Che razza di mondo di Giorgia Monti, recensione di Federico Cerminara

Che razza di mondo di Giorgia Monti, Cicorivolta ed. 201, recensione di Federico Cerminara.

    

   

Che razza di mondo è il nome della prima silloge di Giorgia Monti, pubblicata nel 2012 da Cicorivolta Edizioni; non solo versi, ma anche una raccolta di immagini, prestate dai pittori Bicio e Fulvio Mordenti perché accompagnino la lettura.

Che razza di mondo è la domanda che rimane in sottofondo come un brusio neanche troppo silenzioso, per prendere forma talvolta come desiderio di attenzioni (mi si spezzano le unghie, così, senza un motivo \ capisci?), talvolta come ricerca di un faro che funga da antidoto al sentimento del vuoto (quando non si ha più voglia di essere soli, sappiamo di esserlo). Sembra però destinato a perdersi nel nulla questo appello, perché chi dovrebbe accoglierlo non è in ascolto o non è pronto, è troppo lontano o è troppo diverso (io cerco l’armonia \ tu trovi il dispetto), non ha la tempra, né la forza (incerto ingenuo inadatto inconsapevole) per venire in aiuto; e allora quando più non si spera che un’altra mano possa diventare complice, isola in cui cercare riparo (Tu vuoi passare una mano \ sulla mia cellulite \ e renderla ardente \ come il diamante. \ Ma è un regalo idiota \ il petalo, la cellulite e anche il diamante \ come pure la tua mano stanca), le parole che raccontano questo mondo sciagurato si accontentano di diventare monito, avvertimento all’ascoltatore dichiarato inerme, incapace (Copriti le orecchie \ turati il naso \ ma aguzzala la vista \ e stai attento \ a dove metti quel piede).

Che razza di mondo è il mondo di cui si è persa la fiducia lungo la strada; a tratti assume i connotati di una punizione, altrove suona come una tragedia annunciata da cui a poco è servito il tentativo di fuga. (Non capiterà a me di perdere \ il gusto per questa avventura \ mi dicevo non più bambina. \ Non capiterà a me di lasciarmi \ vincere dalla bruttura. \ Eppure.) Ed è proprio scavando a ritroso, in quell’essere bambina, nel ricordo di un tempo passato, che si trova un cantuccio, un piccolo spiraglio di serenità, nel gioco serale di spiare i disegni illuminati delle finestre sui muri (Mi sembra di essere \ ancora piccina \ davanti a una schermata \ di cartoni animati. \ Senza pensieri \ senza ricordi \ tutto dentro \ a una scatola di colori.)

Si prova un certo sollievo nel leggere questa poesia intitolata Giochi, perché è qui, tra queste parole, che il lettore incontra un’oasi in cui prendere pace e respirare. (Come quando ero piccina \ guardo le forme le ombre i colori \ e non ho pensieri. \ Resto calda \ con una sensazione di buono \ ignorando \ che cosa succede.)

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