Cosa accade alla casa quando esco sbattendo la porta, poesie di Paolo Polvani.
Cosa accade alla casa
quando esco sbattendo la porta
Ci sono parole che ancora volteggiano nell’aria
prima che i loro vuoti involucri si adagino
in un residuo di polvere lungo le pareti.
Piccoli insetti diventano padroni del silenzio.
La poltrona trattiene il vuoto della forma, i quadri
mantengono un rigido riserbo.
Sul pavimento lucido un filo parla la lingua dell’esilio.
La finestra registra il profilo delle nuvole.
Il frigorifero senza preavviso si mette a borbottare.
Si assiste alla declinazione degli oggetti
durante la parabola del sole. Nella luce
si affaccia una pantofola, cerbiatta
timida prossima alla consunzione.
Il suono del postino irrompe nel vuoto della casa,
lo riempie di uno splendido interrogativo.
Il clamore del traffico accarezza le sedie in cucina.
Nei bagni le tubature se ne infischiano delle voci
dei vicini ed emettono brevi gorgoglii, guaiti
appena pronunciati, sospiri, soffi.
Forse risuonano dei passi, forse una vecchia paura
ancora aleggia nelle stanze.
Le tovaglie conservano i loro vividi colori.
Ci sono dita che si attorcigliano all’attesa.
***
Frigo
Nelle parentesi del buio sosta
dopo un felice itinerario
lo stupore ghiacciato della frutta:
gli amici mandarini, le arance.
Di sbieco riposa il vino.
Gonfio d’ insalate, di verdure, rivendica
i fasti della notte.
Sorprende lo sguardo il suo improvviso
lampo, la fredda Venere che trascina
l’alba.
Nel silenzio mormora una sua privata
litania, si ripete un racconto
di ronzii e di nuvole.
***
Gli armadi
Quali cieli nascondono gli armadi,
quale omaggio ai segreti di ottobre ?
Nel sangue delle melagrane si dipana un
silenzio e il passo del gatto attraversa
l’obliqua misura dell’ombra.
La pancia grave degli armadi
alleggerisce un’attesa enumerando i suoi
doni: l’alito caldo dei cappotti
la lanosa baldanza di giacche
che aspettano il cigolio dell’alba.
***
Il verde dell’origano
Manca ogni traccia d’enfasi nel domestico
origano. Non esige. Non chiede.
Non accampa.
Annuncia la sua presenza un balbettio, un ammicco
dal vetro di barattoli di marmellata declassati.
La sua pretesa è essere
fino in fondo origano. Diffondere il suo verde
mite e il suono delle foglie secche
sbriciolate, premio della cucina, rimedio
di ogni credenza, di ogni atmosfera
di persone tranquillamente intente.
***
Parole da cucina
Dalla finestra entrano squarci di case, entra
il cielo. Miriam schiaccia le noci, mangia
miele d’acacia. Sul tavolo le briciole
e una solitudine in cucina da sbucciare
come un frutto, masticare piano, stringere
al petto come un elenco telefonico.
Ci regaliamo parole, mi regali
foto di alberi. Tutto è dentro le parole.
Lontano i camion
scivolano dentro un silenzio disperato.
Le colline immobili, prive di occhi.
Sul tavolo le arance sparpagliate,
alla rinfusa. Aprile entra in cucina.
Le parole si rincorrono confuse,
a caccia di verità, profuse
dalla radiosità della tua voce.
Fanno bene le parole, così diffuse,
generose, piene, colorate, illuse.
Nelle poesie di Paolo trovo un dialogo intenso e molto personale, molto intimo, tra il poeta e gli oggetti comuni. In questa intensa relazione tra l’anima del poeta e e le piccole realtà del quotidiano, prendono forma e vita anche le cose più banali: la poltrona conserva la forma di chissà quale emozione, le figure dei quadri hanno assistito, muti, a un piccolo dramma familiare e adesso sembrano guardare il lettore scuotendo appena il capo, come a sottolineare una necessità di discrezione. Ma in questa scena domestica, si affacciano prepotentemente, ma con discreta eleganza, una pantofola, le sedie, il borbottìo del frigo che rimbrotta una porta sbattuta, una finestra che finge di guardare le nuvole e la buffa allegoria del postino che bussa alla porta interiore del poeta e del lettore per richiamarlo a una qualche tardiva riflessione. Paolo non descrive le emozioni, lascia al lettore il compito di annusarle, di indovinarle guardando lo stupore ghiacciato della frutta, i cieli nascosti negli armadi e s’indovina qualcuno che passa le dita tra gli abiti preparandosi a chissà quale incontro. Persino l’origano, le marmellate, le noci, le briciole vengono a sussurrare turbamenti e trepidazioni, ma sempre con una leggerezza che, appunto perché tale, arriva con tocco delicato al cuore del lettore e lo apre alla magia delle piccole cose e del loro linguaggio segreto.
Elvira carissima, ti ringrazio tanto per questo tuo commento così partecipe, vivo, attento, colorato, che mi regala una grande, inattesa gioia! PP
Questa casa che parla…e il concerto corale delle voci mute di ogni oggetto che la abita. Il profumo, la luce, la polvere. Tutto si rivela nella lingua,di una bellezza commovente, della poesia di Paolo Polvani.
grazie mille Rossella, le tue parole sono per me un grande onore e un grande piacere! mi confortano nell’idea che la poesia non è mai inutile. PP