Eurostar, poesie di Paolo Polvani

Eurostar, inediti di Paolo Polvani.

Eurostar s’infila dentro una galleria e qualcuno s’interroga sull’esistenza di dio

Aguzza biscia d’argento che t’intani a guizzo nella galleria, serpente
sonoro rosso e oro, nella galleria con i tuoi occhi d’oro, tutto
germogliato di fischi, ingioiellato di barbagli, la bocca avida di vento
giù nella torva notta, la tua rotta vibra di pupille, scintilla di domande,
brilla e trema e teme quando annotta e il buio la inghiotte,
si aggrotta e singhiozza, s’aggroviglia tutta nel fischio.

Ecco un giapponese fitto fitto nel gorgo del giornale, lo annunciano
gli occhiali, ecco una ragazza a forma di fontana come un paese
perso, una luna straripata, un tumulto di bandiere, un sonno
dal suono di fonografo, una notte pavesata di finestrini luminosi.

I sedili sono colmi colmi di teste a spicchi, a fette, a segmenti, a frotte,
e il fragore affonda tutti nel guscio tondo della galleria, nel fondo
della marea nera, paura bru bru e tun tun tunnel e rimbalza
sui binari il seguente assillo: esiste dio ? ma nessuno lo sa e ci viene
da ridere e ci si chiede dove va questo treno immaginario ? va
dove vanno tutti i treni immaginari: nella pancia di dio
ma anche dio è immaginario e s’infila dentro una pancia immaginaria.

Ecco che il giapponese chiude il giornale, alla ragazza scappa un singhiozzo, al treno un fischio.

***

Prospettive

Dialogo sintetico – ancorché pedagogico –
con giovane senegalese piombato
a bordo treno lungo il tratto adriatico.
Sprofondato nel sedile a bruciapelo fa:
Ciao capo, come va? Io di lavoro
faccio il vu cumprà.

Ecco si accomodano nello scompartimento gli ombrelloni, uno stabilimento,
salgono i bagnanti, e i sandali che incespicano nella sabbia, le merci taroccate, sale l’orizzonte
e il sole accecante di un bel giorno di luglio, sale anche il mare, e lo splendore dei saluti.

Munu di nome. Non sprovveduto anzi avveduto
e con spiccata vocazione mercantile,
affondato esausto nel sedile.
Lui chiesto: che lavoro tu ?
Risposto: non più.
Spiegare troppo non posso
mi pare un sarcasmo, un paradosso
illustrare la cassa integrazione
a un disintegrato vu cumprà.
La semplificazione linguistica mi fa difetto,
non mi diletto di concetti improbi e vaghi,
tipo il fondo esuberi, affronto di petto
e taglio netto con quel: non più.

Segue gesto dei soldi con la mano.
Non mi allontano,
ma gioco al ribasso:
circa mille. Allora ricco tu, mi fa,
forse sollevato, o ammirato, il vu cumprà.
Validità e utilità di certi
repentini cambi di prospettiva.

                            

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2 thoughts on “Eurostar, poesie di Paolo Polvani”

  1. come sempre , Paolo, la tua maestria appare al lettore,
    specie nella prima poesia, bellissima, e con una scrittura
    tua ( per me ) tutta nuova, che coinvolge, avvolge e turbina
    come l’Eurostar.

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