezza attenta al femminile, come in questa di pag.74

Tra pochissimo un abbraccio
voglio darlo via così
intero, prendere o lasciare
dissipare tutto se non
quanto ho voluto,
pioggia e non il freddo
che porta,
il colore unanime
dell’amore che mi trovi
a non dovere affrontare tutto
armato fino ai denti,
rivedere ombrellini
tondi e colorati uscire
da scuola
non sopra un bicchiere,
sorprendermi a dire
cose mai dette.

Anche in questa successiva di pag. 77 affiora tutta la voglia di tenerezza che spesso tutti fatichiamo a confessare, ma che fa parte del nostro bagaglio di persone che hanno bisogno di “una cena affabile“

Ho messo la camicia,
è melagrana per macchiarla
di un pasto estraneo.
Fammi una cena affabile
questa sera, ti prego.
lasciami una rosa
tra tovaglia e bottiglia
magari non parlarne più,
falla tornare dal passato
avrò oltre lo smarrimento
e i cerchi del bicchiere
qualcosa che dica di te.
lasciala in caldo
anche se rientro solo
e il gatto pretende il rancio
da me. E mi fa cenno
perché vuole attenzione,
perché tutto è venuto da sé
non ti ho tenuta stretta
e sei fuggita lontano,
la sedia è ancora calda.

E vorrei concludere questa lettura delle poesie di Almerighi riportando una boutade di Woody Allen al recente festival di Cannes, che affermava: “la vita è una commedia scritta da un autore sadico“, che mi sembra giusto accostare a questa ultima poesia di pag. 94

Note sui dieci per cento
parità allo zero lordo,
aggiungi qualche cifra a destra
della virgola, lacrime e popoli
lasciati attraversare contando
sull’amichevole tempesta
pronta a salvare i vandali.
I morti sparlano allarmati
arrossiti come il cielo
dalle beresine di ogni giorno,
riposa suggestivo Père lachaise,
mia moglie fa la lavatrice
col nuovo ammorbidente.
Ustica data in pasto ai pesci
inservibile senza consolazione.
Quale insolenza, tu eri là
il tramonto una trave nell’occhio
di chi non sa vedere
l’anima stramorta come un sahel.
Quelli, il nostro mare
stanno bagnandolo col sangue,
guadagnano la terra a morsi
soffrendo pazienti i dieci per cento
impossibili per noi
chiusi e disgregati e secchi.

Sì, forse noi “chiusi, disgregati e secchi“ siamo proprio coloro che si meritano I Vandali, perché abbiamo una trave dentro l’occhio, e non ci meritiamo altro che le menzogne che ci vengono propinate sul nuovo ammorbidente per lavatrice, sulla strage di Ustica, tesi ad inseguire una parità di bilancio dello zero virgola qualcosa a destra delle virgola.

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2 thoughts on “Caleranno i vandali di Flavio Almerighi, note di lettura di Luigi Paraboschi”

  1. Desidero complimentarmi tanto con Luigi Paraboschi che con Flavio Almerighi.
    La poesia ha bisogno di respirare la propria particolare ribellione e, attraverso questi versi e l’esegesi ad essi rivolta, s’intende chiaramente che qui vi riesce.
    E riesce a smuovere – anche negli altri – un senso sano d’indomabile presenza.

    Sandro Angelucci

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