Definitivamente il mio ginocchio, di Francesca Genti. Postfazione a cura di Paolo Polvani.
Francesca Genti è nata a Torino nel 1975, vive a Milano.
Ha pubblicato le raccolte di poesia Bimba Urbana (Premio Delfini, Mazzoli, 2001), Il vero amore non ha le nocciole (Meridiano Zero, 2004) Poesie d’amore per ragazze kamikaze (Purple Press, 2009), L’arancione mi ha salvato dalla malinconia (Sartoria Utopia, 2012).
In veste di narratrice ha partecipato a diverse antologie, firmando il libro di racconti Il cuore delle stelle (Coniglio Editore, 2007) e il romanzo La Febbre (Castelvecchi, 2011).
Suoi testi sono apparsi su «Nuovi Argomenti», «alfabeta2», «Lo Straniero», «il manifesto», «La Repubblica», «Velvet», «Pubblico» .
Insieme a Manuela Dago ha dato vita alla capanna editrice Sartoria Utopia.
Vi proponiamo quattro poesie di Francesca:
GITA A ARONA
Ti ho amato da non credere al mio cuore
che è sempre lacerato e si nasconde,
e gioca a nascondino e mi confonde,
e si incasina e fa casini e poi ci muore.
Questo pensavo guardando quelle onde.
Guardando il lago, guardando te di sbieco,
che nei tuoi occhi non ci riesco dal dolore,
mio sole nero, io nei tuoi occhi annego.
E dentro il sole, dentro il lago, a fine estate,
buttavo l’amo per pescare la riposta,
ma non trovavo che insensate chiacchierate,
promesse, sbagli, baci lunghi, senza sosta.
E poi è finito tutto e buona notte.
Il cielo era bucato, le stelle tutte rotte,
lo sguardo se ne è andato e con l’inverno,
voglia di stampelle, voglia di rivoltelle,
di scomparire, via!, dritta all’inferno.
E invece stare e poi telefonare,
pensare al lago e ritornarci sola,
buttare sassi, farli rimbalzare,
specchiarsi in acqua con il rimmel che ti cola.
Viaggiare dentro corpi, dentro stelle,
vederli luccicare e collassare,
amare la saliva di un estraneo
e intanto ricordare la tua pelle
a fine estate, dentro il lago, in immersione.
E non trovare più la soluzione.
***
QUELLO CHE TI FOTTE NELLA VITA
quello che ricerchi nei rapporti:
l’anelito all’amore viscerale,
l’amore senza macchia e senza torti,
puro e innocente come un animale.
quello che ti ha sempre fatto male.
la scala senza fine e in salita,
il corpo a corpo che ti mette KO,
la cicatrice e anche la ferita.
qui, nella pancia della poesia,
nella simbiosi con la madrelingua
lo puoi rifare senza più pudore
questo modello simbiotico di amore.
questa specie di farfalla primitiva,
felice, arcadica, speciale.
creata nuovamente dentro il suono,
il pianto e il riso delle tue parole.
creata nuovamente nell’incanto.
***
DEFINITIVAMENTE IL MIO GINOCCHIO
è innamorato.
di te.
del tuo cervello.
del fatto che mi ascolti.
definitivamente vuole essere baciato.
sulla cicatrice brutale di bambina.
(è il ginocchio sinistro).
in ginocchio
il mio ginocchio
ti chiede:
che mi accogli
che mi parli
che mi abbracci sotto casa
che mi prendi per i polsi
delle mie tante ferite
che mi fai tabula rasa.
***
NONA INFANZIA
ho vissuto la mia nona infanzia
al limitare dei bastioni di Precotto.
Durava quattro anni questo tempo
di eterno campo giochi-parco profughi,
filo spinato e altalene e bulloni.
Tempo di illusioni, luna rotta,
bruciature nel tessuto-firmamento.
Smisurato tempo di pianura russa
chilometri di falso movimento.
Un paesaggio bianco di macerie e cubi,
nuvole lente: dolci lamantini a mollo.
Sono andata spensierata incontro agli alberi
osservando le stagioni e il loro crollo.
Postfazione di Paolo Polvani.
La poesia di Francesca Genti fruga nella pancia della poesia alla ricerca di quella farfalla primitiva che le restituisca leggerezza, la svincoli da ogni residuo letterario, le riconosca intero il compito di comunicare.
In equilibrio tra idea ribalda e incanto giovanile, è un lessico scarnificato, ricco di incursioni nel parlato, di sconfinamenti nel gergale, a delineare un paesaggio che mostra il quotidiano da una prospettiva linguistica che privilegia il contatto, il tentativo di fusione e di coinvolgimento e agevolmente riesce nell’intento perché si fa discorso ampio, va oltre il perimetro generazionale.
E’ una poesia in cui la luce dell’ironia si riverbera sulla scelta di materiali che potremmo definire popolari, senza per questo volerne sminuire i meriti, ma anzi per sottolineare l’intelligenza di un percorso interessante e anche vincente.
Si veda per esempio il primo testo, Gita a Arona, in cui echi di Sanremo e di rotocalchi e di cultura televisiva si fondono in maniera affettuosa e spiritosa, col cuore che s’incasina e fa casini, e quella voglia di stampelle, voglia di rivoltelle, e infine col rimmel che ti cola.
Una poesia che fa della fruibilità il suo punto di forza, la cui lettura è amabile e godibile, in cui si avverte piena la consapevolezza delle scelte.
Nessun commento per Francesca? Effettivamente, oltre a dire “belle”, che cosa si può aggiungere? Io aggiungo: è una poetessa totale, forse la migliore che abbiamo in questo piccolo paese, piccolo letterariamente.