Fra improbabile cielo e terra certa (poesie 2007 – 2008) di Francesco Palmieri, Terra d’ulivi edizioni 2015, note di lettura di Edmondo Busani.
La pubblicazione di Francesco Palmieri s’inserisce nel solco poetico della riflessione filosofica che, con realismo immagico, segna il confine fra improbabile cielo e terra certa. Questi paesaggi sollecitano almeno due temi dominanti: la fragilità umana e il domestico soliloquio con l’Oltre.
Si percepisce, fin dai primi testi, la vaghezza disarmonica della vita alla quale fa coro l’ordinaria quotidianità, mentre il contrappunto è affidato a gesti e a umori. La nota dominante distilla angoscia: “dopo un respiro appena, / un attimo d’euforia/ poi lo sfinimento, / la replica interminata/ di una scena/ che fu prima visione./ Troppo tempo fa.”
Il tempo mostra la propria identità divoratrice lasciando la creatura in balìa di “mutazioni non viste” che trasformano gli uomini in “capsule insonorizzate/ di un dolore non detto”. Le parole diventano armonie stonate, suoni muti di angeli e arcangeli che osservano, insieme al poeta “bancarelle di mercanti sempre aperti/ danzatrici dal ventre levigato”. I messaggeri celesti diventano testimoni di un’inspiegabile impotenza davanti ad una candela che si consuma fino al dissolvimento… Immobili, nel cielo statico e siderale.
Sul piano esistenziale residua ciò che si è perduto, plasmato dalla sensibilità in una ninfa, eco sofferente della visione onirica, “un canto moribondo/ sull’estremo della terra./ E poco in là/ il silenzio di pianeti e stelle/ la lingua sottozero dell’assenza.” La sofferenza si trasforma in dolore per l’approssimarsi delle luci occitane della vita.
Il verso inquieto infila una collana, le cui gemme illuminano la nerezza della solitudine e della nostalgia; esse diventano le travi dell’ordito poetico, che stemperano la tensione con improvvise rime e slarghi lirici; il poeta distilla la strofa in una supplica per non morire: ” Lasciami ancora accarezzare/ il sogno greco di una ninfa/ la carne immacolata/ e il mondo luminoso non più terra/ ma recinto in fiore, impronta del divino.”
I mortali raccolgono frantumi di sintonie metafisiche per forgiare un canto che sfiora, anche, le morfologie periferiche, dove Dio non può stare!
L’agonia tra la creatura e la propria esistenza rimanda alla salmodia dell’amante che si sente abbandonato: “ per te/ che non sai essere perfetta/ con noi che abbiamo avuto lingua per dare un nome a dio,/ la vista lunga per orbite d’estremo/ e numeri a contare un tempo indefinito.”
L’esistenza è un’attesa che cerca di cogliere un bisbiglio indefinito per comprendere quale segno seguire “se l’aria leggera di lassù/ o il fumo acre di una polveriera.”
Residua, al termine della lettura di questo canzoniere, il ricordo di una poesia scorrevole, ma non facile, un po’ ambigua, come si addice alla figlia di Hermes, che propone di andare oltre il muro per lenire la finitezza umana: “… un sobbalzo/ […] una pozza di mare/ qualche nuvola appena/ rimane l’incanto/ che ci rese felici, / […] rimane un pensiero/ che non si riesce a cambiare, / un punto alla fine/ che non chiude il discorso […].” E. B.
Ringrazio “Versante ripido” per avermi accolto sulle sue pagine e in particolare il mio grazie va ad Edmondo Busani per le sue note di lettura in sintonia sensibile e partecipata con lo “spirito” della mia raccolta. Grazie davvero. Francesco Palmieri