da Regesto – 1979-2009, Book Editore 2014, poesie di Massimo Scrignòli.
Massimo Scrignòli (1953), bolognese di adozione, vive in provincia di Ferrara, sulle rive del Grande Fiume. A partire dal sorprendente esordio di Notiziario tendenzioso (1979) ha pubblicato diversi libri di poesia, che oggi sono raccolti nel volume Regesto 1979-2009 (Book Editore, 2014). Presente in numerose pubblicazioni antologiche e didattiche in Italia e all’estero, sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo, portoghese, croato. Ha partecipato ad autorevoli festival internazionali di poesia e letteratura; nel 2006 e nel 2009 ha rappresentato l’Italia all’International Poetry Festival di Zagabria. Del suo lavoro si sono occupati, tra gli altri, critici come Giovanni Raboni, Geno Pampaloni, Roberto Sanesi, Silvio Ramat, Alberto Bertoni.
A testimonianza di una costante attività letteraria e culturale, anche come “compagno di viaggio” di artisti contemporanei, sono prestigiose edizioni d’arte in cui suoi testi vengono affiancati da opere di pittori di fama internazionale come Enrico Baj, Giorgio Griffa, Concetto Pozzati, Nina Nasilli, Agostino Bonalumi.
Svolge un’intensa attività nel campo dell’editoria, curando e coordinando collane di poesia, critica letteraria, filosofia, arte. Ha inoltre curato la versione e l’introduzione critica di Relazione per un’accademia e altri racconti di Franz Kafka (1997). Già Finalista al Premio “Viareggio”, ha vinto importanti premi letterari, il Festival Nazionale di Poesia “San Pellegrino” e il Premio Internazionale di Poesia “Gradiva” 2015 (New York) per il volume Regesto.
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Regesto raccoglie le poesie pubblicate in volume dal 1979 al 2009. Contiene inoltre “Lieve a portare”, un quaderno di traduzione (da Eliot a Celan, da Char a Pound, da Apollinaire a Kafka). Attraversando l’intervallo di un trentennio, la scrittura di Scrignòli spazia dalla “improntitudine allo stato puro”, indicata da Pampaloni, all’azione, annotata da Sanesi, di “dare figura al pensiero”, confermando il giudizio espresso da Giacinto Spagnoletti: uno dei momenti piú vivi della poesia di oggi. Qui vi proponiamo una selezione dell’autore per Versante Ripido da questo libro:
da Notiziario tendenzioso (1979)
Bisognerà partire dai contributi che ogni uomo
ci lascia nascendo, per amare il nostro niente
cosí bene orientato. E non schernire l’idea
del paesaggio verbale: lo farebbe già Jean-Paul, e io
non saprei ricamarne i profili; bisognerà
gettare fuori dal pollaio l’intimismo
e dar da bere alle radici della brava eco:
come spiccioli di una meritata pausa
imbiancata con la calce della mia presa della Bastiglia.
…
Non volermene; credo che alla fine interesserà soltanto me
– o la paresi della mia memoria, se vuoi –
il comune discorso a due, tu ed io, tu e loro;
lo ricordo per l’assioma dominante
invischiato nel mio corpo da cartina tornasole, e anche
per lo sterrato della mia vecchiezza;
se verrà; e anche se non viene.
Voglio dire che conosco bene lo scaltro
proprietario della giullarata primaverile che tout-court
ci ha spogliati. Non avrò per questo
ingressi di favore
alle barricate del sessantotto e da tanto dico
che un camaleonte nudo inaridisce
la razza e non ha diritto a nessuna cura.
Peggio ancora toccherà all’ipocondria
della fantasia sottopelle, (sai,
come fosse un dispetto sessuale)
che è pur sempre una dichiarazione d’amore.
***
da Lapsus ? (1981)
Arriva e colpisce, non importa dove.
Colpisce. Cosí si rischiano i pensati figli
rovesciando lapsus e carni e miti precoci.
Per compensare le perversioni, diresti.
Rischiando la parodia e l’esodo
come chi nasconde nel ventre
il nesso tra gli indizî in lotta
e il seminabile.
(Forse è soltanto questo non volermi alzare.
Oppure è che non unisco a questa
assenza in sonnambula
nessuna corruzione tra le paure e le improvvise
evoluzioni. Le tanto care corruzioni
buone solamente per i vivipari
o per i germi che nascono già vivi.
Ma colpisce. E il suo segno rimane, pieno.
E la riproduzione in te di questo emblema
è cosí corrosiva dentro da smangiarmi
il coraggio alla sfida, mentre
l’idea di non volerlo cercare, di nasconderlo
pelle dentro pelle diviene già
cronico possesso).
…
Quando
(come fossero ripetute smorfie
sul viso, non dell’età, stimolate anzi
dalla pienezza degli anni, come se rovesciando
i sorrisi che pure sono smorfie
ci riconoscessimo l’uno nell’altra e le forze
giovani non dovessero sembrare che i segni
dello scampato crepacuore) quando, pensavo,
la nostra accidia odorerà di niente
come lo strano inferno carnale che ci inquieta, allora
i tanti corpi spogli che ora sfioriamo
ci allontaneranno dal crepacuore e dalla sua paura.
(Passerà anche la tentazione. Arriva, colpisce
nel punto esatto e passa. Lapsus?
Lapsus.
Le tracce che inseguo
sono le impronte lasciate nascendo
e questo perverso rincorrerci è sotto ogni
unghia, melmoso, pulsante come un cuore aperto.
Come dopo un errore imprevisto).
***
da Le linee del fuoco (1991)
Eppure cronico, filtrato
con il primo latte, è anche
questo mio coetaneo diavolo
bianco
che mi accompagna verso muti accordi
di sopravvivenza
dove le linee hanno termine
o erano iniziate.
Là è nascosto il soggetto
e ciò che di lui
ancora sa negarsi; qui
torneranno le emozioni, le sembianze
a riunire le unioni.
…
Cosí va bene, andiamo
ora che le donne non parlano piú
nella stanza
andiamo a cenare con l’amico
dei leoni, il capo
dei capi
che vive nell’erba, laggiú,
vicino al sole, andiamo
a riprenderci il vento
per renderlo visibile mentre attraversa
e colora i capelli, mentre ci trasforma
in memoria.
Non temere
riporteremo qui il leggero
dei sonni viola
e il fuoco trasparente
che non brucia
affinché non sia soltanto di queste rose
il malbianco.
***
da Buio bianco (1999)
Regesto, ossi
Non è il regesto di una conoscenza
sul viso notturno il lampo
che dal pomerio invita e cattura,
né qui un riverbero
può definire condizioni estreme
per il distacco.
Conoscere del fuoco
il calore in bilico sulla fiamma
è già rapirgli un segreto,
è toccare lo spiraglio
dove la voce svia
verso l’abbandono.
Cosí, tacendo ti parlo
anche di tutto questo:
del contagio di una piccola silenziosa
parte dell’occhio, un’iride quieta
che come vento largo ci sfiora
per un istante, un brivido
appena il tempo necessario per conoscere
la differenza tra voce e luce,
per riconoscere la pronuncia
di quello che siamo, di quello che vogliamo.
***
da Lesa maestà (2005)
Il centro dell’orizzonte
Se penso che c’è un centro
altero dietro il filo dell’orizzonte
è per ridare colore al bianco
dell’assenza. E intanto seguo
con disegni di matita morbida
la mappa del rifugio
dove ho nascosto il profilo dell’ombra
invasa da una rosa.
Per questo dico che amare
è seguire le tracce dell’ombra,
amare è proteggere non la rosa
ma tutto lo spazio
del suo ricordo.
…
Terra di attese
“Vexilla regis prodeunt inferni
verso di noi”
Tutto potrebbe accadere
se una sera di settembre uscendo
incerta seppure verso oriente
tu vedessi sul maestrale
quello che io adesso vedo.
Nella falce del vento
in questo taglio, è nella falce
che oggi ascolto il tempo. Eppure
esisti soltanto se ti penso.
E se torni sull’isola di neve súbito
avverti la quiete del giardino d’aria, senti
le doglie del mare e dell’erba
e intuisci il rifugio dell’abitudine al mondo.
Ritornano, e davvero
tutto potrebbe accadere
in questa terra che è terra di attese, qui
dove una vita basta appena
e aspettarti è un modo di pensare.
***
da Lesa maestà (2005)
La timidezza del pavone
Di solito la differenza accade
tra mezzogiorno e un fiume
quando il sole corrode la pazienza
dei sogni e anche la strada si nasconde
dietro la sete di occhiali scuri
dove l’umiltà infinita delle muffe
insegue i sospetti dell’inverno.
Accade. E succede anche quando
seguiamo in silenzio la scia
di un aereo lontanissimo. Di solito
io riesco soltanto a immaginare
insegne sulle ali e vólti che salutano, tu
invece li vedi uno ad uno e unisci alle parole
i frammenti, gli spigoli perduti, avvicini
le vibrazioni delle ali
alle nuvole.
È una differenza leggera, breve
come la primavera di tutto. Eppure
basta a distinguere la timidezza del pavone
da chi conosce il rapimento di volare,
cadendo.
***
da Vista sull’Angelo (2009)
E tuttavia
per uscire dal mondo dovremo
intuire
decifrare
tradurre
l’angolo minimo di tempo dove
il pane è una luce verticale.
Si passerà da una porta assente
che si può immaginare dietro
le scale, in basso, all’opposto
del rosso che occupa le ore
per tutto il giorno. Il vecchio guardiano
conosce ogni passo, i lati insidiosi
eppure ripete
“Entrate entrate, poi
scendete sette scalini a destra.
Il luogo della fenice è un triangolo
vi accorgerete subito dove
conviene arrivare dove
non si dovrà andare”.
Si entra nel triangolo
e non si pensa a come uscire
se mai si dovesse tornare, o a fuggire
anche se nessuno dice da che cosa
ma è certo che accadrà
in un’altra parte del giorno.
Per uscire dal mondo dobbiamo
intuire decifrare tradurre
tutti gli indugi del tempo.
Ma i miei fiumi hanno scelto
la clausura delle mareggiate, hanno
condiviso i misteri impazienti di Orfeo
e tutta questa libertà inquieta dove
il pane è una luce verticale.