Cinquantaseicozze di Roberto R. Corsi, recensione di Carla Villagrossi

Cinquantaseicozze di Roberto R. Corsi, Italic ed. 2015, recensione di Carla Villagrossi: la maschera salmastra.

     

     

La raccolta poetica di Roberto R. Corsi richiama al culto del mare. La liquida origine della vita sul nostro pianeta, immensità dalla inestimabile ricchezza organica, è per l’autore la scenografia delle sue 56 composizioni. La lirica della spiaggia è qui una ribalta della comunicazione, è il conforto per il passo oscillante e la dubbiosa andatura, un arenile per il flusso di pensieri instabili nei loro significati composti.

Ineluttabilmente solo stupisco a questa sublime lingua di spiaggia
in cui finanche le arselle emergono a sfioro, fiduciose,
e i granchietti docili sul palmo sanno che li riaccompagnerai nell’onda
dopo giusto qualche attimo di gioco. Il mare si ritira lievemente
sul far delle tre, il sole spande tepore riflesso[i] 

Tutto sembra impeccabile nel respiro blu dell’onda, si tratta di intraducibile movimento, incessante circolazione che riconsegna il ricordo, strumento divino. Ma anche naufragio, allegoria, fascino nascosto, palcoscenico della memoria per amori finiti e illusioni subacquee.

[…] Similmente, nuotando, scorgi a volte
un bagliore sul fondale però manchi di polmoni:
ti agiti per la scoperta ma proprio non riesci e manco provi
ad andare in apnea, star li a macerare pinneggiando non darà disciplina
coraggio o allenamento. Devi lasciar perdere,
dirigerti più in là, sia quel che sia.[…][ii]

I doni del mare sono sconosciuti, a volte incontrollabili, si manifestano con un turbamento che agisce nel profondo e fa emergere il sentimento del tutto e del vuoto. Roberto R. Corsi tratta dei ricordi, del nulla, dell’infanzia, dell’amore, della morte, temi che transitano sulla sabbia bollente e ne restano ustionati, tuttavia sarà possibile per il lettore cercare nelle fresche acque del mare diverse e agevolate possibilità di lettura. Siamo posizionati nella cruenta irrealtà del nostro privilegio anche se siamo attorniati da migranti portatori delle loro emergenze.[iii]

Le domande da fare all’acuto scrittore sono numerose. La parola vuole collegarsi all’esistenza attraverso l’estetica del mollusco acefalo? L’ascolto poetico avviene nel momento in cui il palato avverte l’emozione dalle prelibatezze marine? Oppure l’autore si diletta con le urtanti rappresentazioni di un femminile che potrebbe assumere tratti sgradevoli? Sono presenti scontri di nature diversamente compatibili? Tante domande per una lettura molteplice, serpeggiante di contenuti già ponderati da un’autocritica non consolatoria e non sempre rivalutativa effettuata dall’autore stesso.
Vivono nella successione delle composizioni compiaciute e amare tracce biografiche espresse solennemente mediante un rito di pronuncia, una liturgia che dissolve i contenuti malinconici di chi cerca invano la sospensione del tempo, il grande potenziale dei suoi centotomila talenti non espressi si dissolve nel riposo pomeridiano.

[…] La mia identità culturale la mia forza si scolla col peso
dell’età, finiscono i blog gli spettacoli gl’inviti, nemmeno
mi rammento cosa ho scritto, figurati se lo ricordano gli altri. Ma versami da bere.[iv]

Roberto R. Corsi potrebbe essere, ricordando Pessoa, un poeta superiore che dice ciò che effettivamente sente, un poeta medio che ci propone quello che decide di cogliere, oppure potrebbe rappresentare il poeta inferiore che racconta ciò che ritiene suo dovere verificare. Sa attraversare i corrispondenti livelli del Super-Io, dell’Io, dell’Es e sconfina da una zona all’altra, tenendosi ancorato al mare splendente della Versilia. Dirige l’orchestra utilizzando l’ironia, sovente feroce, per impostare gli strumenti della sua composizione e il disinganno per scandire il tempo e organizzare le diverse voci del coro. I quadri, ovvero le scene in successione, procedono di cozza in cozza con mosse animose, amare ironie, attacchi astuti, beffardi assoli, aspre armonie.
L’autore sa schernire anzitutto il proprio malessere e mortificare le profonde frustrazioni del poeta avvilito nella convinzione che la ricerca lirica nulla debba cercare e nulla debba inventare. Questo signor nessuno[v] cerca la persistenza del perdente, nessuno sa fare nessuno quanto me.[vi] La certezza del nulla e del fallimento sono espressi con una tenacia degna di Emil M. Cioran quando ci racconta l’uomo, ovvero colui che non è, colui che assapora le proprie infermità.

Non si ha nessun problema nell’uccidere un uomo
quando il coltello è il lento diniego della sua dignità,
quando il cappio è l’irrisione della forza lavoro,
è la macchinazione in gocce contro i suoi progetti,
è la cimosa ufficiale contro il pensiero obliquo.

Leggo la grande poetessa che vive a Berlino,
la immagino alzarsi e fare lentamente colazione,
avere silenzio e tempo gravido di lucciole sillabiche.
Quanto a me, quand’anche mi trovassero col cuore del mondo
pulsante in pugno, grondante sangue sulla penna, mi manderebbero
via perché qualcuno deve rifarmi la stanza o gli serve il computer
per scrivere un preventivo alla salumeria
Porco d’oro.[vii]

Il poeta narratore pratica, l’esercizio del distacco dalle proprie imprese, l’ironica rassegnazione che non lo ripara dalla persistenza del perdente.[viii] Il vuoto si riconosce nell’esperienza del corpo, del tempo, dell’infanzia, della solitudine, crogiòlo della propria esistenza, narrazione che alimenta la vita, contrasta il non quantificabile, ovvero il nulla; costruire e demolire è una ginnastica dell’ingegno umano che passa attraverso l’ironia per raccogliere gli assurdi significati della vita.
Anatomia dell’incertezza, virtù impagabile del controsenso svelato dalla satira arguta che permette una lucida visione delle miserie umane, delle quali si fa carico il poeta nel percorso biografico. L’incontro precoce con il pensiero della grande distruttrice avviene con l’esperienza di un vortice pauroso, una tromba d’aria che gli procurò il battesimo di Madame La Mort, la marchiatura a fuoco dell’umano/ nel burroso cervello di bimbo.[ix]

Il lettore fa pratica di vertigine, di energie psichiche libere da facili identificazioni, tra sguardi distaccati e arguzie che vanno a scovare i pregi e i difetti dell’uomo-autore, nella consapevolezza che Roberto R. Corsi ci parla dei nostri limiti e delle nostre debolezze, delle false certezze, prendendo distanza da atteggiamenti intransigenti e dogmatici. Il gioco delle carte della composizione numero 30, smonta ogni possibile presunzione, Per uscirne da lati opposti /(chi ha perso mette via e paga il conto) e tornare a non capirsi/ rassettando uniformi vanagloria.[x] Un conto che viene presentato anche nella prima e nell’ultima composizione, una spettanza dalla quale nessuno può sottrarsi, un calice (cozza) del piacere e del dolore che la poesia con la sua onda di ironia creativa, convoca e non dissolve.

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[i]    Ivi XXIV p. 35
[ii]   Ivi XXVII p. 39
[iii]   Ivi XXIX p.41
[iv]   Ivi XIV p. 25
[v]    Ivi VIII p.18
[vi]   Ivi XLVIII p.62
[vii]  Ivi XLIII p. 56
[viii]  Ivi XIII p.24
[ix]   Ivi XII p. 23
[x]    Ivi XXX p. 42

cinquantaseicozze cover

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