Cinepresa mistica di Gianfranco Vacca, CollezioneLetteraria ed.: la parola che filma l’invisibile, recensione a cura di Sandro Angelucci e due poesie.
C’è un unico modo – a mio parere – per tentare il giusto approccio alla poesia di Gianfranco Vacca: liberarsi del peso della razionalità.
Mi spiego: è necessario abbandonarsi totalmente al mistero, alla sua incomprensione, alla sua spiazzante logicità.
Partiamo da due ossimori: uno è contenuto nel titolo stesso che il poeta caprese dà alla raccolta di cui si sta disquisendo, l’altro – quasi a fargli da eco – è lo stralcio di quarta di copertina, tratto da uno dei testi più alti e significativi.
Il libro – dato alle stampe nella Collezione Letteraria dell’Editrice “Puntoacapo” – reca la seguente intestazione: Cinepresa mistica. Bene, il contrasto tra il concreto e l’astratto è fin troppo evidente ma si tratta di una contrapposizione tutt’altro che discordante: la macchina da presa c’è ma non si vede, e se si vedesse cesserebbe di esistere.
Si ascolti subito, allora, quella risonanza di cui dicevo, e che mi piace riportare comprensiva della prima strofa della lirica in questione: “Per patteggiamento d’ombre / apparvero gli ultimi territori / che cedevano il passo / all’ultimo sole / ed il mondo finì in porpora. // Non conoscemmo dove finì il nostro cuore / espanso come fucina autonoma / ma emisferi ed orizzonti opposti / luce ed ombra / divennero sinonimi”.
È uno degli spezzoni del filmato registrato dalla cinepresa, proiettato prima nell’anima e poi sulla carta. Ma non ci sono sale, non ci sono schermi: soltanto scenari immaginifici che, indefinitamente, estendono il campo, dilatano i confini: bisogna farsi “specchio nel silenzio”, attendere che si riduca “a piccoli scrigni / di cristalli incantati / o ad innumerevoli infiniti / ciò che qui giù, su di noi / offusca la visione.”.
Il vero e l’imprecisabile, il sogno e la realtà s’incontrano non per suggestione ma per il fatto che la linea di demarcazione si assottiglia sempre più, fino a dissolversi, a svanire nella compenetrazione dell’uno nell’altro.
Quella che prende forma è un’esistenza inconsapevole ma, nello stesso tempo, profondamente informata sulla propria essenza: “Se sono io ciò che appare / io non saprò cosa sono – scrive – per poi concludere la stessa poesia con questi versi: “E se non sono io / saprò cosa sono / – immaginosamente – / – agli orizzonti il profumo – / cosa tu sia di me in una rosa / cosa io sia del cielo / nella tua mano.”.
Ora: avere coscienza di sé attraverso l’esteriorità equivale a non conoscersi, mentre non conoscersi significa essere avvertiti di cosa realmente si è. Di primo acchito può sembrare contorto, ma non lo è, non lo è affatto. Si rifletta: che altro resterebbe se sapessimo già tutto di noi; non ci sarebbe nulla da filmare, la pellicola non potrebbe impressionarsi neppure con i colori del mare, del cielo, della terra.
E, invece, nella perfetta ignoranza, si oltrepassa il nostro stesso limite, si arriva a comprendersi e a farsi comprendere. Eccolo, allora, il misticismo di Gianfranco Vacca: un rapporto non mistificatorio con il divino perché, prima di tutto, non ingannevole con il proprio io.
Ecco perché “la nullificazione della somma” deriva dalla coincidenza del volere con il non volere e l’“alchimia” della mente diventa agnostica non per astensione e indifferenza bensì per assoluta immedesimazione.
Quando il Nostro lancia questa invocazione: “Pronuncia ora il mio nome, / il suo segreto / o il mio angelo dal cielo / così che l’immaginazione / scenda a patti con la logica.”, dichiara inequivocabilmente di credere.
Una fede dai toni orientaleggianti – si potrebbe essere portati a pensare – ma, sinceramente, a me, questo poco interessa; mi attira, molto di più, quello “sforzo insistito” (di cui parla Giampiero Bellingeri) “. . . a vedersi dentro nel momento di proiettarsi fuori. . .”, nel tentativo di unirsi al mondo e, dunque, agli altri, di cogliere l’ombra nella luce e la luce nell’ombra, il vuoto nel pieno ed il pieno nel vuoto in nome di un’armonia suprema.
Mi entusiasma la mistica di questa parola quando così si esprime: “Meglio non sapere / Meglio pensarti / come un falco che non esiste affatto / la tua scia nel cielo / ha le ali cantanti / in ascolto per qualsiasi futuro”.
Il futuro in cui tutti speriamo e, già qui, nel presente, per chi sogna sul serio è un fatto reale.
da Cinepresa mistica:
Se fa tardi la sera
non usare la bellezza languida
su di te, affrettandola
o il rosso cupo
per il tuo notturno d’amore.
Come uno specchio nel silenzio
attendi
il suo giro di fiocchi e diamanti
che riduce a piccoli scrigni
di cristalli incantati
o ad innumerevoli infiniti
ciò che qui giù, su di noi
offusca la visione.
(pag. 6)
***
Se sono io ciò che appare
io non saprò cosa sono –
forse sono colui che
potrà appena ricordare
il ricordo di se stesso
quando alla fine
non sarò più dentro di me.
E se non sono io
saprò cosa sono
– immaginosamente –
– agli orizzonti il profumo –
cosa tu sia di me in una rosa
cosa io sia del cielo
nella tua mano.
(pag. 23)