Sospeso fra comunicazione, letteratura e filosofia: l’enigma, editoriale di Marco Righetti

Sospeso fra comunicazione, letteratura e filosofia: l’enigma, editoriale di Marco Righetti.

   

   

“E’ gravida senza concepire, ingrassa senza mangiare”. Pare che sia questo il più antico enigma conosciuto, risalente addirittura ai Babilonesi del II millennio a.C.

Dal greco ‘ainigma’, cioè discorso coperto, l’enigma viene definito dal Battaglia “componimento, breve e conciso, per lo più in forma poetica, col quale, sotto il velo di simboli, allegorie o metafore, si propone un concetto da indovinare, una soluzione discoprire, un mistero da svelare”, mentre l’indovinello ne costituisce la variante giocosa, popolare, meno letteraria. L’enigma ha una sua forza coesa che svela senza rivelare, Pasternak parla della ‘unghia misteriosa dell’enigma’.

Nulla più dell’enigma è indicato per comprendere come nei secoli sia mutata la riflessione sulla realtà, se è vero che, come afferma Wittgenstein, l’uomo è coincidenza di linguaggio e pensiero.

L’enigma nelle civiltà antiche era strettamente imparentato col valore sacrale della parola pronunciata da chi deteneva il potere (e ricordiamo che potere religioso e politico erano indistinti). Gli enigmi servivano a dèi, re, sacerdoti, profeti come chiave di accesso per un sapere riservato: lo scioglimento del messaggio criptico dava certezza al solutore di essere degno di pervenire a quel grado di conoscenza e al correlativo status di giusto discepolo, di adepto accolto con favore; la soluzione diveniva passaporto per essere ammessi a circoli riservati, a sette iniziatiche. In questa fase l’enigma in Grecia ha una funzione ancora esoterica, potenzialmente portatrice di conseguenze funeste, come ricorda Pindaro, mentre con la sfida lanciata dalla Sfinge nel mito edipeo (il primo enigma che proponeva ai viandanti era, nella sua versione originaria: “quale animale ha una voce sola, quattro piedi all’inizio, quindi due e finisce con tre?” , e la risposta è ‘l’uomo’; mentre il secondo, “chi sono le due sorelle di cui una genera l’altra e di cui la seconda, a sua volta, genera la prima?” ha come risposta ‘il giorno’ e ‘la notte’, che in greco sono sostantivi di genere femminile) la forma letteraria dell’enigma si atteggia invece a sfida contro l’uomo. È solo dall’epoca socratica che inizia a configurarsi una funzione diversa, non più tesa a stimolare la sapienza dello sfidante ma la sua astuzia. Con Platone e Aristotele l’enigma viene addirittura usato a fini pedagogici.

Venendo alla tradizione biblica, irrisolvibile resta peraltro l’enigma posto da Sansone ai Filistei in quanto relativo a un fatto notato solo da lui (“Dal divoratore è uscito il cibo / dal forte è uscito il dolce”): si trattava di un alveare dentro la carcassa di un leone, fenomeno che appunto il solo Sansone aveva osservato.

Quando più tardi San Paolo parlerà della condizione del cristiano che vede “per speculum in aenigmate” (“ora vediamo le cose attraverso uno specchio, per enigmi”) spiana la strada al pensatore medioevale, che interpreterà la realtà come simbolo, e la natura come allegoria in cui Dio nasconde le verità.

Permane qui ancora la concezione originaria dell’enigma, che però ne costituisce la trama di fondo, l’idea che l’uomo può giungere alla conoscenza solo attraverso un iter iniziatico. Come ricorda Giorgio Colli, la ragione della formulazione del sapere in forma enigmatica è nella “tendenza a considerare il fondamento ultimo del mondo come qualcosa di celato”.

Nell’alto medioevo prospera il filone degli Aenigmata, collezioni di enigmi e indovinelli conviviali, a partire dalla raccolta del V secolo d.C.  ‘Aenigmata Symposii’, dove Simposio non pare essere l’autore (che è ignoto) ma forse lo sfondo, un banchetto, in cui sarebbero stati letti. Ecco uno dei più famosi della raccolta: “Legata, sono messa in ceppi per tenere molti legati / Sono vincolata io stessa prima, ma vincolata vincolo a mia volta/ E ho sciolto molti, ma io non sono stata sciolta”. Si tratta della ‘catena’. Ove appare evidente quanto osserva lo studioso Giuseppe Aldo Rossi sulla struttura dell’enigma, nel quale “sia il senso apparente (il primo livello di lettura) sia il senso reale (cioè quello di avvio alla soluzione) dell’enigma constano di una forma e di un contenuto, con la peculiare caratteristica che le due forme (significanti) coincidono e che i due contenuti (significati) si diversificano; la tecnica è il collante che unisce il tutto”.

L’enigma, sempre tratto dalla medesima ‘Aenigmata Symposii’: “Di sopra sono piano, ma non sono piano in fondo/ Mi gira da una parte e dall’altra la mano/ e svolgo opposte funzioni: / una parte annulla tutto ciò che l’altra ha fatto”,  ha come soluzione lo ‘stilo’, in cui la punta è opposta alla spatola che spiana la cera cancellando lo scritto. Quest’enigma ha indubbie convergenze con il cosiddetto ‘indovinello veronese’, dell’VIII-IX secolo d.C., che nella nostra storia letteraria costituisce convenzionalmente un documento in semivolgare e che usa metafore agricole per descrivere ‘lo scrittore’. Metafore agricole già note al poeta Tito Quinzio Atta (I sec. a.C.), presenti nelle composizioni latine dei poeti anglosassoni Adelmo, Tatwino, Eusebio (autori tutti di enigmi, del VII-VIII sec.d.C.), nonché in un’epistola poetica di Paolo Diacono (VIII sec. d.C.), e che correranno tutto il medioevo fino a trovare eco nel ‘Piccolo aratore’ dalle Myricae di Pascoli.

Sempre dell’VIII-IX secolo d.C. sono i 95 enigmi dell’Exeter book, conosciuto come Codex Exoniensis, in inglese antico.

Ma l’epoca d’oro dell’enigma va dal XVI al XVIII secolo. Si scrivono enigmi in sonetti ed ottave, e vengono letti in circoli accademici e nelle corti. Sono da ricordare le raccolte di Gian Francesco Straparola (che nel 1553 vide pubblicato il suo novelliere ‘Le piacevoli notti’ contenente ben 73 enigmi), di Anton Francesco Grazzini (che col nome di ‘Lasca’ fu tra i fondatori dell’Accademia degli umidi nel 1540), di Michelangelo Buonarroti il Giovane (sotto il nome di ‘Impastato’ fu uno degli Accademici della Crusca fondata nel 1582), di Antonio Malatesti, membro dell’Accademia degli Apatisti fondata nel 1635. Bisogna osservare che questi enigmi in forma poetica presentano versi all’apparenza licenziosi ma in realtà celano soggetti casti, e questo perché il fine non è creare un componimento immorale ma unicamente divertire.

Proprio secondo Antonio Malatesti è Galilei l’autore di un sonetto misterioso in forma di enigma e la cui soluzione è proprio la parola ’enigma’. Qui è interessante osservare quel che (in tale sonetto) rileva Galilei sul congegno stesso dell’enigma, che quando viene risolto perde la sua ‘vita’, il suo ‘nome’; lo scioglimento dell’enigma coincide insomma con la sua stessa morte, come accadde alla Sfinge.

Mentre nel Rinascimento può accadere che l’enigma venga considerato biasimevole, perché fa leva sull’insincerità (mi riferisco al pensiero del Castiglione nel suo ‘Libro del Cortegiano’, 1528, e a quello di monsignor Della Casa nel suo ‘Galateo’, 1558), nel ‘600 viene visto come sviluppo virtuosistico della stessa ambiguità della parola. Nella ‘Acutezza e arte dell’ingegno’ (1648) lo spagnolo Baltasar Graciàn teorizza la ‘acutezza’ dell’ingegno, che esprime le contraddizioni e le sfaccettature del reale attraverso paradossi ed enigmi, mentre nel trattato ‘Il cannocchiale aristotelico’, appena posteriore, Emanuele Tesauro, anch’egli in totale adesione alla sensibilità barocca, dà conto della ‘argutezza’ che trasforma il reale attraverso le inesauribili possibilità del linguaggio.

E’ Thomas de Quincey a gettare le basi della successiva riflessione moderna, per lui la risposta al primo enigma posto dalla Sfinge è Edipo stesso, derelitto nell’infanzia, solo nella virilità, ed appoggiato ad Antigone nella vecchiaia. Varcato il Positivismo, che considera enigmi i problemi scientificamente irrisolvibili, Freud vede nell’enigma della Sfinge la manifestazione delle curiosità sessuali del bambino, mentre per Jung il vero enigma è la stessa Sfinge, espressione della ‘madre terribile’.

Ma è Jacques Lacan, nel seminario ‘Il rovescio della psicanalisi’ (1969), a considerare l’enigma parte della struttura stessa della verità: sotto tale aspetto l’interpretazione, lungi dall’essere rivelazione di una verità, non può che ‘dare ad intendere’, lasciando che resti integro l’apparente non senso dell’enigma; è solo mantenendo la struttura enigmatica del dire che l’interpretazione può essere parola di verità.

Importante è anche lo studio di Paul Ricoeur sul rapporto fra filosofia, simbolo ed enigma, per cui “tutto è già detto in enigma, e tuttavia bisogna sempre ricominciare tutto nella dimensione del pensiero”, perciò “il discorso proseguito dai filosofi è ripresa ermeneutica degli enigmi che lo precedono, lo avvolgono, lo nutrono” (da ‘Il conflitto delle interpretazioni’, 1977). L’enigma è ciò che precede la coscienza, come ricorda Pessoa: “Se chi fui è un enigma/ e chi sarò visione/ chi sono almeno questo/ senta nel cuore.” Già l’Antigone sofoclea osservava: “Nessuno sa donde mai venga alla luce”.

                      

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5 thoughts on “Sospeso fra comunicazione, letteratura e filosofia: l’enigma, editoriale di Marco Righetti”

  1. E’ un bellissimo articolo che con un linguaggio chiaro ripercorre la storia dell’enigma e dei suoi significati.
    Ho trovato molto interessante il contenuto e anche la scrittura, piuttosto paradigmatica, affronta con estrema duttilità l’argomento. Complimenti a RIghetti.

  2. Davvero molto interessante in tutte le sue sfumature e soprattutto utile per chi come me si trova spesso a rinverdire quello che in letteratura si chiama ‘gioco di parole’ e soprattuttto ricordare tanti scritti di autori famosi, i quali, secondo me sono sempre meno frequentati. Una scrittura sciolta ed efficace, grazie Marco Righetti. Hai scritto un qualche saggio che è possibile scaricare?

  3. ho letto attentamente e ringrazio anch’io Marco Righetti. L’enigma, anche solo come strumento di comunicazione e di affabulazione serve comunque a stimolare l’immaginazione,grazie ancora.

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