Considerazione alquanto breve su poesia scritta, orale, performance e slam, di Paolo Agrati

Considerazione alquanto breve su poesia scritta, orale, performance e slam, di Paolo Agrati.

    

    

Definire un testo secondo la tipologia di costruzione, serve a mio avviso unicamente a comprendere un determinato modo di scrivere e non a creare una scala nella quale identificare cosa sia più poesia e cosa lo sia meno. Partendo da questo presupposto, la poesia pensata per rivolgersi ad un pubblico, che alcuni chiamano performativa o popolare, non presenta nessuna novità in ambito poetico. Ripropone invece il tema della condivisione, della comunicazione attiva che avviene non più solo tramite la pagina scritta ma recuperando l’oralità, l’uso del corpo, del gesto, dello sguardo, del suono, del contatto diretto tra il poeta e chi lo ascolta. Uscendo finalmente dal ghetto intellettualistico nel quale i poeti stessi l’hanno relegata. Una poesia corale dunque, intesa come atto pubblico, che affronta temi attuali e comprensibili ma non per questo facili, nei quali chi ascolta ha la possibilità di identificarsi. Un pubblico che non è mai stato attratto dalla lettura, allontanato dallo snobismo della poesia serrata da un linguaggio distante nella pagina come nei circoli, che si riscopre spettatore di un reading e acquirente di libri. Penso che sia un atto di modernità, per il poeta, usare il suo strumento in accordo coi tempi nei quali vive; trovare una chiave per competere cogli altri mezzi comunicativi, senza perdere di vista i punti cardine del proprio lavoro: non scrivere dunque per, ma a favore di un pubblico. Banalmente, è l’artista che interpreta la modernità che diventa testimone del suo tempo.

Non penso affatto poi che tutta la poesia debba necessariamente essere detta. C’è una dimensione intima che senza dubbio dobbiamo prendere in considerazione; rimane potente l’esigenza di una scrittura nella quale il poeta e il lettore si confrontano vis a vis con la pagina, ciascuno nella propria solitudine. Perciò personalmente, scelgo in maniera scrupolosa i testi da presentare a seconda del luogo e degli ascoltatori, non forzando una poesia ad essere ciò che non è. Credo anzi che farlo sia una vero e proprio atto di violenza e dunque non leggo mai una poesia che ritengo scritta per non essere condivisa dal vivo.

C’è poi il Poetry Slam, disciplina nella quale i poeti si confrontano tra loro ma soprattutto con un’ audience spesso popolare, senza grandi conoscenze del tema, nella quale la giuria è scelta con un’estrazione. Questo permette a chi scrive di spogliarsi del proprio orgoglio, di entrare in un’arena dove può accadere che il proprio testo non piaccia affatto. Ma la competizione è solo una scusa per fare emergere le voci, per conoscerne di differenti, alcune interessanti altre meno, come è nella natura delle cose. E’ curioso poi notare come si affermi maggiormente, almeno in ambito italiano, il poeta che riesce a trovare un giusto equilibrio tra il dire e lo scrivere, tra la voce e la pagina. In ambito internazionale invece si sta consolidando un linguaggio altro, che tende a discostarsi completamente dal testo scritto a favore principalmente dell’azione e del suono. E’ un linguaggio che trovo interessante ma dal quale non sono particolarmente attratto.

I rischi connessi a questo tipo di poesia sono infatti quelli di perdere la direzione e confondere la natura di ciò che si sta facendo. Ma per quanto mi riguarda, in ambito sperimentale, mi accollo tranquillamente anche l’onere di poter sbagliare. Ha un ruolo importante l’umorismo per esempio, che favorisce una comunicazione più diretta, veicola i messaggi con più efficacia ma è anche guardato con estrema diffidenza dai poeti tradizionali. A questi rispondo con una citazione del poeta americano Billy Collins che dopo aver fatto notare che la dismissione della comicità è avvenuta solo durante il diciannovesimo secolo, dice: “Non vedo perché ci si debba interrogare sullo humor in poesia. Altrettanto legittimamente ci si potrebbe chiedere perché c’è tanta seriosità.”

Certo non si può fare i comici se non si è comici, non si può leggere in pubblico se non si è capaci di farlo, la ricerca della propria voce rimane per il poeta una sfida fondamentale come per qualsiasi altro artista. Perciò credo che nell’avvicinarsi alle nuove voci, si debba concentrare l’attenzione sull’ analisi della singola opera, rimanendo sempre aperti e liberi dai pregiudizi nell’ascolto di qualsiasi linguaggio che acquista valore se sa sfruttare appieno le caratteristiche e gli obiettivi che si propone di attuare.

                          

Dismaland, credits PA photos - in apertura opera di Damien Hirst
Dismaland, credits PA photos – in apertura opera di Damien Hirst

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