Gajna malada, una poesia di Vivian Lamarque (Lombardia), con una nota di Silvia Secco.
Vivian Lamarque nata a Tesero (Trento) nel 1946, è sempre vissuta a Milano dove ha insegnato italiano agli stranieri e letteratura in istituti privati. Ha pubblicato “Teresino” (1981), “Il signore d’oro” (1986, tradotto in lingua inglese nel 2017), “Poesie dando del lei” (1989), “Il signore degli spaventati” (1992), “Una quieta polvere” (1996). Nel 2002 la sua opera poetica è stata raccolta nell’Oscar “Poesie 1972-2002” comprensivo anche di una fitta sezione di inediti; “Poesie per un gatto” (2007), “La Gentilèssa” (2009), “Madre d’inverno” (2016).
Tra i premi: il Viareggio Opera Prima (1981), il Montale (1993), il Pen Club, il San Pellegrino e l’Alghero Donna (1996), il Camaiore (2003), l’Elsa Morante (2005), il Cardarelli Tarquinia e l’Ostia Antica (2006), l’Ambrogino d’oro (2008), l’Alda Merini (2013), il Giuseppe Tirinnanzi alla Carriera (2014); il Carducci, il Bodini e il Metauro (2016), il Bagutta e il Pontedilegno (2017).
E’ anche autrice di una quarantina di fiabe tradotte in varie lingue (Premio Rodari 1997, Andersen 2000, Storia di Natale 2015) e delle raccolte “Poesie di Ghiaccio” e “Poesie della Notte”.
Ha tradotto, tra gli altri, Valéry, Baudelaire, La Fontaine.
Nel 2013 è uscito “Gentilmente Milano”, selezione di suoi articoli sul Corriere della Sera.
Se la poesia, come qualcuno ha detto, è “l’anima del mondo”, quest’anima probabilmente traduce in parole e in diversi linguaggi gli stessi concetti e gli stessi sentimenti umani. Ecco tradotto in milanese, allora, il sentimento del dolore e dello straniamento al cospetto della delusione. Ecco la difesa dal dolore, che si chiude, chiude le imposte, nasconde sotto l’ala, allontana il mondo fuori. Per questo numero speciale di Versante Ripido dedicato alla poesia dialettale, non potevamo non avere questa piccola, delicatissima, dolce ed amarissima poesia di Vivian Lamarque, edita in “Madre d’inverno” (Mondadori 2016), nella quale, al “l’è minga giust se fa no inscì” si reagisce con un desiderio surreale, malinconico e delizioso di metamorfosi in un’altra specie – la “gaìna malada” – più semplice e, “alura”, meno soggetta al dolore. E se il linguaggio della poesia, qualsiasi sia l’idioma utilizzato come canale di significato, è un linguaggio universale, non è possibile non pensare a un’altra metamorfosi sognata ed agognata come unica possibilità di sopravvivenza:
“No, no! ‘E soi ch’e sgôrle
in ta la nâf spaziâl,
no stei desturbâme,
vô ‘e séi de un antre mont” (“La naf spazial”, Federico Tavan)
“par de vèss un poresin denter la mama
che bel sentì i rumur luntan luntan
col crapin sotta l’ala che bel caldin
che bel caldin ch’el fa.” (Vivian Lamarque)
Così la chiusura è un nascondiglio apparente. Apre mondi di meraviglioso immaginario. Il dolore, sublimato dal sottile non sense diviene quasi sopportabile, come la marachella di un bambino, come un sorriso triste che racconta l’uomo, la sua inquietudine. SS
GAJNA MALADA
Da quel dì là
che te m’è scritt inscì
m’è capità ’n quaicoss
me interèssa pù nient
l’è minga giust se fa no inscì
ma me interèssa pù nient e alura
alura me mètti in d’un cantun
come ‘na gaìna malada
la cort ‘l pollé i alter gaìnn
vedi tuscoss ma m’interèssa nient
l’aqua fresca de bev
i granitt giald de mangià
nient, col crapin sotta l’ala che bèl scur
che bèl caldin ch’el fa
par de vèss un poresin denter la mama
che bel sentì i rumur luntan luntan
col crapin sotta l’ala che bel caldin
che bel caldin ch’el fa.
GALLINA MALATA
Dal giorno / che mi hai scritto così / mi è successo qualcosa / non m’interessa più niente / non è giusto non si fa così / ma non m’interessa più niente e allora / allora mi metto in un angolino / come una gallina malata / il cortile il pollaio le altre galline / vedo tutto ma non m’interessa niente / l’acqua fresca da bere / i chicchi gialli da mangiare / niente, col crapino sotto l’ala che bel buio / che bel caldino che fa / sembra di essere un pulcino dentro la sua mamma / che bello sentire i rumori lontano lontano / col crapino sotto l’ala che bel caldino / che bel caldino che fa.
da “Madre d’inverno”, Mondadori 2016
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