Fede e fedi: tre poesie di Caterina Davinio.
Caterina Davinio (Foggia, 1957) è cresciuta a Roma, dove si è laureata in Lettere all’Università Sapienza, occupandosi successivamente di arte dei nuovi media come autrice, curatrice e teorica. Tra i pionieri della poesia digitale nel 1990, ha svolto attività espositiva, convegnistica e curatoriale in molti paesi del mondo con oltre trecento presenze in mostre internazionali, tra le quali sette edizioni della Biennale di Venezia ed eventi collaterali, il festival E-Poetry all’università SUNY Buffalo (New York) e all’università di Barcellona, i festival di poesia multimediale Polyphonix (Barcellona e Parigi), VeneziaPoesia (a cura di Nanni Balestrini), il festival di poesia internazionale di Medellín, le biennali d’arte di Sydney, Atene, Merida, Liverpool, Lione, Londra e la Artists’ Biennial di Hong Kong.
Tra le opere pubblicate i romanzi: Il sofà sui binari (Puntoacapo, 2013), Còlor còlor (Campanotto, 1998); il saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali (Sometti, 2002), con prefazione di Eugenio Miccini; la raccolta di scritti sulla net-poetry Virtual Mercury House (libro con dvd, Polìmata, 2012); i libri di poesia: Il libro dell’oppio (Puntoacapo, 2012), Aspettando la fine del mondo (Fermenti, 2012), finalista nel premio Franco Fortini; Fenomenologie seriali (Campanotto, 2010), con postfazione di Francesco Muzzioli, segnalato nel premio Lorenzo Montano, menzione speciale nel Premio Nabokov e terzo classificato nel Premio Carver. Presente in numerose antologie poetiche, in pubblicazioni italiane e straniere d’arte, letteratura e avanguardie, e in migliaia di siti web, ha ottenuto riconoscimenti in Italia e all’estero.
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Poesie tratte da: Cadere all’infinito, raccolta inedita, 2012 © Caterina Davinio
Sfida a Dio
Questa rotante mole di incensi, fuochi
questo universo ardente come segnali
e anche il nostro sole un giorno morirà
tutto conflagrerà in un buco nero
collasseranno atomi e stelle
nella forza primigenia
e cosa della mia coscienza disegnerà quel punto
definitivo io non immagino
se zero ha un nome lo scolpisco
nel sasso che getto ai posteri
in uno stagno di liquidescenza
arte, metallo, acque paludose, non importa
una particella arguta
una foglicella d’oro nel vortice cupido della notte
è poco per dire ciò ch’io sono
timido animale nella boscaglia
zampata tra gli sterpi
so che chiamano Dio questo potere che ci ottenebra e seduce
queste fiamme che ardono nelle cose finite
come tizzoni dell’ubique spazio sovrumano
non basta al tramestio delle stelle, alle loro pietre rotanti, meteore
siamo anni luce, numeri, mille zeri che non posso leggere
questo è l’infinito che voglio sfidare
con le caselle diligenti del linguaggio
con il lessico della mente mortale, misera, terrena,
Dio, ti sfido,
ciò che sei è ovunque, m’incendia
mentre io
mi perdo nelle paludose galassie
nel fango della terra
nella musica delle canzoni
negli amori
tutto è magma che uccide e muta
tutto è distruzione
e io pronuncio invano parole, matematica
così ti dico, detestato padrone della mia finitudine, ti possiedo
amministro, con il potere della lingua
la lingua tremula degli uomini
che enuncia frasi, numeri,
è lì il potere che si trasforma e dilaga:
dialoga con la mia follia di animale delirante,
oh tu, forza immane che trasfigura, genera e devasta!
Mai avesti pietà, e io non voglio averne
sono coraggioso
predico al nero
come un eretico bruciato sul rogo
non mi rassegno
e conto numeri infiniti che vanno all’infinito,
costruisco una gabbia perfetta per la mente
la mia miseria che deduce con le formule
ciò che è scritto è scritto.
Sì, onnipotente, in bilioni di secoli brucerai le carte
le mie sudate misure centellinate d’anni e d’esperienza
per inquinare con la tua possenza la verità.
Ma io scrivo e scriverò
sono dio anch’io
e
uno dei due vincerà
uno dei due morirà.
Ecco i miei algoritmi lucenti:
è questo il riscatto
della piccola scheggia
che nell’angolo dell’universo hai gettato
da padrone distratto,
indifferente.
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Pregate, monaci erranti
Pregate, monaci erranti
alla mia schiera di grandissime distanze
assunti all’infinito cielo
come aria e nuvole
voi, preghiere
andate dove l’aria vi porta e vola
noi umani invece
restiamo nella terra, umili avventurosi animali
che implorano e sognano
e abbracciano i loro demoni
sulle spiagge sconfinate dell’amore
del disamore
della scorrevole coscienza
che va altrove e raccoglie filamenti dell’infinito
li fa piccoli per disegnarli nel nostro mondo
di bambini giocosi, gioiosi
noi piccoli uomini che limano le tempre forti di quell’universo
che ci sottrae e dissipa e
raschia via senza rimorso;
e noi scegliamo di tracciare favole, amplessi, storie
siamo poveri come Gesù
e ardenti come Shiva
aerei come Buddha, mentre confidiamo, delineiamo in punta di penna,
costruiamo le costole deliziose del nulla
alacri, e invincibile nulla ci consola
e nulla ci anima se non la morte
e nulla rivendichiamo se non quel catino d’incensi
dove poniamo i nostri viveri
l’attesa, i figli e le speranze senza luogo e dove.
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Angeli e demoni
Angeli e demoni
cos’hanno in comune ?
Il riso
e la lussuria,
la bellezza,
le bianche vesti,
la candida estasi delle statue,
il vento che muove riccioli di marmo
le pieghe delle tuniche scontrose,
gli angeli
stupefatti nell’aria
striature lattee fuggenti
come nuvole dilaniate dal vento,
e i demoni angelici
caduti negli inferi con la bellezza;
sappi che entrambi sono miei
fratelli,
l’impalpabile carezza dei morti,
denti come perle ridenti di quell’infinito;
tu scivoli lungo le eclissi
– sai parlare d’assoluto –
angeli con ali fluttuanti
muovono l’aria
e demoni
sconfitti
precipitano sorridendo
nei luoghi infernali,
irredenti e maledetti,
belli d’infinito perso
soli come mai
soli come l’abisso dell’aere azzurro
e i salvati spiriti
che veleggiano nell’etere
aspettano trionfi
e le celesti
dionisìe dell’arcobaleno;
angeli e demoni
romantici protagonisti del sentimento
e dello spazio senza un confine
sventolano nella brezza che li lacera e scioglie
evolve in un disegno dal tratteggio sottile,
come una tavola di Blake;
e vanno via
vanno
dove il cielo li porta.
Poesie che somigliano a preghiere scarmigliate; Caterina lancia una sfida a un Dio sordo e cieco e anche perfido che ci lascia con gli occhi spalancati e vivere gli orrori , a agirli. Dio è entro la nostra cultura, grande menzogna e menzognera consolazione; le preghiere sono flatus voci, bussano ad un cuore sordo.
Sono belle queste poesie Caterina e coraggiose così come Davide quando sfidò Golia.
Ma che belle poesie, sono commossa