Al mio poeta Zvanì Pascoli
Come ho amato il tuo canto rurale.
Le rane nei fossati,
le nebbie basse sui campi concimati
i versi degli uccelli
il gioco delle tue onomatopee
che ti calava nel vero
della terra dove eri cresciuto.
E dopo ho amato due poesie
ove forse confessavi la tristezza
di certe tue patologie dell’anima
a mezzo tra pudore ed impotenza
che pure erano inni
alla sacra potenza dell’amore.
Tu amore no:
fosti nella vita un pauroso
e non costa fatica figurarsi un alcunché di vile
forse un’invidia, forse una rivalsa.
Ma tutto questo non toccò il poeta.
Erano vati, i coevi tuoi,
e amanti celebri e geni conclamati,
eppure amammo te,
che non sapesti neppur vedere
la magica bellezza di Matera
e frignavi per il desiderio di Bologna,
la cattedra,
le eredità accademiche…
Tra i tanti che pensavano alle sorti ,
tu reclinasti il capo al tuo passato,
e d’un evento di cronaca brutale
facesti poesia, mito e prigione.
Ma m’hai portato nella tua Romagna,
e sopra il tuo ippogrifo ho visto pencolare l’aquilone.
Con te ho vissuto il lampo e il tuono
come li aveva letti l’uomo antico.
Con te ho pianto, poeta,
e questo è ciò che conta.
credo che siamo tutti in debito verso Pascoli, il primo a scrivere quella che chiamiamo ” poesia moderna “.
un bell’omaggio il tuo, Paolo, grazie