La cartolina bruciata
racconto di Elsie Bloom
IL LUOGO
bar piccolo dai tavoli a conchiglia le pareti scintillanti di bianco cadaverico – camerieri in tute candide e spente – neon bianchi al soffitto fusi col pallore spettrale dei volti incipriati di noia –
LA SCENA
coppie di ibridi corpi si assaggiano le mani con carezze lente e languide – sorseggiano latte dagli ampi cristalli dei bicchieri con grosse cannucce ripiegate agli angoli – banchi vuoti qua e là – solitari a volte richiamano gli automi vacui e ordinano bevande dal sapore innocente poi ripescano i pensieri gli occhi bassi sul liquido e scemano in silenzio –
L’OMICIDA
corpo pieno sotto l’impermeabile blu corti capelli – un ciuffo ripiomba sugli occhi grigi e piccoli – una smorfia disgustata sale dalle labbra carnose al naso all’insù – mani pallide dalle unghie tinte nervose e instabili – calze nere e scarpe basse ai piedi –
LA VITTIMA
corpo magro giacca scura e impermeabile grigio corti capelli biondi – ciuffo ricade sulla fronte alta – aria assorta sugli occhi chiari congelati dall’estraneità – mani magre dalle dita affilate – stivali ai piedi –
lei tirò su col naso e prese la penna dalla borsa. ricamò cerchi a vuoto sul banco color cenere poi indispettita chiamò un portatore di vassoi e se ne fece dare un’altra. rossa. fissò la cartolina. un uccello dalle mille ali e dagli occhi tondi prendeva il volo dopo la caccia e a terra brandelli di preda. sazio e liberato spalancava lo sguardo e spiegava le ali alzandosi da terra.
la voltò e lasciò in bianco l’indirizzo. spostò il viso al soffitto a raggranellare le parole tamburellando il tavolo con le unghie poi frenetica scarabocchiò segni obliqui nello spazio vuoto.
fu allora che sollevò il ciuffo dagli occhi. lo vide. e con la cartolina tra le dita tese le gambe si spostò all’indietro e si alzò.
mazzo di ventidue carte colorate e piene. lui. mescolò tranquillo i cartoncini nella sinistra. poi li compose a disegno sul banco di marmo. nel passato vide amore gentile e stanco. dal giallo sgargiante e innocuo. nel presente vide follia rossa dai campanelli astuti e incauti. e rovesciando ancora le carte dai colori ad acquarello nel futuro vide donna velata e scarna. dalla falce nella mano. e ossa e volti caderle ai piedi.
rimase a fissare i simboli senza traduzione incantato e assorto. poi prese il pacchetto dalla tasca. e mentre la fiamma attaccava la fine tonda e svelta della sigaretta scoprì tra il bruciore dello zolfo una figura riflessa cadenzare il passo verso di lui.
si avvicinò. superò un cameriere dai baffi grigio topo e poggiando le mani sulle carte confuse si sedette davanti a lui. gli occhi fissi sul tavolo la cartolina ancora tra le dita. e scandì i suoni lenta.
– non potevo che venirmi a sedere qui. la notte è troppo lunga per sopportarne l’assenza.
lui con le labbra a cerchio alitò sulla fiamma e la guardò. raggruppò le carte in mazzo e bisbigliò la risposta.
– cosa fai per vivere?
le parole gli sfuggirono impercettibili e lei per seguirle dovette alzare il viso e leggergli le labbra. poi scoppiò a ridere. lacrime incerte le solcarono le occhiaie. rise finché l’ultima vibrazione le arrivò in gola strappandole un singhiozzo. niente intorno si era mosso. le maschere continuavano l’amplesso delle dita. e gli automi continuavano la corsa alle bevande.
riprendendo fiato la voce risuonò roca e decisa.
– inspiro e sputo l’aria dal petto. centinaia di migliaia di volte al giorno. a volte chiudo gli occhi. a volte li riapro. a volte mi siedo a un tavolo a scrivere cartoline…
entrambi guardarono l’uccello impietrito nell’alzarsi in volo accanto al mucchietto ordinato dei tarocchi.
– … che non spedisco mai.
aggiunse. le labbra ancora sconvolte dal riso.
lui la fissò serio abbandonando il disegno e affascinato dagli occhi che guizzavano veloci inarcò le labbra nell’abbozzo di un sorriso. tenendo in bilico il tabacco sulle dita strisciò le mani verso le sue stanche e umide abbandonate in posa sul tavolo levigato. e le sfiorò la pelle morbida e fredda. accarezzò le unghie smaltate scavò nelle fosse del palmo aperto e cominciò a recitare la sua parte.
– le carte dicono che sono eterno. la metamorfosi dello spirito vince la mortalità.
– lo so…
disse lei piegando il collo sulle mani e baciandole.
– lo so.
ripetè continuando a premere le labbra lentamente. un ronzio insistente saliva dagli altri tavoli come se non bastassero più i dialoghi delle dita e le parole cercassero appigli dove la mimica fallisce incapace. e i movimenti che fino ad allora erano stati rallentati e precisi ora farneticavano nel gioco delle voci che rimbombavano sempre più pesanti e minacciose. tanto che se avessero voluto continuare a parlare – lui la vittima e lei l’omicida – avrebbero dovuto tendere al massimo le corde vocali in un principio di grida per potersi sentire.
ma restarono immobili e silenziosi. senza snodare le mani. poi lui con scatto repentino aspirò l’ultima boccata di fumo e premette la sigaretta fino al filtro sulla cartolina. la cenere brillò per alcuni istanti sugli occhi sbarrati del grosso uccello nero e un grido terrorizzante e acuto sembrò provenire dal becco semichiuso. assordante e interminabile di orrore. lui tolse il mozzicone spento dalla figura. e al posto dello sguardo liberato degli occhi spalancati e vivi un buco bianco marmoreo bruciacchiato ai lati e sporco di cenere. non più uccello in elevazione ma carcassa cieca agonizzante nel goffo tentativo di lasciare terra.
gli occhi fissi sulle labbra sottili lei computò le ultime parole.
– il mio amore se ne sta svanendo. e io non posso altro che ucciderti.
entrambi si sporsero in avanti per toccarsi con le labbra bagnate e assetate. movimenti svelti e decisi percorrevano il viso. e quando spalancarono la bocca lasciando posto alla lingua nell’acre sapore del tabacco lei emerse la lama dalla tasca. fu gesto istantaneo incidergli la gola da destra a sinistra. lei sentì la lingua paralizzarsi e il viso sciogliersi nell’inerzia. il luccichio affondargli nella carne preciso. e solo quando il sangue a fiotti le aveva inzuppato gli abiti e bagnato la pelle sviò dolcemente le labbra. lo guardò ancora un attimo prima di andarsene. gli passò una mano sulla fronte a ricomporgli i capelli. e si alzò.
uno dei corpi a comando si stupì poco dopo dell’insolito vivo colore dipinto sul tavolo. e dell’informe massa accasciata. la testa rovesciata alla parete e la bocca semiaperta. lo spostò con difficoltà a causa dell’insolita posizione del viso rivolto verso l’alto. poi diligente robot tornò a spazzare la cenere dal marmo. gettò le carte in un cestino colmo di vetro. scorse la cartolina bruciata e guardandosi intorno se la infilò nel taschino della divisa candida. non prima di averne letto la calligrafia incerta. due macchie rossastre gli si formarono sul risvolto esterno della giacca.
– l’amore non si realizza.
si desidera.
l’unico amore
è il sogno ambito di un sogno d’amore.