C’è un merlo alla ringhiera, forse due, inediti di Giuseppe Nibali.
Giuseppe Nibali è nato a Catania nel 1991. È laureato in Lettere Moderne. Ha collaborato con giornali e riviste fra cui “La Sicilia” e “Clandestinozoom”. Collabora dal 2010 con il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna. Nel giugno 2013, con la casa editrice “Affinità elettive” di Ancona pubblica la sua opera prima: “Come dio su tre croci” questa, sempre nel 2013 ha vinto il primo premio al concorso nazionale di poesia “Serrapetrona – le stanze del tempo”, ha ottenuto una Menzione d’onore al premio “InediTO – Premio colline di Torino”, e nel 2014 è risultata vincitrice del Premio nazionale Elena Violani Landi per la sezione Opera Prima. Suoi inediti compaiono nell’ Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea edito da Raffaelli Editore, con una nota introduttiva di Davide Rondoni e in diverse antologie poetiche e blog. Nel 2015, per Origini Edizioni ha pubblicato il suo secondo libro: La voce di Cassandra – Studi sul corpo di una vergine.
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Scurau, U senti
stu scuru ca ni pigghia?
Statti cà. Resta,
è longa a nuttata, e non chianciri,
basta. Lu purtuni è spunnatu
lu spunnau n’ventu chinu ri iorna
trasi trasi, talìa a me vesti, a morsi a morsi.
Pri ttia, quannu nascisti, e pri
to patri ca chiamai tutt’u tempu
e non m’arrispunniu.
Veni cà, non chianciri.
Intra’a chiesa parravanu ro n’fernu, u parrinu s’infucau
e aveva l’occh’i fora, ancora
pri lu scantu, nta lu cori.
T’incaccau l’ogghiu supr’a testa
sulu cà, pri tri ghiorna,
luciu a festa.
(Ha fatto buio, la senti / questa oscurità che ci prende? / stai qui. Resta, / è lunga la notte e non piangere, / basta. Il portone è sfondato / lo ha sfondato un vento pieno di giorni / entra entra, guarda il mio vestito, fatto a brani. / Per te, quando sei nato, e per / tuo padre che ho chiamato tutto il tempo / e non ha risposto. // Veni qua, non piangere. / Dentro la chiesa parlavano dell’inferno, il prete si è infuocato / e aveva gli occhi di fuori, ancora / per lo spavento, dentro il cuore. / Ti ha spinto l’olio sulla testa / solo qui, per tre giorni, / si è illuminata la festa.)
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Forse meno della vita Di tutta la mia Anna
vestita coi Gioielli dell’infanzia, m’interessa
una svista sul cemento, il tuonare dal giardino
qui davanti ché c’è un merlo alla ringhiera, forse due,
o te, o me a rinunciare col becco a tutto il futuro.
Sul muro a un passo lì dalla catastrofe si svolge
all’occasione una fontana.
E ci beve e non sente tutta la rovina. Che violenza
l’avere -come noi- solo piccole ali e scendere i pozzi
per risalirli.
Poi il merlo ritorna, nel neo della sera, magari
– mi dico – diretto alla Maceria e col becco, ma
spaventa e gonfia e scappa via.
***
Ti seguirà il male dietro l’edera
e di sopra, sul balcone in lamiera
che usi per rifugio. Non è il tempo
delle corse alla ringhiera mentre lo sfondo
si disossa, e passa dall’arco delle vie
per la montagna.
È morto anche il vecchio prete di Ragalna
per la fine del suo giorno, una domenica
nella chiesa che segna il confine delle case
dal giallo dei granai. Chissà che luce
Carmela lì dai tetti, dove il sole si
inurba coi pastori fra i negozi
e che fatica morire anche tu sulla chiesa
nel barrito alto della fiera.
Qui nel lontano la nebbia muove la pianura
sopra i ponti, dalla miseria di colline,
altre volte fuori alla finestra
si alza lo scheletro di un albero.
***
Sono ancora uomini qui, enormi
anche i morti, tutti. Tutti.
Scuotiamo lo sterno, alziamo gli occhi
come lucertole, per uccidere per
ingoiare il molle di un verme.
Enormi come ventre buio di bambina
alla corsa, bambina che spazzi il
corrimano del lido, ne visiti le croste.
Hanno tremore anche le ossa qui
Sbranate sul cemento e non sentono
l’acqua, il suo nylon ritrovato
sul pontile verso il dentro
di prato sintetico.
Siano sterpi, oltre il mare, le coste
per apprendere concordia, sia
frenato il vento dalla mano
sopra il nostro vero volto, vero ovale
profondo corale degli uomini.
non male