“Ma credete veramente
di essere pazzi? Davvero? Invece no,
voi non siete più pazzi
della media dei coglioni
che vanno in giro
per la strada,
ve lo dico io!”
Randy lo ritrovo al solito bar,
beve litri d’acqua,
trangugia come chupiti
tutto quel liquido
e ogni tanto lo portano in ospedale.
io sono diverso da lui
perché non riesco a bere un goccio,
chi troppo chi nulla
in questo oceano di parole al vento
schiacciate da polveri sottili
come sassi che precipitano dal cielo.
“dov’è casa tua?” chiedo,
smarrito mi guarda,
non risponde,
oltre a bere velocemente
cammina correndo,
come quei pedoni
che si buttano sugli scalini
del passante in Piazzale Dateo
svanendo nel buio cimiteriale
del cemento.
non esistevano, allora, le tangenti,
nel viale abitavano Penelope,
mia nonna, la sarta
e Alfredo, mio nonno
con i suoi quattro bocchini,
quattro pacchetti di nazionali al giorno.
ricordo una foresta di alberi,
il verde sbirciava dentro le finestre
e passava il tram, il 38,
capolinea in piazza Axum,
forse, non ricordo bene.
guardo fuori sparuti rami secchi
come larici piangenti spelacchiati,
non hanno il vestitino della festa,
una fila desolata
che costeggia il Corso Plebisciti.
ripenso a Randy
e al suo mondo d’acqua e di gazzosa,
alle corse in ospedale,
agli inutili colloqui con lo strizza di turno.
“Almeno io ci ho provato, vacca troia, almeno io ci ho provato”
mi risponde dopo aver nuovamente bevuto.
gli altri con i fili attaccati alle orecchie,
sembrano delle autobombe in procinto
di saltare in aria ma non esplodono,
seminano mine nel complice
e condiviso passeggio di gomitoli
che si intrecciano in ragnatele
sempre più fitte,
l’aria non filtra più
e i simpatici cavetti
respirano l’afflato dell’affanno,
dispersi tra dispersi,
uguali tra uguali,
i neri come i bianchi
pennellando il grigio del presente,
volando tutti sul nido del cuculo.
***
Poesie tratte da “Chiachiericchio” di Marco Saya, Marco Saya ed. 2012
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Foto di testata: Paolo Zanardi 066 – Oporto, giugno 2007
Belle e niente affatto retoriche, come quasi sempre sono le poesie di questa natura che mi capita di leggere. Complimenti veri !
Grazie Nunzia, vero, la cosiddetta “poesia civile” rischia spesso di essere descritta a ” colpi di slogan” . C’è un poeta che amo leggere che ci ha lasciato un paio di anni fa e che su queste tematiche volava con una leggerezza unica: Luigi di Ruscio, un poeta anche tanto ignorato dalla critica ufficiale sempre così ossequiosa verso il “regime” 🙂
Non parlarmi di regime…comprendo!!!!! Vige odiosissimo da che è nata la critica di mestiere e l’intellettuale di professione. Io lo combatto e non ne riconosco l’autorità. nunzia
condivido ogni singola lettera!
gli altri con i fili attaccati alle orecchie,
sembrano delle autobombe in procinto
di saltare in aria ma non esplodono,
seminano mine nel complice
e condiviso passeggio di gomitoli
che si intrecciano in ragnatele
sempre più fitte,
l’aria non filtra più
e i simpatici cavetti
respirano l’afflato dell’affanno,
dispersi tra dispersi,
uguali tra uguali,
i neri come i bianchi
pennellando il grigio del presente,
volando tutti sul nido del cuculo.
questa strofa ( se così si può chiamare ) la trovo perfetta.
nel senso che rappresenta la realtà ma la trasforma senza essere appesantita dalla declamazione che di solito accompagna la poesia socio-politica.
grazie
luigi38
la tecnologia spesso la vivo come una minaccia sociale, uno strumento funzionale ma che omologa e indebolisce il pensiero umano. forse mi sbaglio ma il “pallottoliere” ha senso a 4-5 anni poi ” i simpatici cavetti” ci accompagnano per tutta la vita e altri cavetti ci accompagneranno nella nostra fine. 🙂