Erotomaculae di Sonia Caporossi, considerazioni a margine di Lella De Marchi

Erotomaculae di Sonia Caporossi, Algra Ed, 2016, considerazioni a margine di Lella De Marchi: la vita si mostra svanendo.

   

    

“Erotomacule” di Sonia Caporossi, poeta critico filosofo musicista, è un libro particolarmente complesso, costituito di più strati coesistenti, strati semantici lessicali contenutistici, che si sovrappongono, s’intersecano, si saldano, ma senza mai annullarsi l’uno nell’altro. Pertanto la complessità con cui si offre alla lettura è una complessità generosa, oserei dire altruista. E’ un’opera complessa perché labirintica, di una complessità percepita immediatamente specchio della complessità del reale, perché ama sondare le profondità delle diverse forme del sentire umano della pelle e dell’emozione, perché si avvale di più registri linguistici (dal classico all’erotico, dall’avanguardistico al lirico, dal filosofico al religioso, dallo scientifico al musicale). E’ altruista perché, al tempo stesso, considerata la sua fondamentale complessità, non abbandona mai il lettore a se stesso, non lo porta né lo induce alla dispersione, di sé o dei significati, semmai addita, sognando, ipotizzando ed ipnotizzando, numerose e possibili chiavi di lettura, svela una molteplicità di percorsi ed infine mostra miracolosamente la semplicità che soggiace nella necessaria ed inevitabile complessità dell’esistenza. Chiede, in altre parole, al lettore, ad uno dei tanti possibili lettori che contiene in sé, in maniera replicante ed ossessiva, ma mai ad un altro ipotetico e fuori di sé, una partecipazione attiva, direi quasi performativa. Gli chiede, meglio ancora lo prega, di lasciarsi coinvolgere nella sua carne e nel suo sangue, in una parola nel suo corpo, di godere dello svolgimento della sua carne e del suo sangue, della sua storia. Poiché la storia di cui si tratta è una storia vissuta attraverso il corpo, fisico e testuale al tempo stesso. E poiché di una storia si tratta, di una storia erotica, forse anche sicuramente di una storia omoerotica, ma una storia erotica tra le storie, senza referente o con più referenti, senza attori o con più attori, una storia unica, nuda e denudata quasi sfogliata, che aspira a diventare universale.

La prima e fondamentale indicazione di percorso che “Erotomaculae” mi pare mostrare e ricercare al tempo stesso è già nel titolo, è programmatica, ed è già una possibile chiave di lettura. Le macchie di eros sono, sì, macchie tipografiche, inchiostro bagnato da e con lo svolgersi di una storia d’amore nella sua accezione massimamente corporea (a tratti splendidamente pornografica), ma sono “macule”, sono e derivano, letteralmente, da una visione che si realizza all’interno della retina dell’occhio umano, di ogni occhio umano. Dunque, il primo godimento che il libro porge al lettore, il primo e fondamentale invito, è di tipo visivo, e chiama in causa principalmente l’aspetto grafico e tipografico del testo. Il libro chiede, prima di tutto, di essere visto, come si guarda un quadro o, meglio, una serie di quadri, non necessariamente in sequenza, in una sequenza che può essere costruita, decostruita o ricostruita. “Erotomaculae” denuda immediatamente il suo intendimento estetico, che si svolge in una serie di differenti ma compresenti momenti estetici. Se scorriamo il testo fermando l’occhio, la nostra macula, inizialmente solo sulle sue parti in rilievo, su certi caratteri amplificati delle lettere, sulle parole in libertà nella pagina, sulle frasi appositamente cancellate (con un metodo che solo esteriormente lo avvicina a certe modalità futuriste), abbiamo già la possibilità di leggere un primo testo, uno dei diversi testi che compongono il macrotesto. Accadrebbe lo stesso anche se lo leggessimo una seconda volta, omettendo le parti in rilievo visivo e addentrandoci nei caratteri più piccoli, nella piccola storia che soggiace al testo od ai testi in rilievo, dove il libro mostra il suo più vero e straordinario senso, a mio vedere. Ma di questo parlerò più ampiamente, e con riferimenti specifici alla fine di queste considerazioni.

Gli occhi che hanno afferrato l’invito della Caporossi ad essere occhi, ad essere macule, afferrano leggendo, scorrendo sui quadri e sulle storie, le “superpartes” (chiamiamole così, cioè le parti volutamente o anche no messe in evidenza), le diverse e molteplici indicazioni o, meglio, affermazioni, di percorso e di godimento estetico. Tutte insieme, ma possibilmente, anche una alla volta. Pesco, quasi a caso, dal testo e dalle sei parti che lo compongono, alcune parole e vocaboli di vario genere, anche neologismi o parole composte, evocativi, e costitutivi, evidenti, o evidenziati. In primo luogo si può afferrare il godimento fisico e carnale, indotto dal titolo, il godimento erotico/pornografico (lecca, baciando, culo, fica, imene, labbra, fellatio, caverna, schizzo, clitoride, orgasmo, godere, sperma, libido, cazzo, pube, capezzolo, ecc.). Di lì a poco ed accanto al precedente si svela il godimento della mente, il godimento filosofico, il movimento della ragione, anche linguistica, che s’insinua nel piacere carnale e s’interseca ad esso, cercando di spiegarlo pianamente ( senso, sostanza, invisibile, istinto, idea, bellezza, ambiforme, icastico, erranza, egolatria, segno, belflussodicoscienzaperdio, attrazione, assenze, sguardo, sinestesia, compossibile, parousia, intelletto, libertà, logica, imago, specchi, reale, favole, palindromo, sinossi, dasein, assoluto, sinoptiche, radioattiva, asintoto, Romanticismo medievale, estraniazione, filosofema, ecc.). Non è distante a questi godimenti, mentre li si scorre, il godimento scientifico, che svela l’anelito al cosmico insito nella nostra umana terrestrità (etere, nucleo, vulcano, grembo, mondo, cerchio, eco, fuoco, lava, plasma, polvere, terramaricolo, lampi, onde, luci, battiti, pulviscolare, atomi, trasparenze, abbaglio, magma, disco, greto, fiume, fahrenheit, stella, ombra, elettrico, radioattivo, modulare, fluidità, sole ecc.). Il godimento letterario di derivazione classica, s’innesta a sua volta nel tessuto del testo impreziosendolo ( Chronicalia, Prometeo, Musa, Bestia, amor greco, Osiride, Morfeo, delfico, Dea Bambina, fenice, Platone, runa, , Socrate, Magister Ludi, Atthis, Lesbia, Efesto ecc.). Il godimento estetico di origine scientifico-medica applicato all’energia del corpo, all’esistenza del corpo, s’inserisce tacito e compresente (batterio, cuore, plasma, carne, arterie, vena, fistola, sangue, AIDS, stomaco, gengivali, gola, miocardio, pneumatico, malattie, partorire, ecc.). Il godimento religioso, sotteso e mai dichiarato, si rivela ed entra in relazione unendosi ad una spiritualità orientale in cerca dell’infinito mistero della fede e del credere (calvario, santa, angelo Jeme biah, Terzo Cielo, grazia, purgatorio, Regina, divino, mistero, Cristo, Apocalisse, spine, diavolo, dio, Taj Mahal, demone, raga, ampolla, Jaja Guru Deva, ohm purnam adah purnam idam, Baba Nam Kevalam, Yamuna, Krsna, estasi, Yoga, Tantra, guru, calici pneuma, sacro, etc.). Il godimento musicale, sempre presente, nel frattempo si gode nell’orecchio, nel suono o nella sua inevitabile ma vitale assenza (monodia, rimbomba, orecchi, eufonia, carillon, rullante, silenzio, gridare, sospensioni, metacronico, sussurri, criptomelodia, disco, respiro, petto, labbra, corda, dire, mi senti?, ecc). Il godimento pseudoavanguardistico, oltre che nella grafia si allea con le parole di utilizzo quotidiano, insieme e tra tutti gli altri piani, e incide fecondo l’intessuta trama dei godimenti (macello, slide, rosso spray, casa, sudore, api, cane, coltello, caffeina, slabbrato, elastico, erba, Vicks Sinex, burella, cena, fototessera, fagiolo, musk, nanna, ecc.).

Sonia Caporossi costruisce, dunque, con molta maestria, un apparato lessicale e semantico ricchissimo e barocco, una struttura d’impianto avanguardistico e decisamente postmoderno che, a prima vista, potrebbe spaventare il lettore timido o disabituato alla fatica del leggere o dell’accettare la compresenza e la simultaneità del sentire e delle forme, così come si danno in natura. Ma la nostra non intesse un narcisistico apparato fine a se stesso o fuorviante, semmai predispone un costrutto che “getta” come un ponte o come una lente a sorreggere la storia erotica, o le storie, come dicevamo, che sono il vero corpo del libro. Il lettore paziente e curioso, avido di conoscenza, si addentra nel magma, in tutte le direzioni del senso, si aggancia alla sovrastruttura, si fa coinvolgere nelle profondità, e quando se ne lascia trasportare si trova magicamente riemerso, come Dante alla fine dell’Inferno, dall’altra parte dell’imbuto, condotto ed introdotto all’interno di una storia liricissima, sensibilmente umana ed estremamente semplice. Una storia che ha caratteri decisamente omosessuali, ma che supera le connotazioni di genere per parlare apertamente e in tutte le sue forme e possibili implicazioni al cuore ed al sentire di tutti. E tale storia è una storia universale, è un’universale storia d’amore, che attraversa tutte le inflessioni del sentire e del sentimento, una storia semplicemente vitale ed umana. L’eros, questa energia che muove il mondo, è energia fisica (“e ogni vena del mio corpo / freme di soddisfazione”, “mi salvi ogni giorno di grazia e calore / io ora contemplo la morte che muore”, dalla sezione Corporalia). L’eros è un viaggio, non fuori ma dentro di sé, la continua e difficile ricerca dell’oggetto amato, che si perde e si ritrova (“And the end the love you take / is equal to the love you make, “your inside is out and your outside is in”, “solitudini in cui finalmente percepisco / la grave singolarità / della mia esistenza”, “E quando abbiamo finito / mi sento ancora più sola / consapevole / di non essere penetrata sotto la tua pelle”, dalla sezione Hypnerotomachia). E l’eros è carne, non si da eros senza l’incontro fisico dei corpi (“e così mi rimettevo alla cieca volontà / dei miei organi di senso estatici ed in sussulto / perché fosse concessa precedenza alle emozioni / perché fosse reale un mondo compossibile”, “tu aggiungi forma all’informe ….tu aggiungi vita alla vita / tu aggiungi amore all’amore”, dalla sezione Dominaedomus). L’eros, l’amore possono finire, svanire, lasciando l’amaro in bocca e il dolore, anche il dolore di non poter mai dimenticare (“t’ho comprata ad una fiera (eri al banco del macello) / massacrata dalla noia. / t’ho pagata col mio tempo / barattandoti di gioia”, “Cristo, già so che sarà inutile / dovremo / stare / per sempre / insieme”, dalla sezione Paleokrisis). L’eros perduto confina anche con la morte della vita, se l’eros insegna la vita, la morte che muore ( “sarò umana per un solo momento, “ come fai a non sapere che sei un essere divino”, “morte mia mi sto perdendo, persa in uno stile vuoto / persa in un sorriso inquieto che si affaccia inebetito / fra le pieghe della carne, del mio corpo che appartiene / solo a ciò che io malamente non posso trattenere”, dalla sezione Thanatophidia). Ma l’eros può rinascere, anche solo ritornare, e il gioco della morte che muore tornare a splendere ( “quando stai con me il mio male muore / uccidi il dolore allontani la follia / mandi a nanna il mio demone cattivo / mi incendi e mi purifichi / come il sacro raga del fuoco / nel riverbero”, “tu stavi cercando me / io stavo cercando te”, dalla sezione Ashram).

Quello che mi preme sottolineare, di questa universale storia erotica, è che queste ultime parti liriche ed intensamente poetiche, per nulla complesse ma da tutti i lettori possibili leggibili senza fatica anzi con un’elevata dose di riconoscibilità, nel corpo del testo sono scritte nei caratteri più piccoli, non enfatizzate, ma messe in rilievo proprio dalla contrapposizione alle precedentemente denominate “superpartes”. La vita è una piccola universale storia erotica, nota a tutti, che la Caporossi salva e preserva al fondo di miliardi cose, accettando e vivendo la loro apparente complessità, non negandola ma rispettandola, contemporaneamente rivitalizzando le parti nell’insieme. L’avanguardia postmoderna e il lirico, quello in cui più precipuamente vive la poesia, possono convivere nel reciproco rispetto, nelle loro peculiarità e diversità, sembra dirci e dimostrarci.

“La vita si mostra svanendo”, svelano infatti magicamente le “Erotomaculae” nell’Epilogo dedicato a Saffo. Lasciando svanire, poco a poco, tutte le nostre perfette e perfettibili sovrastrutture, denudando la semplice verità del sentire. A questo punto, conta poco che si tratti di amore omosessuale, anche se nelle parti più esplicitamente omosessuali il testo della Caporossi sembra fremere di un’ulteriore, personale, sincera verità.
“Io aspetto qualcuno che insegni a vivere / a questo povero ermafrodito”. E forse l’ermafrodito di cui si dice altri non è che l’animo umano, compresenza di maschile e femminile, un essere doppio, forse anche molteplice, abitato da istanze compresenti e in lotta tra loro.

Cito, per chiudere, e per intero la poesia intitolata “Io scrivo”, densissimo e determinante atto di amore verso la poesia, che giustamente non può mancare a chi sceglie di esprimersi con essa. Con un altro godimento, che s’interseca con tutti gli altri godimenti che il testo ci ha consentito di esplorare. E dove le cancellature apposte sul penultimo verso non cancellano, non negano, ma, come in tutti gli altri casi di cancellature, additano un’altra possibilità, altrettanto reale, coesistente, che può darsi o non darsi, ma che esiste a sua volta.

….e l’impegno di portare sempre
questo calvario addosso
questa fellatio esausta delle mie pagine bianche
alla punta fallocentrica polipale
venature d’inchiostro erette a filo d’aria
del mio cosmico, sfottuto, bastardissimo ego

copertina erotomaculae
John Singer Sargent, “Panorama con palmetto”,1917, Metropolitan Museum New York

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