Calvino muore, inediti di Vito Panico.
Calvino muore
Esther assorbe il lutto tra piante innominabili
La pelle un’oliva rugosa nel sole di Settembre,
le parole di vischioso timbro argentino,
piante che aspirano la ‘c’
esemplari indigeno-esotici,
fogliame arcobaleno.
Il glicine lo proietta,
seduto nel patio,
mentre gratta via dal tavolo la ruggine della guerra
circondato da alberi estratti da un libro di botanica.
I sentieri che dalla strada dovrebbero condurre alla cima
lo fanno ogni seconda ascesa,
così che a volte, sebbene sembri di salire,
si scende invece verso il mare
e si è costretti al tuffo dalla macchia
che, improvvisa, spunta dietro ogni passo.
Ragni e formule algebriche abitano questi tratturi,
ma per lo più entità senza vocali come QWKKYZ
che prima rideva dell’Universo,
cambiandolo a ogni battuta,
sollevandolo dalla gravità,
anzi era l’Universo,
in forma di acqua, vuoto, Borges,
oggi, in lutto come per un Dio,
veglia il cadavere.
Il cuore di tutto è la casa.
Vista al mattino è un’enclave di silenzio,
vissuta la sera un roof bar Antonelliano.
Agli angoli più nascosti
dormono nuvole su amache,
mercanti di libri,
rane mute.
La casa è in sè una coincidenza,
a cercarla non esiste ma la si trova per caso,
e una stanza non porta a un’altra bensì al suo contrario
così che uscendone vi si entra ancora
da una porta che prima non c’era,
ed entrando uno ha ricordi sempre diversi,
ogni volta è più felice.
La casa è un labirinto privo d’ angoscia,
anime sole vi sono redente.
A sessantadue anni il corpo si dissolve
e con esso l’Italia moderna,
perchè questo era Calvino un italiano moderno,
uno con un’intelligenza al di sopra dei partiti,
lui era ciò che l’Italia sarebbe dovuta essere e tuttora non é.
La verità di Esther è un bacio a un sorso di the:
‘Italo non si può dire avesse amici,
Italo era in un mondo tutto suo’.
***
La crisi
Qui è tempo di piccole ore alla sedia ,
tempo di routine, di sbornie e d’insonnia.
È tempo di occhi blu dall’accento atlantico che ti baciano
Ma non si addormentano accanto per pigrizia,
Li come qui le luci delle vetrine non sorridono troppo,
né c’e’ chiasso nelle strade, perché è tempo di crisi
ma fra settimane tutti sorrideremo per un po’.
intanto ci nascondiamo dietro le parole,
e diamo grandi nomi alle minchiate.
E mi vestirò e camminerò nella pioggia,
perché chi vuole abbia la sua birra e il suo vino in offerta.
Fossi nato povero avrei paura. Non che non sia preoccupato, lo sono, ma per qualche ragione non me frega un cazzo. Sono due giorni ormai che mi hanno mandato via. Due giorni che mi alzo tardi. Dormo meglio ora.
Pazienza, ci vuole pazienza nella vita. Tutto ha i suoi tempi, le sue dinamiche, ci vogliono le parole giuste, i movimenti prevedibili, ci vuole buon senso insomma. Ecco io, ad un certo punto, ho perso queste doti sociali e ora non sono più coordinato con la gente. Per questo sono stato mandato via, esattamente per questo motivo.
***
la guerra
seamus è probabilmente l’unico amico,
calmo e capisce, conosce ironia,
la sua melanconia senza odio,
la sua memoria una trama di lana.
ho messo in ordine la stanza
perchè i pantaloni sparpagliati erano detrimento
tutto è tornato al suo posto, piano.
non è poi così male,
quelle montagne non sono così male.
avere una casa in questa città,
c’è di peggio. questa amica che ho
indecisa, sembra Aprile, le piace giocare
anche a me, anche a me.
ci vuole poco per mollare
ha giorni si, giorni no,
buonanotte e buongiorno
scherza pure, ma anche no,
sogna di partire e chi no?
la cosa m’annoia e mi costerà poco
alla fine, a meno che, essere amici,
il che dubito.
poi lunghe rombanti tregue accadono
dove ciascuno manda giù uva nera nella sua trincea
finchè, albe dopo, siamo di nuovo pronti.