Fermenti, editoriale di Paolo Polvani

Fermenti, editoriale di Paolo Polvani.

   

   

Non sono riuscito a leggere tutto sulla discussione in corso sulla presunta morte della poesia, ma un’idea me la sono fatta; che i grandi editori dichiarino che smetteranno di pubblicare poesia non solo non mi turba ma anzi mi solleva! gli editori, almeno quelli che investono al solo o prevalente scopo di lucro, fanno il loro mestiere, che nella attuale società è cercare di ricavare un profitto da quello che producono; ora se la poesia non genera profitto questo mi affranca da una doppia frustazione: la prima è che la poesia venga trattata come una merce, come un qualsiasi paio di collant o kilo di melanzane, la seconda, più personale, mi libera dall’angoscia del sicuro rifiuto da parte dell’editore: per tutta la vita sarei rimasto convinto che riguardava me, e soltanto me, e invece, se l’editto è valido erga omnes, mi sento in buona compagnia e libero di produrre le brutture che preferisco! Per inciso: negli ultimi anni ho acquistato buoni libri di poesia pubblicati da piccole case editrici, e pochissimi dagli editori nazionali cosiddetti importanti. Un possibile radioso futuro sta nella gratuità e nel dono, che già troviamo in atto in tanti siti dove scaricare gratis ebook, nei blog che si occupano di poesia come il nostro, dove non si paga per leggere poesia di buona qualità; ed è un bene che sia proprio la poesia ad aprire la strada a questa nuova forma di scambio che mi auguro si allarghi sempre di più; esiste già la banca delle ore, esistono varie forme di volontariato, la circolazione gratuita della poesia si inserisce bene in questo filone; credo che tra duecento anni, ma speriamo anche prima, non esisterà il lavoro salariato, non esisterà il lavoro come lo conosciamo nelle forme attuali, perché è impensabile che si continuino a produrre auto all’infinito, ed elettrodomestici ad oltranza, e si continui a depredare l’ambiente per produrre merci inutili, ma questo è giusto un inciso, un auspicio personale; esistono anche tanti editori che pubblicano spinti più dalla passione che dall’ansia del profitto, e credo che potranno continuare a farlo, come continueranno i tanti sparvieri che dietro esageratissimi compensi pubblicano di tutto e inquinano il mercato, ma se ci sono le colombe, continueranno a imperversare gli sparvieri; esiste un pubblico della poesia? io credo proprio di si, e credo che non si identifichi esclusivamente con un pubblico di poeti; in una settimana ho letto mie poesie in tre luoghi molto diversi tra loro e con numeroso pubblico; le letture erano sempre inserite in contesti in cui la poesia costituiva il nucleo centrale ed era affiancata da esibizioni di musicisti, danzatori, e mostre di pittura, che è certamente un’idea furba, perché la poesia è di quelle cose buone da offrire a piccoli assaggi, da lasciar la voglia e il desiderio di proseguire, niente è più pernicioso di un’abbuffata di poesie. Potrebbe trattarsi di moda passeggera? può essere, ma può anche essere vero che la gente abbia bisogno prima di tutto di condividere, di stare insieme, di ritrovarsi intorno ad una specie di focolare culturale dove lasciar scoppiettare parole nuove, sguardi inconsueti, visioni della vita e del mondo originali; a questo proposito credo che la gente si avvicinerà alla poesia quando nei versi sentirà pulsare il cuore di una realtà riconoscibile; voglio dire, ma questa è una mia personalissima idea, che mi sento più attratto da una poesia in cui si parli del prezzo dei fagioli piuttosto che dei massimi sistemi; visione personale, confutabile da tutti quelli che preferiscono le vibrazioni metafisiche, e tuttavia vedo comunque che quando la poesia allestisce un ambiente in cui le persone si possano riconoscere risulta più agevole accomodarsi e sentirsi a proprio agio, e quando dico a proprio agio non alludo a una poesia decorativa o di pronto soccorso, ci si sente a proprio agio anche quando la poesia è declinata su versanti tragici o limitrofi a territori molto scoscesi, a proprio agio nel senso che ci si possa riconoscere nei versi, abitarli traendone un vantaggio.

Sono decenni che si proclama la morte della poesia, forse perché ci piace il rito scaramantico di contraddire l’assunto, così ogni tanto qualcuno fa morire il romanzo, per poterci ricavare discussioni che no, il romanzo è in buona salute, e così fa morire dio e fa morire persino sanremo, la cui longevità gareggia con quella di dio; eppure ogni volta la poesia dimostra la sua vitalità; ricordo un libro molto bello di Carlo Alberto Sitta della fine degli anni 80 se non erro, dal titolo: La poesia è morta? edito dalle edizioni del laboratorio di Modena che ho ancora ma che non riesco a trovare. Per quanto riguarda la poesia io vedo una grande vitalità, che in parte, ma potrei sbagliare accecato dalla nostalgia, mi ricorda il fervore degli anni ’70, quando vennero fuori un’infinità di buone riviste, di pubbliche letture e festival, di convegni; ne ricordo uno in particolare del 78 o 79 a Crevalcore, al quale parteciparono, tra gli altri, Flavio Ermini, che allora faceva Aperti in squarci, che sarebbe diventato Anterem, Mariella Bettarini, che dirigeva Salvo imprevisti, e poi L’area di Broca, Carlo Alberto Sitta che era nella redazione di Tam Tam e che avrebbe fondato Steve, il gruppo dei poeti baresi della Vallisa, che non hanno mai brillato per qualità, ma che portano ancora avanti le loro proposte e iniziative da allora senza interruzioni, e tanti altri che sarebbero stati protagonisti della poesia di quegli anni, ricordo che mi dette un passaggio Valdo Immovilli, che allora collaborava con Adriano Spatola e Giulia Niccolai, e che in macchina con noi c’erano Alida Airaghi, meravigliosa poetessa, Giuliano Mesa, che aveva appena pubblicato con Geiger, e Mario Moroni.

I grandi rivolgimenti sociali sono sempre stati accompagnati, e a volte preceduti, da grandi fermenti poetici. Mi piace pensare che il fermento legato alla poesia, il pullulare di blog, il succedersi delle iniziative, delle letture, delle presentazioni, sia la premessa di cambiamenti. Ne costituiscano il germe e la spinta.

                         

Theda Bara 1885 - 1955
Theda Bara 1885 – 1955

3 thoughts on “Fermenti, editoriale di Paolo Polvani”

  1. Mi piace pensare che il fermento legato alla poesia, il pullulare di blog, il succedersi delle iniziative, delle letture, delle presentazioni, sia la premessa di cambiamenti. Ne costituiscano il germe e la spinta.

    concordo pienamente con te, caro Paolo, la poesia deve parlare anche del prezzo dei cavolfiori in rapporto al carovita, lasciamo i massimi sistemi a coloro che ne hanno l’autorità ( ammesso che l’abbiano ).

    prosegui nel tuo lavoro di diffusione, tu hai i numeri per fare ottima poesia

  2. il prezzo dei fagioli…ma che in mezzo a questi ce ne sia uno magico, come lo è la parola che prende terra nella nostra stessa carne, è noi che poi la rifioriamo e dalla bocca come un baccello la rimettiamo in circolazione.
    Vendere parole, questo fanno gli editori, vendono le parole, messe in fila o scaraventate a vanvera, imprigionate in arguzie o disseminate in polveri impalpabili, a-sessuate parole erotiche o erose cotiche… Finché ci sarà un umano in giro per il pianeta temo che la parola si filerà la sua bocca e la sua memoria facendone qualcosa che, di tempo in tempo, chiameremo rosa, prosa,osa…persino poesia.
    Grazie del bell’articolo e di quelle memorie che spesso si lasciano altrove per non pagare dazi. ferni

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