Come voce errante di Clara Nistri, recensione di Annalisa Rodeghiero

Come voce errante di Clara Nistri, Blu di Prussia Ed, 2017, recensione di Annalisa Rodeghiero.

      

     

Cammina senza posa, instancabilmente vaga qua e là senza apparente dimora Clara Nistri in Come voce errante. S’immerge nella magnificenza della natura attraversandone stagioni e cieli, riversando in essa la sua anima e lasciandosi avvolgere dai suoi cromatismi e dalle sue voci.
Dentro silenzi che pesa(no) sul cuore dentro lunghe notti di solitudine e pensieri, cammina dentro se stessa con la speranza di ritrovare ciò che lei era, o almeno la sua ombra: mi cerco nei tanti volti/ di colei che fui […] per divenire me. È un esilio, il suo, che nasce dal bisogno costante di interrogarsi per ritrovare la sua identità, per sentirsi ancora l’anima, la luce e tornare a imparare ad amarsi. Sembra quasi che la sua voce si faccia errante nella speranza di trovare un luogo inconoscibile d’anima cui approdare nel suo tormentato peregrinare.
Un percorso che ci porta a scoprire l’essenza dell’universalità racchiusa nella sua interiorità profonda.
Si dirà che è dei poeti il vagabondare alla scoperta dei tanti perché della vita ma -nello specifico- la ricerca non è tanto finalizzata alla risposta né alla scrittura ma ha radici vive nel dolore profondo che la poetessa ha toccato con mano:
In cieli spezzati/ è volata/ la rondine/ del mio battesimo […] Ho conosciuto la notte/ e la sete/ che cala dalla luna/ lungo crinali d’ombre
e ancora: Non c’è niente/ che vorrei ricordare, /niente da poter raccontare, / ma un unico grande vuoto, /una voragine cosmica, / un buco nero/ che cattura ogni frammento di luce.

Non sempre il tempo è solidale con le nostre aspettative e a volte, intralcia il fiume dell’esistenza come un tronco di traverso all’acqua. E allora, a tratti, sembra dilatarsi il tempo nel dolore e la vita che comunque fugge, sembra fatta di ore e secoli. In realtà sono ore non consumate/ divenute grigie/ per l’invecchiare/ tra sonno e sogno.
A tratti invece, sembra restringersi il tempo imprigionato/ dal colore ferrigno del cielo entro confini misurabili solo dal divino, sembra comprimersi il tempo, fino a chiudersi.
Ma è al di là delle barriere/ di un tempo chiuso che la Nistri getta lo sguardo, con la consapevolezza che per tornare è necessario perdersi.
È l’armonia imperante degli opposti a rendere possibile l’equilibrio tra il non essere e l’imparare a rispettare la vita. Leggiamo infatti, in una delle ultime liriche della prima sezione LUOGHI DELL’ANIMA:
Non essere pietra/ né vento/ né acqua/ piange la terra
e di contro, subito dopo, in apertura della seconda sezione STORIE E VITA, troviamo questi quattro versi emblematici:
Santa è la sofferenza/ nel dolore/ per cui si impara/ a rispettare la vita
Non esiste, Clara, nelle lunghe notti di solitudine quando pesa sul cuore il silenzio, quando si rende conto di avere perduto la speranza e i sogni. Morire/ è indossare l’ombra della vita.
Ma lo spiraglio di rinascita, un presagio di luce le viene offerto proprio dall’angelo nel sogno:
Ogni pensiero, / ogni mia lacrima, / perfino la mia assenza/ avevano un posto in quella luce.

Ed è proprio nell’anelito a rapportarsi a Dio che si snodano le liriche delle ultime due sezioni, IL SILENZIO E L’ATTESA e L’INCONTRO. Dice bene nella prefazione Carmelo Mezzasalma: “Ci sono due modi fra loro inseparabili per incontrare Dio: “con gli occhi chiusi”, immergendosi nella preghiera, anche sofferta, in Lui; e “con gli occhi aperti”, riconoscendolo nella realtà in cui ci troviamo. Clara Nistri, nella sua poesia, vive l’uno e l’altro modo di incontrare Dio”.
Affermazione che non può che trovarci d’accordo se nei versi notiamo sia l’invocazione al Padre percepito sempre silenzioso, Padre assente/ e presente sempre e a cui chiede incessantemente soltanto di essere ascoltata e ripresa tra le sue braccia, sia il desiderio di trovarlo nelle situazioni concrete dell’esistenza, nella fatica del quotidiano esistere intriso di ricordi, dolci seppur dolenti, primo fra tutti e sempre presente quello che incisivamente definisce “dono tremendo”. Dolorosissimo e profondissimo ossimoro, cuore che irrora e nutre ogni verso della silloge. Com’è difficile lasciare chi si ama/ -mai senza pena, / mai senza dolore.
D’altro canto chi prega ha un proprio modo di farlo e Clara dichiara esplicitamente che la preghiera è parlare con Dio e non con noi stessi, ma non può essere ripetizione di parole già scritte dato che non ha parole la preghiera, / ma gesti colmi di spazi. Non ripetitivo mantra bensì confidenza di assenze, silenzi, lotte e paure soprattutto forse anche il dubbio. Un dubbio funzionale ad incrementare la sua fede mai cieca.
Così come la sua anima, come la sua voce, anche la fede è quindi errante nel rapporto conflittuale con Dio, rapporto comprensivo di un doversene andare da Lui per poi tornare e di un sapersi commuovere al mistero quando si spalan(ca) la porta/ del tuo universo/ a me/ che in forse sono/ tra entrare/ o andarmene nella mia notte.
Se decide di ascoltare chiede ascolto: Tu che chiami/ all’amore/ dal silenzio concavo/ dei pianeti/ ascolta la mia pena, e supplica che l’umana intimità venga ascoltata. Chiede amore Clara, con tenacia perché tutto è possibile/ in nome dell’amore anche quando il silenzio/ si oppone nel silenzio e lo chiede rivolgendosi all’umano che c’è nel divino: e allora dicci, /dicci che speri anche tu, /che vuoi credere in noi/ qualunque sia la ruota/ della vita.
Ed è proprio quando sente la presenza di Dio come Padre che si rende conto di non poter più camminare da sola e la sua voce errante con estrema dolcezza chiede: Portami tu/ amore che sostieni/ fuoco eterno dell’anima, / sostanza e vita. / Portami verso il “dove”
L’apostolo Paolo scrive ai Galati: “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1). Libertà come dono prima che come conquista “Dono che ha origine divina” ricorda Beatrice a Dante nel Paradiso. L’uomo deve essere guarito dalle sue ferite per poter compiere, in libertà, il viaggio verso la pienezza della sua umanità.

Errare per tornare, allora, in quella dimora tanto cercata in ogni sogno- sonno, in quella dimora che -finalmente sicura- appare, dove ogni verità trova il posto giusto come leggiamo nella splendida poesia che chiude la raccolta:

Nel vuoto
gremito di attese
una sicura mano
annoda la mia
alla tua Verità.

Trasparente foglia
Voce errante
Nutrimento,
origine.
Luce feconda.

Esco da quel bagliore
opalescente perla…

D’improvviso ogni parola
detta,
taciuta.
Persa.
Forma un solo canto.
S’innalza il coro
della mia lode. 

L’acqua ritorna all’acqua
il suono torna al suono,
luce alla luce, 

l’anima torna a Dio
e si fa eternità.

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in apertura opera di Maurizio Caruso

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