da paolo santarone a giovanni pascoli

Al mio poeta Zvanì Pascoli

                       

Come ho amato il tuo canto rurale.

Le rane nei fossati,

le nebbie basse sui campi concimati

i versi degli uccelli

il gioco delle tue onomatopee

che ti calava nel vero

della terra dove eri cresciuto.

E dopo ho amato due poesie

ove forse confessavi la tristezza

di certe tue patologie dell’anima

a mezzo tra pudore ed impotenza

che pure erano inni

alla sacra potenza dell’amore.

Tu amore no:

fosti nella vita un pauroso

e non costa fatica figurarsi un alcunché di vile

forse un’invidia, forse una rivalsa.

Ma tutto questo non toccò il poeta.

Erano vati, i coevi tuoi,

e amanti celebri e geni conclamati,

eppure amammo te,

che non sapesti neppur vedere

la magica bellezza di Matera

e frignavi per il desiderio di Bologna,

la cattedra,

le eredità accademiche…

Tra i tanti che pensavano alle sorti ,

tu reclinasti il capo al tuo passato,

e d’un evento di cronaca brutale

facesti  poesia, mito e prigione.

Ma m’hai portato nella tua Romagna,

e sopra il tuo ippogrifo ho visto pencolare l’aquilone.

Con te ho vissuto il lampo e il tuono

come li aveva letti l’uomo antico.

Con te ho pianto, poeta,

e questo è ciò che conta.

                              

  2012-04-06 Giovanni Pascoli ritratto a Castelvecchio (LU) - fronte                  

One thought on “da paolo santarone a giovanni pascoli”

  1. credo che siamo tutti in debito verso Pascoli, il primo a scrivere quella che chiamiamo ” poesia moderna “.

    un bell’omaggio il tuo, Paolo, grazie

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