Ditelo a mia madre di Vera Lúcia De Oliveira, note di Paolo Polvani

Ditelo a mia madre di Vera Lúcia De Oliveira, Fara Editore 2017, note di Paolo Polvani: l’istinto di madre.

    

    

Ci sono avvenimenti in apparenza oscuri ma che paradossalmente sono di una evidenza lampante. A certe azioni del potere attribuiamo un carattere di devianza per illuderci che le istituzioni si muovano sempre all’interno degli argini della legalità e della correttezza. Nel passato, di quanti avvenimenti della storia italiana si è attribuita la responsabilità ai servizi “deviati”, ad apparati dello stato “impazziti”? In ogni avvenimento oscuro della storia italiana ricorre questa “devianza” così tante volte da costituire ormai una regola, a partire da piazza Fontana per arrivare al sequestro Moro e agli attentati ai giudici che combattevano la mafia. Questa presenza costante dei servizi “deviati” fa intuire che il potere si considera legibus solutus, svincolato dalle regole, legittimato a compiere nefandezze pur di assicurare lo status quo. Anche la vicenda terribile di Giulio Regeni conferma che la devianza, l’allontanarsi dalle leggi e dalla umanità, costituisce la regola e non l’eccezione. Soprattutto alla luce delle recenti rivelazioni secondo cui i servizi segreti americani avevano avvisato il governo italiano su quanto era accaduto. E il governo italiano che ha fatto? ha rispedito l’ambasciatore al Cairo, desideroso di passare un bel colpo di spugna sulla vicenda, e mortificando ancora di più la famiglia di Giulio Regeni, e tutti quelli che avvertono come una ferita questo atto di crudeltà, disumanità, profonda ingiustizia. Partendo da questi sentimenti nasce come fatto naturale desiderare di reagire, di riscattare il male attraverso la poesia. E’ quanto ha fatto Vera Lucia de Oliveira col suo Ditelo a mia madre. E’ la stessa autrice, nel post scriptum che chiude il libro, a motivare la nascita dei suoi versi. Ci dice che ascoltando al telegiornale un’intervista alla madre di Giulio Regeni, è rimasta colpita da una sua dichiarazione, si chiedeva come avrà guardato i suoi aguzzini “e come sarà stato quando avrà capito che tutto era finito”.

Così Vera scrive: “E’ necessario fare questo percorso, affacciarsi sul male, scrutare il male e poi tornare. Ha affermato Nietzsche che l’arte esiste affinché la realtà non ci distrugga. Per questo ho scritto questo libro”.

Alla luce della ragione sappiamo bene quanto la poesia costituisca un’arma spuntata e tuttavia l’ottimismo della volontà sollecita una risposta, un’azione di segno opposto che ristabilisca un equilibrio. Così i primi versi del libro pongono subito una cruciale domanda:

cosa vi dovrei dire ora ?
mi portate la morte e il dolore
ma io qui sono venuto
a cercare la vita

I versi si dipanano lungo una direttrice di segno assolutamente contrario all’epilogo drammatico della vicenda, sono una risposta alla domanda angosciata della madre di Giulio, come avrà guardato i suoi aguzzini? Vera ci rassicura, fa dire a Giulio:

andate a dire a mia madre
che non ho mai perso il senso
dell’amore

e più avanti ripete, come a volersi allontanare da qualsiasi sentimento di vendetta o di rivalsa, a voler prendere le distanze dagli artefici del male:

che tutte le lingue che ho imparato
mi sono servite sempre
per carpire l’anima
di tutto ?

Quindi nessun atteggiamento vendicativo, ma una richiesta di giustizia:

ma io qui sono venuto
per incontrarvi
e con i miei occhi
vi guarderà il mondo

E la stessa domanda che ricorre in tante riflessioni e racconti dei drammi terribili di cui è ricca la storia, lo stesso drammatico interrogativo che assillava tanti deportati ad Auschwitz, quasi un senso di mortificazione nell’immedesimarsi nei carnefici, nel riconoscere la mancanza assoluta di umanità, una specie di incredulità davanti all’efferatezza del male:

cosa dite ai vostri figli
quando tornate la sera
e li guardate negli occhi ?

Credo che questo libro nasca da questa sensazione di stupore al cospetto di tanta crudeltà e per una sorta di istinto di madre, dalla necessità di placare un proprio dolore, dal sentimento di vicinanza nei confronti di una madre ferita nei suoi affetti più profondi, dal desiderio di capire quanto è vivo nell’uomo il male di vivere, il male di uccidere.

Per giungere a una conclusione rivoluzionaria: uccidere non è possibile, la morte sopprime, ma non cancella:

ho così tante persone dentro
che ci mettereste troppo
tempo a ucciderle
tutte

Forse è questo sentimento dell’immortalità la vera vendetta, il riscatto che rende inutili i gesti di odio e di crudeltà, l’impossibilità di accedere “in un luogo di luce / a voi precluso”, e anche:

ma dentro mi porto
una scala segreta
che mi riconduce a Dio

Tutti i giorni riceviamo segnali sconfortanti da un mondo che invoca l’uomo forte, un mondo che crede nella violenza come unica forma di riparazione, crede nella sopraffazione del più debole, ed è incapace di guardare con occhio sereno e consapevole la propria infelicità, il vuoto esistenziale da cui nasce un desiderio di vendetta, di rivalsa, incapace di esaminare la complessità, di cercare soluzioni che conservino un’atmosfera di umanità e di comprensione, e tutto fa presagire un imminente diluvio, una catastrofe che è già iniziata. Allora ecco che l’arte esiste affinché la realtà non ci distrugga, perche possiamo continuare a sperare e a sognare e a lottare per un mondo migliore, ecco che la poesia si coagula intorno a sentimenti positivi, prende forma nelle parole che vorrebbero sanare una ferita, scrive versi che ribaltino l’ingiustizia e mostrino un percorso di rispetto, di creatività, una strada illuminata dalla luce della solidarietà.

La bellezza è in noi per sempre, recita uno dei versi di Vera; la storia continuerà a scrivere pagine orribili e strazianti, a mortificare i poveri depredati dal colonialismo, impoveriti dal riscaldamento globale, respinti dai paesi ricchi perché la ricchezza non si divide e i poveri devono stare al loro posto, così come il nostro governo ha decretato insieme con i governi europei per sancire finalmente la legittimità di uno sterminio di massa, e il potere continuerà a uccidere chi reputa scomodo o pericoloso. Spetta all’arte, alla poesia, tenere accesa la luce della bellezza, dell’aspirazione a un mondo solidale e umano, a un tentativo almeno di contrasto, un argine, una linea di demarcazione, un soffio vitale che spinga alla riflessione, all’empatia, che spiri nella direzione di una cultura intesa come coltivazione di idee, progetti, nella direzione della speranza e del miglioramento.

La poesia di Vera parte da un processo di immedesimazione nei confronti di una delle tante vittime della sopraffazione del potere, in Giulio Regeni ma anche nel dolore di sua madre e nella richiesta di giustizia dei tanti che non si arrendono, e fa dire a Giulio parole altissime nella loro semplicità e sincerità:

ora cammino più di quanto avrei immaginato
ho tante mani che mi avvolgono e che mi portano
a seminare i loro campi con il grano dei miei occhi
ma io, mamma, volevo solo vivere
per parlarti di nuovo

    

diteloamiamadrecoverok
in apertura Ivo Mosele, L’innocente

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