Di rovescio di Nunzia Binetti, recensione di Luigi Paraboschi

Di Rovescio di  Nunzia Binetti, C.F.R. ed., recensione di Luigi Paraboschi.

   

   

Vorrei  far precedere quel poco di interessante che  potrò dire attorno alle poesie di questa autrice, dalla riproduzione di questo quadro dal quale ha tratto ispirazione la poetessa per la poesia che segue e che io ho letto come una “dichiarazione di intenti” su quanto ella intende attorno alla poesia ed alla  necessità di “essere una voce che faccia da finestra al silenzio “

Bianca con il garofano rosso di Amedeo Bocchi
Bianca con il garofano rosso di Amedeo Bocchi

   

Come fanno i poeti 

A me pare che “Bianca con il garofano rosso” sia
la più reale rappresentazione del “ poetico”,
così com’è dipinta da Amedeo Bocchi, in quella
sua orgogliosa bellezza e grazia, mista a pudore,
e in quello sfiorare certi acuti d’armonica dissonanza,
laddove i colori ardono un crescendo inquieto d’intensità. 

Marca la voce che faccia da finestra al silenzio
e parlagli in versi.
Sarà suono di campana
senza più fedeli, un rumore disperso.
Profondo è il tuo odore mediterraneo
respiralo, fatti narcisa
in bellezza di luce, così come Bianca
con il geranio rosso in quel di Parma
e con indosso il lucore
di una nuvola per gonna.
Nel grammo di tempo che ti resta, goditi in fretta
con l’ansia che poi uccide.
Scriviti sopra un foglio, smembrata dalla norma
spezzati l’anima e versala sulla tavola, pane e vino.
Infine siedi sullo scranno

– ma con lo sguardo basso – 

Marca la voce che faccia da finestra al silenzio.
Fanno questo i poeti.

Abbiamo un quadro, una figura di donna, il tutto è avvolto dal silenzio, ma l’atmosfera è piena di suggestione, occorre qualcuno che dia voce a questa atmosfera silenziosa, il poeta.

La mia lunga premessa è dovuta al fatto che per mia scelta, quando mi accosto per dare un giudizio su di un libro di poesia, e quindi mostrarlo ai possibili lettori, sento l’obbligo di muovermi quasi in punta di piedi sapendo che quei testi sono, nelle intenzioni di chi li ha scritti, un frammento dei suoi segreti, uno spicchio di anima, e pertanto devono essere trattati con delicatezza  e rispetto, molto di più di quanto sia necessario quando ci si accosta ad un romanzo, ove la pura fantasia dell’autore può avere avuto il sopravvento, e magari, la sua anima essere in discordanza con i comportamenti dei personaggi descritti.

Detto ciò non mi resta che mostrare qualche spiraglio d’anima segreta di Nunzia Binetti, ed il primo di questi spiragli che mi appare, (magari mi sto sbagliando), è una sua naturale predisposizione ed amore per la pittura, e lo deduco da una rilevazione fatta da me con un po’ di pignoleria sulla frequenza dei colori nei suoi testi.

Ho rilevato 11 volte l’uso del termine “ azzurro “, 9 volte quello di “ rosso “ nelle sue sfumature di vermiglio e rubino, 8 volte il “verde “ diviso anche nei vari Sottobosco e bosco, e poi via via c’è il giallo, il celeste, il rosa, una volta sola il nero e il rosa.

Ho decodificato l’uso di questo ampio spettro di colori  con una attenzione accuratissima, quasi spasmodica per una lettura dell’animo servendosi delle tinte, come la farebbe un pittore

E come se tutto ciò non bastasse, stralcio da una poesia dal titolo Bianco assoluto (a conferma della mia ipotesi di poco sopra) questi versi

C’è una porta bianca …come è bianca la porta chiusa!
E come è verde il limone
sulla tavola, imbandita senza più alcuna cura. 

e non posso negare a me stesso che quel limone verde, su di un tavolo, dietro una porta bianca mi rimanda istintivamente a certe nature morte poverissime di De Pisis, come anche questi versi di un’altra poesia a pag,. 17, senza titolo espresso

Ci scotta tra le mani il segreto delle cose
schizzano una bellezza taciuta,
un logos impercettibile.
Stanno innocenti
nel tutto dentro noi. 

esprimono la stessa immobilità eloquente  di certe bottiglie dei quadri di Giorgio Morandi, che “schizzano una bellezza taciuta nel tutto dentro di noi“ 

Un altro aspetto della poesia di Binetti è quello che molto bene evidenzia Gianmarco Lucini nella sua postfazione al libro in questione, ove egli dichiara

Il canto muliebre di Nunzia Binetti ……e’  una voce che cerca di essere
integrale: madre e amante, figlia e madre, donna dei doveri ma anche
del riconoscimento sociale e dei diritti, donna che rivendica e chiede ma
che dà senza riserve e con alto senso morale, donna delle cose concrete
e, se vogliamo, poco “poetiche” della vita di ogni giorno 

Cercherò, viaggiando attraverso i testi della Binetti di mettere in evidenza gli aspetti che Lucini aveva ravvisato, e da Contrappunto a pag. 21 rilevo come lei parla riferendosi ad una donna che ha subito violenza

Potrai solo dissentire,
senza urlo squarciante
consegnandoti a una qualche disfonia,
o ad una assenza totale di parola
che da sempre è tua storia.
Strapperà tanto silenzio altro affato…
venga a te, dolce, da molto lontano una musica 

ma il suo occhio è attento alle caratteristiche dei costumi della sua terra, la Puglia, e delle donne che la abitano da secoli, silenziose custodi di  silenzi pieni di omertà e dolori famigliari, come appare da questo stralcio di Bella la mia città a pag. 23

M’aggrappo al suo grembiule nero (coperta
al ventre
cava alle porose rotule divaricate)
dove s’impigliano odori di cucina
e di sudario
di cose andate a male ma con grazia.
Lì si fa il lutto e sta;
lì la semina
il germinato, la stirpe
donata al tempo e non salvata
dall’ombre de’ cipressi nelle zolle. 

ed ancora in Sud

Neppure danzo la taranta io, in questo spazio piano,
che tanto già mi dimeno, con gli altri, in contorsioni
perché ballo la vita.
Qui non si ha nome, voce alcuna
si tocca senza mani l’orizzonte
ma per tornare a terra, dispersi da una tempesta
d’acqua marina, talvolta salvi per caso
oppure morti recuperati in riva – a sciami –
sempre in attesa – da chi ne ha colpa – di una spietata
estrema sepoltura. 

ma l’autrice avverte tutta la difficoltà di queste donne e la fa sua, al punto che afferma a pag. 40

Mi faccio buia, di notte, e sono notte
in vaghezza di cose, ombre e non luoghi
nulla s’afferra.
Si è soli sotto finte lune
e un randagismo di quattro stelle
trappole di un bello sterile e menzogne.
Qui tutto si muore.
Dio pure teme e di Sé dubita
dimenticato in sonno da chi dorme. 

ed ancora  ne L’ultimo dolore affronta con piglio quasi animalesco l’esame della condizione femminile, rivendicando nei versi finali la  superiorità morale di questo sesso nei confronti del maschio 

Verrò con il mio afrore
di lupa primitiva allattatrice
e berrò l’ultimo dolore a grandi sorsi
ma per nutrirti e non lasciare
che tu per sempre muoia.
Non scelsi di venire al mondo donna
pure ciò accadde
e la mia vocazione selvaggia è quella stessa
di mia madre
perciò perderò sangue caldo
liquido amniotico e inonderò
pagine bianche di poesia.
E tu, uomo, vivrai – per essa – oltre lo spazio breve
di ogni vita o solo per tutta la durata
della mia. 

e l’uomo fa la sua apparizione concreta, tangibile, diretta nella seconda parte della raccolta, intitolata Amoris Carmina, ma è un uomo che solo per pochi spazi riesce a soggiogare l’autrice, vittima e succube di quella schiavitù amorosa che spesso turba la nostra condizione di viventi, che la spinge a scrivere  ne “il canto di Ezia”  a pag. 54

ricamo la vita sopra un panno sgualcito
non lo stiro;
è una nenia, sedicente visione
ogni notte… ogni notte…
e resistere al sonno è massacro.
A mattina, ridisegno linee oblique in kajal 

e più avanti a pag. 56

Fuori dal branco mi porto a te d’istinto
sei acqua dopo un deserto, il punto di non ritorno,
le rose che non mi hai dato.
In te m’annego
fertile. 

ma la conclusione giunge amara a pag. 59

Domani avrò di nuovo sonno
ora
colgo foglie fuori stagione e fuori schema
non verdi, quasi rosa.
M’allatto d’aria secca,
s’intaglia nel modello a ruota la gonna di cotone
e dentro quella, mi sento fuori moda,
diversa da ogni donna.
Io sono i giorni senza scopo e senza tema.
Forse accadrà qualcosa, forse tu torni
prima che io imbastisca un verso così stretto
che spinga a una deriva di veleno
seguendo la cultura del monologo –.
Occhieggia un buio questo nostro cielo;
nulla s’unisce
e il fiore morto appena non riesco a rianimarlo.
Così m’appoggio, come tutti, all’improbabile sereno.

Anche il sesso è descritto in modo non intrigante, quasi con ironia e leggerezza, come testimoniano questi tre stralci di pag. 61

E fluttui in me, e spiri brezza,
in me continui ad essere;
tu non sei terra che germoglia
sei come il mare, acqua,
nessuno mai ti semina.
Sei l’onda, sferzi le mie illusioni.
T’accolgo, vivo…
e già sussulto di maree. 

assume anche il sapore di gioco stuzzichevole e disinvolto  in questa poesia di pag. 64

Sei arrivato
pensandomi fragola
tra le foglie rugose di bosco
ora rubi ai limoni l’aroma
e lo indossi
ma
innaffiami di zucchero;
sono ancora perfettibile. 

e suona amara perdita in questa di pag. 73

Non so se sono zinnie mute
queste parole date al foglio,
registrazioni sismiche del cuore,
o prove d’autore.
So che in dispersione liquida va
la malinconia
e falda acquifera mi prosciugo
o a stento mi conservo io
sotto-traccia.
Sto, contenuta e mite, in un invaso
dove non scorro, piuttosto stagno e rischio
l’agonia.
Fiore di ferro senza mai sete, tu,
ma io ti sogno, fragile, normale
sesso di miele.
Così ti dormo
tra due lenzuola ed un guanciale – nuovo –
in lattice.

In lei  rimane un’amarezza sottotono, non urlata ma evidente, in questa di pag, 57

Per caso ho confuso la rosa col rosso
e l’acqua col sangue.
Frenando i pensieri
scorrevo, valuta, senza chiedere un resto.
Amando ti ho perso.
Adesso invece m’accade
quel non aver voglia di sè 

e la stanchezza del rapporto  la porta al gioco di parole del verso finale,a pag. 35 ne La notte delle cose, ove scrive “ con-sorti “ con il tratto di separazione,  quasi a voler evidenziare una condizione univoca e doppia di destino a due 

Quel duplice tepore, quasi un caldo che
addormenta
è quel piacere di coperte addosso.
E gli occhi… gli occhi
a resistere, a cercare più in là, più avanti
(se c’è un avanti) cose parallele.
Fase di sospensione…
resto poeta di un nulla
paroliere di segni morti
se è notte sulla lingua ed è un tacere.
Chi vuoi che poi mi senta:
l’armadio a muro, la volta rigida sul capo
e l’anima negata alla materia che sorprendo.
Eppure io e un vaso sulla mensola
andiamo dialogando buio
e note di do-lore, in mutua presenza.
Ci accarezziamo, fasciati d’impotenza,
con-sorti.

Vorrei concludere il mio tentativo di visita alla  poetica di questa autrice con questi versi della poesia in scomparsa nei quali mi sembra ci si possa sentire spesso identificati, per quel desiderio che  a volte ci attraversa tutti di annullarci e confonderci nel mondo della natura 

In questo zampillo di pensieri
scegliersi mutati, scegliersi foglia verde
ma tra le mille dell’albero meno lontano,
magari quello lì,
sotto casa
per essere confusi, l’indistinto
nel tutto di un colore che frastaglia
e si fa pace.
Poi, se ci sfiori un sole o qualche mano
schiaffo sul viso –
non sarà certo il lamento del dolore sopraggiunto
nostra traccia.
Taciti e taciuti
in scomparsa, senza manifestare
il nostro corpo-teatro, la nostra strana mente
provare solo a dismettersi. 

C’è infine un aspetto nella poesia di Binetti sul quale non posso sorvolare, ed è la precisione del linguaggio, il suo uso effettuato con accuratezza attraverso termini di non troppa diffusione in poesia, termini che talvolta costringono il lettore ad una ricerca impegnativa, e tutto ciò non fa che dimostrare quanto siano centrati questi versi  finali di pagina 12 della poesia Di Rovescio

Ho le corde vocali in prolasso
ed un verbo, come lisca,
per caso
mi ha graffiato la gola. 

ed io credo che non solamente un verbo deve aver graffiato la sua gola lasciandole come una lisca, ma penso anche che sostantivi, aggettivi ed avverbi abbiano rappresentato la  sua “ spina dorsale letteraria “ che costituisce il supporto solido per costruire una poesia bella a ritta in piedi come quelle che ho cercato di illustrare in questo mio dialogare con chi mi legge. L.P.

Di-rovescio-Nunzia-Binetti-copertina

3 thoughts on “Di rovescio di Nunzia Binetti, recensione di Luigi Paraboschi”

  1. Ringrazio Versante Ripido per aver pubblicato questa accurata recensione che Luigi Paraboschi ha condotto, mettendo in evidenza aspetti del mio modo d’essere in poesia, che fino ad ora nessuno aveva colto e quindi aspetti certamente inediti. Mi identifico del tutto nell’analisi che Paraboschi ha sottoscritto. Grazie, grazie davvero !

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