Dighe, editoriale di Emanuela Rambaldi.
Dighe
Sono ambiziosi punti di osservazione per turisti col fiato sospeso
ad ammirare lo strapiombo, l’acqua azzurra, l’ebbrezza del precipizio, la vertigine, il salto nel vuoto.
Sono inganni per gli occhi. Sembrano funghi, imbuti, archi, ventagli,
gioielli, ingranaggi,
finestre.
Cattedrali.
Sono muri.
Sono muri che fermano l’acqua.
Sono sfide.
Sono finti laghi e sotto villaggi affogati.
Sono migliaia di morti per costruzioni crollate.
Sono migliaia di morti per costruzioni resistite.
Sono giganteschi mostri di cemento incastonati tra le rocce che sputano violenti fiotti d’acqua dalle fauci.
Sono storie di esilio, di abbandoni forzati, di cause di forza maggiore, di autorità violente, di diritti negati in nome della pubblica utilità.
Sono milioni di sfollati.
Sono devastazioni, disastri irreparabili.
Sono progetti arditi che cancellano la storia.
Sono minacce.
Sono dimostrazioni di arguzia e immaginazione
dalle silhouette affascinanti,
dalle forme inquietanti.
Sono prove che tutto può essere creato, ovunque.
Sono dimostrazioni della forza dell’uomo
quando gioca a fare dio.
E incontra se stesso.