Convocare la verità e provocare la bellezza, editoriale di Alessandro Dall’Olio

Convocare la verità e provocare la bellezza, editoriale di Alessandro Dall’Olio.

  

   

La poesia è la resistenza di fronte al vuoto comunicativo odierno. Ci collega attraverso i profondi canali della necessità, della bellezza necessaria.
Ci vuole sempre più coraggio a reggere le sfide del pensiero unico, del pensiero omologato, e la poesia invece offre una visione personale, libera, svincolata. Parla di cose che viviamo, di sensazioni che proviamo, della coscienza, ma parla anche di ciò che è sconosciuto, di ciò che è difficilmente esplicabile, di ciò che è latente e ci sconvolge.
I poeti si ostinano a mettere la vita al centro delle cose. La poesia è avere a che fare con l’altro, con gli altri, dentro al mestiere di vivere. Un’esperienza generatrice per chi la scrive e per chi l’accoglie.
Talvolta è generatrice di estetica e continua a lottare con la società dell’anestetica, la società del non sentire o del sentire sempre meno. Purtroppo siamo umani, quindi fallibili e di scarsa memoria. Maldestramente accontentabili, ci accontentiamo sempre più spesso. E accettando, anziché vivere, continuiamo i giorni in una vita che non è la nostra. Allora la poesia può venire in nostro soccorso, sollevarci le palpebre, dare un appiglio per rialzarci, trovare una condivisione, un lume acceso.
Perché anche se scrivere poesia è innanzitutto un gesto egoistico, chi scrive contiene anche il mistero dell’immaginazione di qualcun altro, può fare vivere in altri luoghi dell’anima la sua singolare prospettiva, il suo sentimento.
Il poeta cede la propria parola in sincerità interposta per dare vita a qualcos’altro. O per testimoniare. I poeti, in quanto artisti, sono testimoni del tempo che vivono. E narrandone momenti, lo tramandano per sempre (nell’antichità tutto quello che si sapeva del mondo veniva dagli aedi, il tramite tra storia e contingenza).
E’ mio parere che la poesia debba avere una caratteristica fondante: creare una reazione. Ecco perché la sua diffusione dovrebbe raggiungere più luoghi, più scaffali, più terre.
La letteratura da sempre serve per imparare la lingua e con essa il pensiero, che sono lo strumento fondamentale delle persone.
Attraverso la pulsione inevitabile della plenitudine nascosta nelle parole si possono scoprire cose alle quali, pur davanti al nostro sguardo da sempre, non avevamo prestato attenzione. Nonostante talvolta il desiderio di scrivere deve fare i conti con una realtà dolorosa e sordida, a cui ci si rifiuta di prestare il fianco. Una realtà che si immagina diversa, una realtà nella quale più persone possibili siano toccate da questa forma letteraria, che finalmente allontani il pensiero stereotipato del poeta: triste, noioso, incomprensibile e snob. I poeti sanno ridere, sanno vivere, sanno ridersi addosso e amare, non solo per iscritto. Questo penso sia un aspetto necessario alla diffusione poetica. Compito nostro, di noi che scriviamo in versi intendo, è togliere quella patina polverosa che sa di elitario (nell’accezione negativa), che odora di bauli chiusi, di capoversi lasciati al buio delle pagine e di circoli dei quali solo pochi eletti (da chi, poi?) posseggono le chiavi del portone dai cardini ormai arrugginiti.
Poco tempo fa, alla presentazione della raccolta antologica “Sotto il cielo di Lampedusa” (componimenti sui drammi dei migranti), un relatore ha aperto il suo discorso introduttivo con una frase a mio parere splendida: “La prima cosa che mi ha colpito di questo libro è che è stato scritto da persone senza ombelico”, sottolineando quel disvalore presente in quei poeti che non si confrontano con il mondo circostante – per partito preso, per altezzosità, per i più disparati motivi – ma immobili, come una patella allo scoglio, rimangono ancorati al loro orizzonte ombelicale.
Credo sia importante avvicinare le voci di chi scrive, non per leggersi solamente ma per ascoltarsi. Ridare valore alle parole e al loro etimo. Contribuire alla diffusione poetica attraverso ciò che sempre troppo spesso viene considerato un dato trascurabile: l’intellegibilità. La parola eleva, ti eleva se la pronunci o la scrivi, ma ti eleva anche se la senti arrivare dentro esattamente. Per dare una ulteriore possibilità, anche a chi non fa della poesia una passione urgente e una questione vitale, di ascoltare l’altro. In versi e in emozioni.
La poesia è il prodotto sincero di spazi e momenti, l’eredità di un racconto, il suggerimento di un senso, un miracolo normale. Palloni aerostatici da zavorrare alla realtà. La più reclusa e appartata attività letteraria non smette mai di lavorare. Dentro noi e dentro chi ci offre orecchie e occhi. Scrivendo e diffondendo ad alta voce il nostro scrivere cerchiamo di dare ordine a un brusio interiore, a un sottovoce che non nasce mai dal vuoto ma dal troppo pieno.
Cesare Pavese sosteneva che far poesie è come far l’amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa. Ma bisogna continuare a tentare la condivisione e la gioia.
Fare spazio in noi per toccarci la vita. Chiamare a raccolta l’anima, i pensieri e i battiti. Seminare parole nell’aria per impollinare altri cuori.

Per questo secondo me è importante organizzare reading, contaminazioni artistiche, portare i versi in braccio alle persone, ad un pubblico sempre più numeroso, che magari a fine serata ha conosciuto, o riconosciuto, qualcosa che prima aveva guardato con uno sguardo altro. E la nostra scrittura, senza chi ci ascolta e chi ci legge, è un’opera muta, un foglio bianco.
La diffusione poetica significa convocare la verità, provocare la bellezza.

La poesia, come dicevo all’inizio, ci collega attraverso la profondità dell’essere umano. Ma fa una cosa in più: si offre alla comunità e, saggiandola, la crea.

***

Mentre ti tolgo le scarpe

Raccolte e assediate
immagini si incarnano
e se ne vanno,
lasciano posti vuoti
alle spalle,
mi ammutolisce l’affanno.

Attirato e respinto
dalla completezza
della vita incompleta
vorrei aver detto a te
tutte le cose belle
che ho detto.

Una pienezza che
sola può darsi
se si vive nel vero,
a prendere forma nell’anzi,
il fregarsene di come altri
vorrebbero fosse per noi.

Tutti adoperano la parola
amore
nel modo che decidono,
e lei si lascia fare.
Ci sono sfumature di vita
che le parole non conoscono.

tn_violin berthon ORRIZZ

 

 

2 thoughts on “Convocare la verità e provocare la bellezza, editoriale di Alessandro Dall’Olio”

  1. Perfettamente d’accordo con Alessandro Dall’olio (“E’ mio parere che la poesia debba avere una caratteristica fondante: creare una reazione. Ecco perché la sua diffusione dovrebbe raggiungere più luoghi, più scaffali, più terre.”). E, allora, sia la benvenuta quella diffusione poetica che provocatoriamente convoca la verità al solo fine di creare altra e sempre nuova bellezza.
    ” Ci sono sfumature di vita
    che le parole non conoscono.”
    e sfumature di parole che la vita conosce bene: facciamo in modo che si riesca a coglierle.

    Sandro Angelucci

  2. Sono affascinata da ció che ha scritto Alessandro Dall’olio e condivido pienamente la sua descrizione. La poesia é da tanti anni il mio modo preferito per esprimermi e mi colma di felicitá il poterlo fare.

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