Franco Castellani viaggiatore della consapevolezza

Franco Castellani viaggiatore della consapevolezza: poesie, con intervista di P. Polvani.

        

     

Franco Castellani
Franco Castellani

Franco Castellani è nato a Firenze. Si è laureato in Lettere e ha pubblicato articoli di natura filologica. Ha ricevuto riconoscimenti in diversi premi di poesia.

Proponiamo due suoi componimenti:

 

   

    

     

     

    

     
VERSO SIENA

Sei la primavera lungo la Greve,
Biancaneve, e io sono il tuo cuore
La rugiada bagnerà la strada
del tuo destino
e io sarò il vino che si può bere
al mattino. Ruberò il sole
alle bufere per scaldare
il tuo cuore di neve.
Il silenzio avrà una voce sola,
sarà il tuo nome agito dal vento
Poi spengerò le stelle e il giorno
si fermerà, si fermerà
il firmamento. Spengerò l’aurora
dalle trame d’oro
se non guarirò il tuo cuore …

(Hai la luna sulla fronte
per illuminare la mia notte)

***

IL RITORNO

Ora ceno solo su questo treno
azzurro e la ginestra
di mare che vedi passare
al di là del vetro
torna a profumare il mio destino,
l’arsenico è scivolato via
insieme al suo veleno
e su questo treno dove ho toccato
l’inferno, ora torno a te, sereno

Sei tornata sulla strada ferrata
a deragliare il mio cuore e le stelle
non hanno più il traforo
ma la tua vita a crepapelle;
la rana d’oro è scappata via
dal collo e la rugiada è diventata
terra di loto

La tortora di mare
che vedi passare al di là del Reno
trema sulle prode vuote
e non vuol tornare indietro,
così lontano è il suo paese
dal tuo cuore: ha il collare
di vetro per il tuo amore distratto…

Ma la fata morgana
che s’allontana
oltre le nubi e le brughiere conta
i battiti del nostro amore
verso la città di sera
dove la stazione non brucia più
il sonno di vetro

E leggera come la bufera dormi sopra il mio fuoco

***

Abbiamo posto a Castellani alcune domande:

CHE RUOLO HA L’AUTOBIOGRAFIA NELLA TUA POESIA ?
Sicuramente la mia raccolta di versi è un’autobiografia delle emozioni. Solo il sentimento è in grado di cogliere le occasioni e di muovere la narrazione. Poi, ovviamente, subentra il mestiere e tutto viene trasfigurato dalle leggi della poesia. Nel mio caso, senza ispirazione non potrebbe nascere nessuna “favola”. Senza inquietudine insomma non sarei in grado di scrivere nulla: da questo punto di vista tutto è autobiografico. Ma la domanda che può sembrare semplice richiede una risposta ‘complessa’ che provo a sintetizzare fortemente. La piena coscienza e conoscenza di Sé si avrebbe attraverso la mediazione del linguaggio. In particolare con il continuo rapporto tra esperienza di vita e la sua ricostruzione narrativa.

QUINDI POESIA COME STRUMENTO DI AUTOCONOSCENZA…
Sì. Secondo me la poesia ha addirittura l’ambizione, attraverso il suo linguaggio ‘ulteriore’ e la speciale narrazione (mi riferisco ai canzonieri), di procurare la più alta coscienza di sé. Faccio un solo esempio non mio per chiarire meglio: sentiamo al cento per cento ma ci rendiamo conto solo di una minima parte. Questa comprensione posteriore si conquista con la ricostruzione e il racconto che uno fa della passata esperienza. Per rispondere finalmente alla tua domanda, se è vero che la nostra identità si costruisce e si trasforma attraverso l’autobiografia, non soltanto l’autobiografia gioca un ruolo decisivo nella mia poesia ma la poesia stessa costituisce lo strumento principe di conoscenza. Ma questo sarebbe ancora un fatto personale: se la poesia dovesse agire anche sul lettore allora realizzerebbe a pieno il suo compito, trasformando una storia privata in sentire comune. Un vero miracolo.

CHI È BIANCANEVE?
Ho scelto un nome così familiare e musicale con la presunzione – oltre che di rappresentare una condizione umana in cui fosse possibile, forse, riconoscersi – di evocare in ciascuno la propria Biancaneve. Aggiungo, oscurando ancora invece di chiarire, che Biancaneve è (anche) la voce di quelle persone che hanno avuto un «attaccamento disorganizzato» durante la loro prima infanzia e a causa del quale, almeno così spiega la moderna psichiatria, hanno subìto alcune sofferenze interiori.

CHE RAPPRESENTANO LE FIGURE CICLICHE, CIRCOLARI, CHE, COME BIANCANEVE, ABITANO I TUOI VERSI?
I soggetti delle mie poesie a volte ‘condensano’ stati d’animo di persone diverse, anche di sconosciuti che mi colpirono per un dato sguardo o una particolare inquietudine ma questa ‘tecnica’ non è certo originale. Avrei altro da dire sull’uso del «tu» o della terza persona in relazione al tempo. Accenno solo che il tempo della scrittura tende a attualizzare inconsciamente il tempo passato, suscitando così una sovrimpressione di emozioni. Dato che la poesia gioca spesso con la «perdità» e l’assenza, il tempo passato è spesso ‘presente’ nell’evocazione tantoché gli affetti del soggetto lirico (e in ultima istanza dell’autore) sono presocché con-fusi, anche se non uso mai gli espedienti, grammaticali o retorici che siano, in modo meccanico. Evocare è sempre un inseguimento di un ricordo che suscita malinconia, che apre a un batticuore esistenziale e struggente: elementi così necessari, almeno per me, alla poesia.
Quanto alle figure cicliche, circolari, esse sono un indizio della funzione narrativa cui accennavo nella prima risposta. I legami formali sono nati spontaneamente e non a seguito di un riordinamento ma l’avverbio non ha un’accezione del tutto positiva in quanto, il più delle volte, le ricorrenze esprimono una tendenza alla ‘ossessione’. Solo dopo la scrittura e la normale sistemazione però ho scoperto quanto queste figure avessero una funzione sotterranea di coesione generale.

      

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Foto di testata: Deity di Luca Bartolotti

2 thoughts on “Franco Castellani viaggiatore della consapevolezza”

  1. La poesia, per chi la legge, è prima di tutto un’emozione. Se l’emozione è forte, se apre a qualcosa d’imprevisto, il lettore rilegge con calma e ci si pensa su. Questo ho fatto e ho pensato che, per l’autore, c’è sempre dell’altro e la forma poetica gli permette di comunicarlo, sopportarlo, gioirne, condividerlo, mascherarlo, giocarci. E’ un gioco molto bello, una condivisione in astratto tra lettore e autore. Ho letto anche l’intervista, pur consapevole che può essere ‘pericoloso’ leggere il poeta in prosa. E’ andato tutto bene, l’emozione di partenza non mi è stata rubata dalla prosa, è rimasta intatta nella mia personale ‘traduzione’ dei testi. Anzi, la curiosità per il testo poetico si è acuita: nell’intervista Polvani si sofferma sulla ciclicità delle figure in Castellani; è possibile leggere qualche altra lirica per apprezzare e sentire la coesione e l’ossessione di cui parla l’autore?

    1. Gentile “lettrice”, la ringrazio per l’intensità e la finezza del suo commento. Le confesso che è una grande fortuna ‘scoprire’ che i propri versi hanno suscitato qualche emozione. Sono convinto infatti che il fine ultimo dell’arte (e qui ovviamente non mi riferisco più ai mie versi…) sia proprio quello di emozionare, quando è altro allora si tratta di “letteratura”. Il poeta Benn riteneva addirittura che solo pochi testi, «sei o otto poesie», vivono di luce propria. Per completare meglio il mio pensiero le cito le parole eleganti di Kandinskij: «L’arte vera agisce sull’anima immancabilmente, in un modo o nell’altro. L’anima vibra e “progredisce”. Ecco l’unico scopo dell’artista, lo capisca o meno chiaramente. […] L’arte è il vivo sembiante non già della sfera intellettuale, ma solo ed esclusivamente della sensibilità. Chi non sa sentire, a lui l’arte rimarrà oscura e muta. Eppure troverà salvezza solo in essa. Essa gli darà fame e sazietà». Sono contento inoltre che la prosa non le abbia rubato “l’emozione di partenza”. Anch’io infatti ‘diffido’ sempre delle parole del “poeta” che tende quasi inconsciamente a manipolare il vero con il verosimile ma l’importante è accertare che «il massimo della finzione sia fatto per il massimo della verità». Quanto alla curiosità di leggere altre mie liriche giro la sua richiesta alla redazione della rivista. Un cordiale saluto, Franco Castellani

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