Fissando in volto il gelo.
Di IVAN CRICO
«La poesia – ricorda Celan – vuole raggiungere un altro, ha bisogno di questo altro, ha bisogno di qualcosa a fronte. Lo cerca, gli si consegna in forma di parola. Ogni oggetto, ogni essere umano è nella poesia che si protende verso l’altro, una figura dell’altro».
Questo movimento ininterrotto alla ricerca di un colloquio non può non scontrarsi con tutto ciò che pone un limite, un confine al libero aprirsi dell’uomo verso il mondo e, soprattutto, tra uomo e uomo. Tutto, in poesia, si svolge sempre all’insegna di un’accoglienza, senza riserve, all’impensato che può scaturire da questo incontro: l’esatto contrario della parola del potere che parte quasi sempre, ed oggi più che mai, da un pre-giudizio. Contro questa parola univoca che non sa muoversi più se non nei recinti del possibile, della più irriscattabile immanenza, incatenata ad un unico predeterminato significato, una visione unidirezionale, la poesia oppone la sua parola “impossibile”, plurale, aperta ad infinite interpretazioni, continue ed imprevedibili svolte di senso. E, quindi, volgendosi verso l’altro, contemplandone, con gratitudine e rispetto, sempre le insondate e forse insondabili profondità.
Uno dei compiti più ardui di chi ha scelto – o, forse, sarebbe meglio dire è stato scelto – di cominciare un dialogo autentico con l’altro attraverso la parola poetica, il fare artistico, è difendere strenuamente questa libertà di movimento, fisica ed interiore, nei territori del reale come in quelli della visione, da un Potere spaventato da tutto ciò che non riesce a comprendere, dominare, confinare dentro spazi dove non deve esistere nessuna zona interdetta all’occhio che vigila, e controlla.
Confesso che non ho mai creduto alla possibilità di cambiare il corso delle cose attraverso la cosiddetta “poesia civile”. Ho sempre cercato, fino a pochi mesi fa, di tenere sempre distinto l’impegno civile dalla ricerca artistica.
Ho cercato di dare il mio contributo fin da ragazzo, nel mondo del volontariato sociale e culturale, portando avanti molte battaglie a favore dell’ambiente e della difesa delle categorie più indifese di persone, lottando (dopo la scoperta di Pasolini) anche per la valorizzazione delle minoranze linguistiche e della custodia del loro e nostro patrimonio culturale, cercando sempre di incarnare nella vita di ogni giorno le cose che andavo via via imparando, nella convinzione che ci dovrebbe essere sempre un indissolubile legame tra ciò che si pensa e si dice e ciò che si fa.
La ricerca artistica doveva rimanere libera da ogni condizionamento, anche dalle mie stesse scelte di uomo che si relaziona, in modo non passivo, con i problemi del nostro presente.
Confesso, quindi, che quando gli ideatori del gruppo “Fissando in volto il gelo. Poeti contro il Green pass” (nome ispirato da un verso del nostro lume tutelare Osip Ėmil’evič Mandel’štam) mi invitarono a collaborare a questo progetto erano sorte in me non poche perplessità, anche perché fin da febbraio del 2020 avevo scelto di manifestare, sulla scia luminosa dell’esempio fulgido del filosofo Giorgio Agamben, anche il mio dissenso in modo molto concreto, scendendo in piazza, partecipando a riunioni con persone colpite da questi decreti, aiutando chi si trovava in situazioni di difficoltà, partecipando a tutti gli scioperi indetti dai pochi sindacati ancora degni di questo nome, firmando uno dei primi appelli di intellettuali contro l’introduzione del Green pass, promosso da Ginevra Bompiani, assieme a quello dei docenti universitari.
Infine sono arrivato alla scelta, sofferta, di congedarmi dal mio luogo di lavoro, dove avrei avallato con la mia presenza quelle che, per me, erano inaccettabili normative discriminatorie, lesive dei basilari diritti di una parte dei miei connazionali.
La situazione però mi sembrava così drammatica e così assordante il silenzio di troppi intellettuali, mai contestatari nei confronti dell’aberrante gestione politica di questa epidemia, che il solo pensiero della presenza di qualcuno ancora disposto ad esporsi, nonostante il rischio di un’emarginazione editoriale e mediatica, mi sembrò una ragione validissima per mettere da parte ogni riserva.
Ecco qui di seguito il manifesto del gruppo con le sue motivazioni:
“Il recente ricorso allo strumento del Super Green-pass è il culmine di una parabola vergognosa in cui il potere, sotto la specie del Governo Italiano, sta violando sistematicamente i diritti fondamentali del cittadino. La parola è imbrigliata, soffocata, distorta, sloganizzata, asservita ad una grossolana strumentalizzazione a scopi politici di un problema sanitario, che è diventato fin dal suo primo manifestarsi, l’occasione per rafforzare i sistemi di controllo elaborati dall’imperante neoliberalismo.
La poesia non è un terreno neutro, ma un campo linguistico e ideologico su cui si scontrano visioni del mondo contrastanti.
Su questo terreno abbiamo deciso di scendere affidandoci alle armi proprie della libera poesia: la lucida riflessione, la fantasia, la critica, la protesta, la satira, l’irriverenza, la direzione divergente e contraria, l’invenzione linguistica.
COMUNICHIAMO DUNQUE LA NASCITA DEL GRUPPO “FISSANDO IN VOLTO IL GELO-POETI CONTRO IL GREEN PASS”.
NOI AFFERMIAMO L’IMPORTANZA DELL’ATTIVITÀ POETICA IN QUESTO DETERMINATO MOMENTO STORICO, IN QUESTO PRECISO CONTESTO GEOGRAFICO, COME RISPOSTA CONVINTA, COLPO SU COLPO, ALLA DILAGANTE DERIVA AUTORITARIA DEL NOSTRO SISTEMA DI POTERE E AL LINGUAGGIO CHE LO RAPPRESENTA.
Al gruppo “FISSANDO IN VOLTO IL GELO-POETI CONTRO IL GREEN PASS” hanno già aderito numerosi scrittori, ma siamo certi che molti altri, riconoscendosi nei nostri intenti, se ne aggiungeranno. Lo scopo è di strappare dalla nostra bocca la museruola dell’impotenza e del piagnisteo e di raccogliere testi che invece dimostrino una resistenza attiva. Ci prefiggiamo inoltre il compito di pubblicare un’antologia che dia testimonianza della nostra protesta etico/artistica e che possa accompagnare, come un’inesauribile fiaccola letteraria, lo sforzo e l’impegno di tutti coloro che continueranno a scendere in piazza per difendere i nostri inalienabili diritti”.
Ho poi scoperto, con piacere, che il lavoro principale del gruppo, così come si è evoluto in questi mesi, non è solo legato al serio e competente vaglio critico dei materiali ricevuti e alla pubblicazione dei testi (questa è solo la punta dell’iceberg), quanto a un confronto, incessante, tra persone che amano la poesia e le arti, per discutere di ciò che sta accadendo, organizzare incontri, pubbliche uscite e azioni di protesta, dalla piazza al luogo di lavoro, in molte città italiane.
Si tratta di un unicum, nel panorama culturale italiano, una piccola, ma molto attiva comunità (composta anche da nomi illustri del panorama poetico, letterario, filosofico, artistico musicale) che conta oggi centinaia persone, che quasi sempre prima agivano separatamente, spesso incomprese ed osteggiate da amici, familiari, colleghi, letterati ed artisti. Persone che adesso hanno trovato un luogo ideale per stare assieme ad altre, unite da un comune sentire (spesso anche non in modo solo virtuale, perché alcuni nel frattempo hanno cominciato a frequentarsi ed aiutarsi).
L’amore per la parola poetica (e la poesia che sempre si cela nel canto, come nel gesto del pittore), può diventare il terreno solido, posato su non scalfibili giacimenti interiori, su cui iniziare a costruire insieme ad altri, una nuova casa, aperta a tutti. Vi troverà residenza chi oggi vive la condizione dell’esilio, chi è perseguitato dal vento sferzante del pregiudizio, chi combatte per la libertà di esprimere il proprio pensiero, vivendo secondo i dettami della propria coscienza.
Un terreno pieno di nutrimenti ed arioso, che permetta alle radici di svilupparsi in tutte le direzioni, in ampiezza e in profondità, per garantire all’albero di ogni nostra vita la possibilità di elevarsi, con forza e stabilità, verso le nuvole. Antiche dimore, come ci hanno insegnato da bambini, della testa di tutti i sognatori.
Ivan Crico è nato a Gorizia il 1 novembre 1968. Si dedica allo studio della pittura fin da giovanissimo, laureandosi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna al Liceo artistico di Gorizia e all’Accademia di Belle Arti di Udine. Parallelamente all’attività artistica, dal 1992 ha iniziato a collaborare con gli amici poeti Amedeo Giacomini, Gian Mario Villalta, Mario Benedetti e Pierluigi Cappello (con cui ha ideato la collana di poesia la “Barca di Babele”). Scrive in lingua e nell’arcaico idioma veneto bisiàc di Pieris (GO). Nel 2019 è uscita l’antologia dell’opera edita (1989-2018) L’antro siel del mondo, LietoColle – Fondazione Pordenonelegge, a cura di Elenio Cicchini e Nicoletta di Vita, con introduzione di Giorgio Agamben, nella collana Gialla Oro curata da Augusto Pivanti. Sempre nello stesso anno per Quodlibet, su invito di Giorgio Agamben, ha curato la traduzione poetica dell’opera di Pier Paolo Pasolini I Turcs tal Friùl e, nel 2021, “El critoleo del corpo fracassao” di Biagio Marin, poesie scritte subito dopo la scomparsa dell’amico Pier Paolo Pasolini.