Come quel giorno che presi un treno sbagliandone gli orari, di Emidio Montini.
13. Come quel giorno che presi un treno sbagliandone gli orari. Di arrivo e di ripartenza. Verso Istambul. Quattro giorni di ferie e tre di viaggio! Ma fu bello comunque attraversare i Balcani, i grigi paesi dai diroccati comignoli, e le mandrie vedere di bradi cavalli sulle ampie distese d’un territorio mesto. E quello stronzo d’un turco, e il suo tentativo d’infilarmi i piedi in mezzo alle cosce, stendendoli sul sedile dove seduto, finché con stizza non lo spinsi lontano, e dopo tutto fu più chiaro. E l’arrivo improvviso, in un mondo diverso, fatto d’odori e colori che non hanno confronto: una corsa al Mercato, alla Moschea Azzurra, un passaggio rapido sul Ponte sul Bosforo, tanto per dire che ero stato in Asia. E mentre questo accadeva, la mia futura moglie, sentendo di tafferugli nella capitale e non vedendomi tornare, telefonava a Roma, in Ambasciata, per saperne di più. Ma non risultavo tra i feriti, i coinvolti: come sempre nei miei viaggi ero un’ombra. E le ombre attraversano la Storia senza danno. Sono salve proprio perché immemori, radicate nell’eterno, nell’immaginazione, che invisibile è parallela ai fatti, gemella al come e al quando. Di viaggi pazzeschi come questo ne ho fatti altri, noncurante dei limiti dello spazio e del tempo, sparviero primordiale: di scogli abitatore e di caverne. Parigi la fatua, la dolce Amsterdam, Barcellona la colorita, e altre pianure e altre città, pur di fuggire dal padre e salvarmi dalla madre: d’ogni essere vivente i primi carcerieri. Ma non si vola in eterno neppure se aquile, non resiste la roccia al tempo neppure se quarzo puro. Prima o poi bisogna toccare terra, rifiatare soli: come dopo una guerra.
da “IL TEMPO E LE MAREE” (Gilgamesh Edizioni – 2016)