DON’T LOOK UP, FILM DI ADAM MCKAY – USA, 2021. RECENSIONE DI EMANUELA RAMBALDI

Don’t look up, film di ADAM MCKAY – USA, 2021.
Recensione di EMANUELA RAMBALDI

   

 

Kate, say something.
I gotta go get high”
Mindy e Dibiasky, dopo il primo lampo di consapevolezza.

       

We are all gonna die!
Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), giovane dottoranda in astrofisica, lo urla da uno studio televisivo, per spiegare, come si farebbe con un bambino, con poche scandite sillabe, l’imminente catastrofe provocata dall’enorme cometa che ha appena scoperto, quando entrerà in contatto con la terra, dopo poco più di 6 mesi.

Kate è la metà irruente e senza filtri della coppia di scienziati dagli occhi acquamarina, costretti ad abbandonare studio, lavoro e affetti in Michigan per spiegare ai centri di potere americani che è necessario intervenire immediatamente per evitare l’estinzione di massa di ogni specie compresa quella umana”.
L’altra metà è il suo professore, il timido e ansioso Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) che comprende subito, calcolandone l’orbita, dove è irrimediabilmente diretta la cometa.
Catapultati nel vortice della politica e della comunicazione di massa americana, cercheranno in tutti i modi di far capire quale devastante conseguenza avrà il non intervenire, dibattendosi tra gli interessi esclusivamente personali di presidenti, generali e uomini più ricchi del mondo, veri padroni di tutto ciò che il mondo contiene, incluse le vite di ogni essere.

Evidente metafora di come la politica e la finanza mondiale non intendano agire di fronte al cambiamento climatico e come inevitabilmente questo porterà conseguenze catastrofiche, Don’t look up parla di noi. Delle nostre coscienze assopite, assorbite dalle vicende sentimentali delle star e dagli scandali sessuali dei politici, sola concreta ipotesi di ascesa sociale che ci è permessa. Del nostro piccolo perverso mondo moderno in cui ogni negatività è bandita, che produce ansia per poi governarla con profitto attraverso massicce dosi di tranquillanti e filmati di animali domestici da guardare sul cellulare per annullare la malinconia, con l’obiettivo di ottenere, attraverso la tecnologia, la “peace of mind” delle masse. Perché, come ricorda a Mindy l’imprenditore Isherwell, ricchissimo tra i ricchissimi, l‘evoluzione ora è guidata dagli algoritmi che ci conoscono meglio di noi stessi, possedendo i profili dei nostri consumi, soli elementi identificativi delle nostre personalità, e sono in grado di prevedere i nostri comportamenti fino alla fine dei nostri giorni. E perché ognuno di noi, che crede di vivere seguendo principi etici, è mosso dall’esigenza biologica di perseguire il piacere e sfuggire al dolore.

La scienza, in questo delirante e desolante panorama, ha – come tutti – due strade: contro il profitto o al servizio del profitto.
Kate e Randall, moderne Cassandra, al pari delle centinaia di scienziati che da decenni avvertono del pericolo del riscaldamento globale, tenteranno fino alla fine, fino a quando non sarà più possibile riparare ai danni.
Kate lo farà non venendo mai a patti col sistema, non adattandosi alle sue regole, e continuerà a non capirne l’indifferenza e la superficialità nell’accogliere la notizia della catastrofe, negata, minimizzata (“non ci sono prove serie”) ed infine edulcorata, per evitare “isteria ingiustificata”.
Randall sbanderà un po’, sedotto dall’abbagliante edonismo della conduttrice TV (Cate Blanchett) e per un po’ persino ci crederà, citando Einstein, che “ogni cosa è teoricamente impossibile finché non viene fatta” e che il sistema possa funzionare, salvo poi capire quanto sia impossibile starci dentro e sperare di cambiarlo.

Adam McKay, (Oscar per la sceneggiatura di “La grande scommessa”) scrive, dirige e produce il ritratto dissacrante e molto poco ottimista del sistema di vita americano, ormai adottato come unico e ineludibile da tutto il mondo occidentale e non solo, descrivendolo in tutta la sua devastante stupidità. Definisce, con amara e sfacciata ironia, la sua critica ai pilastri del capitalismo, principi fondanti della società americana, mettendoci dentro tutto e tutti: la supremazia bianca, i negazionisti, i qualunquisti, i complottisti, la manipolazione delle masse, la comunicazione deviata. Lo fa utilizzando il tono della commedia, con un ritmo pop e un registro sopra le righe, esasperato e apparentemente esagerato, scegliendo la cifra stilistica che meglio si adatta alla grottesca tragicità del nostro attuale modo di vivere, e realizzando un film molto meno semplice e leggero di quello che sembra. E molto più politico.
Grazie anche al talento di attori strepitosi, confeziona una serie di personaggi, tanto esilaranti quanto inquietanti, anche se molto meno terrificanti di quelli realmente esistenti che li hanno ispirati. Madame the President (Meryl Streep) capo fantoccio dello stato più potente del mondo. Il suo inetto e arrogante figlioprotagonista anche dell’emblematica ultima scena al termine dei titoli di codasimbolo della più pericolosa delle stupidità, quella che detiene il potere e che gode a dimostrarlo con metodi coercitivi. La coppia di presentatori del programma televisivo che spettacolarizza qualsiasi evento, compresa l’apocalisse, con la specifica missione di “indorare la pillola” e renderla sopportabile al pubblico. Il generale che fa pagare agli scienziati gli snack e l’acqua minerale gratuitamente forniti dalla casa bianca – della qual cosa l’attonita Kate non si darà pace, continuando a chiedersene il motivo per tutto il film. E infine il guru della tecnologia, vero capo del governo dello stato più potente del mondo, perfetto rappresentante della parte peggiore dell’umanità, i conquistadores, i colonizzatori, un manipolo di ricchissimi che deliberatamente hanno distrutto il pianeta – il sistema capitalistico si fonda sullo spreco – e i soli che si possono permettere di vagare nello spazio in cerca della vita in un nuovo pianeta, la nuova golden age, accessibile solo a pochi selezionati eletti.

Guardare/Non guardare – Vedere/Non vedere, sono i dilemmi morali e sociali che più di ogni altri rappresentano la dicotomia tra pensiero libero e asservito all’interno della società dello spettacolo.
Alla fine, guardare sarà inevitabile e tutti alzeranno la testa e guarderanno in alto, perché la cometa sarà lì, grande, meravigliosa e terribile, a ricordarci che nel cosmo siamo pulviscolo, materia casuale. E non annuncerà una nuova era, ma la fine del mondo come lo conosciamo.

    

musicoterapia
Strawberry Fields Forever, The Beatles, 1967
It’s the end of the world as we know it (and I feel fine), R.E.M., 1987
We’re all gonna die, Slash feat. Iggy Pop, 2010

   

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